14/11/2025
Il silenzio di Sickar, il rumore dell'indifferenza.
– Il suo nome è Sickar Ablie. Non parla, ma il suo sorriso disarmante ed il suo zaino pieno di rami d’albero hanno raccontato ad Avellino una storia che la città per anni ha preferito non ascoltare: quella delle centinaia di persone migranti che l'hanno attraversata in silenzio, portando con sé un bagaglio di abusi, torture e profondo disagio.
Da settimane, la fragilità di Sickar ha mobilitato istituzioni ed associazioni. Eppure, non basta. Nella serata di ieri, i volontari di ARCI Avellino lo hanno trovato solo, al freddo di un angolo di strada. Dopo ore di attesa vana che qualcuno intervenisse, lo hanno accompagnato al Pronto Soccorso dell'Ospedale Moscati. Lì sono rimasti fino alle 2.30 di notte, per assicurarsi che un ragazzo con un evidente e profondo malessere ricevesse non solo cure, ma anche un consulto psichiatrico indispensabile.
Ora Sickar è di nuovo ricoverato, ma la sua storia è un copione che si ripete: è già fuggito tante volte da quel reparto, firmando dimissioni volontarie con una consapevolezza che è legittimo mettere in dubbio.
La vicenda di Sickar Ablie scoperchia un sistema che non funziona. La gestione delle vulnerabilità della popolazione migrante non può e non deve essere affidata all'empatia del momento e alla buona volontà dei singoli. Mentre Prefettura, Ambito Sociale e medici si mobilitano in cerca di una soluzione, le istituzioni restano impantanate in procedure lente ed in una cronica mancanza di comunicazione coordinata. Dall'altra parte, le associazioni, relegate a un ruolo di mera sussidiarietà ed azione mutualistica, sono private degli strumenti per un agire fattivo e risolutivo.
Così, le centinaia di Sickar Ablie restano invisibili, ombre vissute come un problema da respingere.
In questo vuoto, viene ignorato uno strumento essenziale: la mediazione linguistico-culturale. Non si tratta solo di veicolare informazioni, ma di costruire quel rapporto fiduciario che è la chiave di volta di qualsiasi presa in carico. Su questo, il territorio provinciale possiede un patrimonio di esperienze, con associazioni di migranti nate proprio per fare da collante tra le diverse comunità e la città. L'episodio di ieri sera ne è la prova lampante: è stato solo grazie al prezioso intervento del circolo Arci dell'associazione gambiana che Sickar, sentendosi compreso, si è finalmente affidato con fiducia ai volontari e alle istituzioni. Questo è un patrimonio di competenze umane e professionali che deve essere riconosciuto e valorizzato per il bene di tutti.
Il Terzo Settore, quella forza quotidiana, preparata e capace che opera sul territorio, non può continuare ad essere il tappabuchi dell'inefficienza e dell'inadeguatezza. La storia di questo ragazzo deve diventare il punto di svolta.
Come ARCI Avellino chiediamo che questa mobilitazione si trasformi in una collaborazione fattiva e strutturale. Chiediamo la convocazione di un tavolo permanente per definire un piano di intervento chiaro e stabile per la presa in carico delle vulnerabilità, che valga per Sickar e per tutti coloro che, dopo viaggi interminabili di violenza, attraversano l'oscurità di città troppo impegnate per accorgersi di loro.
È tempo di riconoscere le competenze del Terzo Settore in un'ottica di co-programmazione istituzionale, che cristallizzi percorsi chiari e consapevoli. Questo è l'unico modo per aiutare davvero Sickar Ablie, andando oltre i post sui social, oltre gli sguardi compassionevoli ed oltre l'encomiabile sacrificio di chi non si è mai voltato dall'altra parte.