
13/04/2024
Paziente X: "Razionalmente parlando io lo so che cosa devo fare, ma per qualche ragione non ci riesco".
La vecchia buona guerra fra "cuore e cervello", o "sentimenti e razionalità". Chiamatela come volete, fatto sta che la sperimentiamo un po' tutti a tratti alterni della nostra vita. Ma poiché mi suona di smielata imprecisione, cerchiamo di renderla un po' più anatomicamente corretta (il cuore lasciamolo in pace a fare il suo lavoro di circolare il sangue).
Pensate al cervello come una splendida struttura a cipolla. O ad albero, quella che vi fa meno ridere insomma. Al centro, come vera base del nostro essere vivi, c'è quello che chiamano "il cervello rettiliano". Qua si svolgono tutte le funzioni vitali, dall'essere coscienti, al regolare la temperatura corporea, pressione sanguigna, respirazione. Un danno a questa parte (che chiameremo tronco encefalico), e diciamo che abbiamo buone chances di essere fritti. Madre natura, che non è scema, ha deciso di posizionare questo interruttore vitale nella parte più profonda della nostra testa, circondato da tanti begli strati che svolgono funzioni "meno" importanti (e.g., se prendi un colpo in testa, male che vada hai più probabilità di perdere la memoria, ma rimani in vita).
Attorno a questo cervello rettiliano, troviamo il "cervello mammaliano", tutto bello avvolto come un pan au chocolat e rappresentato dai famosi circuiti limbici. È a questi signori che si riferiscono i romanzi rosa quando dicono "ti amo con tutto il mio cuore". Tuttavia, da neuroscienziata quale sono, io pure vi amo, ma per esattezza con tutto il mio sistema limbico (sì, è meno poetico, lo so).
Questa struttura è radicata nel nostro passato evolutivo, dà priorità a bisogni fondamentali come la sicurezza, l'appartenenza, e tutta una serie di bisogni emotivi fondamentali che premono continuamente per essere soddisfatti. E va be', direte voi, ma sappiate che questi sistemi stanno lì ad evolversi da circa 200 milioni di anni. Riguardiamolo bene: 200 milioni. Salvatevelo in memoria ed andiamo avanti.
Per finire, tutto attorno al nostro cervello mammaliano che ci fa sperimentare emozioni, abbiamo l'ultimo strato della trinità cerebrale: la neocorteccia. Questa è ciò che ci differenzia dagli altri mammiferi (che pure ce l'hanno, ma la nostra è più bella). In particolare, la corteccia prefrontale (che sta là dove il nome ci lascia intendere: dietro la fronte e sotto agli occhi), è lo strato più raffinato del nostro cervello e sede di ciò che chiamiamo "raziocinio". E qua, è dove iniziano i problemi.
Grazie a lei, possiamo risolvere problemi e pianificare a lungo termine, analizzare le situazioni, prestare attenzione, monitorare il nostro comportamento ed interpretare i segnali sociali, ma soprattutto, possiamo sopprimere gli istinti emotivi (e.g., quando sono arrabbiata ti voglio ti**re un cazzotto) e pensare prima di agire. In altre parole, poiché non rimarrei viva a lungo se dessi cazzotti tutte le volte che sono arrabbiata, il mio cervello mi permette di analizzare la situazione e fare delle previsioni su quale sia l'opzione migliore, di volta in volta, prima di agire. E sceglierla. È come se nella nostra mente si svolgesse un costante tira e molla tra i bisogni emotivi guidati dal cervello mammaliano e la razionalità governata dalla corteccia prefrontale.
Il modo in cui queste due strutture si bilanciano plasma profondamente le nostre decisioni e comportamenti. E quando questi sistemi entrano in conflitto (cioè spesso!) ci portano ad azioni impulsive o decisioni "irrazionali". E sapete dove sta il problema principale? Che seppure la corteccia prefrontale è la parte più raffinata, questo non la rende la più "evoluta". Infatti, sta là ad evolversi da "soli" 12.000 anni, che sembrano tantissimi, ma ve lo ricordate il numero di prima per il cervello mammaliano? Vedete bene che è una lotta pressoché impari, una struttura di 200 milioni di anni per le emozioni VS una di 12 mila per gestirle in maniera flessibile. Eh.
Questa è una delle prime cose che spiego ai miei pazienti, e cioè che il nostro cervello è complicato. E non è colpa nostra. Frasi come "devo farcela da solo", "non sono mica matto", ormai non trovano più spazio... In terapia ci si va per capire, per diventare la versione migliore di noi stessi, per guarire dei conflitti che stanno là da una vita perché quello era il meglio che siamo riusciti a fare con ciò che sapevamo al tempo. Un po' come quando andiamo dal nutrizionista o dal personal trainer, perché vogliamo capire meglio come funziona il nostro corpo ed imparare ad essere più sani.
D'altronde, i problemi ce li abbiamo tutti. Perché tutti abbiamo questo cervello complicato. Perché questo conflitto ragione-emozione sta là da quando nasciamo e madre natura (seppure non scema), sta probabilmente ancora cercando di integrarli. Intanto, è principalmente tramite i nostri genitori e l'interazione con gli altri che impariamo come gestirlo. Ma vedete bene che se nessuno ce lo insegna (e spesso nessuno l'ha insegnato ai nostri genitori), è un po' difficile capire le basi del comportamento umano, così come è difficile capire che cosa succede all'insulina dopo 1kg di gelato.
La felicità, a mio dire, inizia dall'autoconsapevolezza. Inizia dal capire come funzioniamo e coltivare strategie cognitive ed emotive più adeguate, per aiutare a bilanciare il nostro "cuore VS cervello", o, per meglio dire, "neocorteccia VS sistema limbico". Nella speranza che ora non vi suoni più così strano.
O forse sì.