08/08/2023
LA FORMA E COME “RIEMPIRLA”
Salvo pochissime eccezioni, lo studio delle forme occupa un posto di rilievo nell’insegnamento di tutte le arti marziali.
Non c’è praticante di Karate o di Silat che trascuri lo studio dei Kata o dei Jurus, perché attraverso di essi si è perpetuata, generazione dopo generazione, la trasmissione della disciplina.
Nessun praticante, però, pratica esclusivamente le forme, esistono infatti altri strumenti che, didatticamente, vengono ‘prima’ delle forme “di base” (come lo studio dei “fondamentali”) e metodi che vengono proposti contestualmente alle forme più avanzate. Parliamo, ovviamente, del combattimento o, in senso lato, del “confronto”, espletato nelle sue diverse tipologie codificate e “libere”.
Senza interazione con un avversario, qualunque arte marziale perde la sua essenza originaria e, in ultima analisi, anche il suo scopo ultimo.
A questa logica sembra sfuggire un certo insegnamento del Taiji, fatto in chiave essenzialmente “salutistico-meditativa”, nel quale la forma diventa spesso una sorta di “totem” intoccabile, un oggetto di culto totalizzante spacciato come il Taiji stesso. In realtà la forma è solo uno strumento di studio, magari il più importante, ma solo un mezzo e non un fine: devono essere pertanto utilizzati anche altri strumenti per godere di un insegnamento completo.
Lo studio della forma è comunque imprescindibile. Ma qualunque forma va intesa come una sorta di “contenitore” che va “plasmato” in previsione di versarvi dentro "qualcosa”.
La costruzione della forma parte dalla comprensione e dalla realizzazione di alcuni fattori:
- il movimento corretto (precisione dei gesti);
- la struttura perfettamente allineata;
- la ricerca del “Song” (rilascio attivo delle tensioni).
A questo proposito qualche maestro parla di “svuotare il corpo della forza sporca”.
Una volta che la forma viene liberata da questo genere di forza indesiderabile (ma è quella che si usa di solito nella vita quotidiana) si cerca di ottimizzare la sincronia, la connessione fra le diverse parti della struttura corporea, l’armonizzazione delle tensioni. Esse vengono via via allentate, senza peraltro arrivare alla “mollezza”, tutt’altro. Si cominciano quindi a distinguere differenti qualità e tipologie della cosiddetta “forza addestrata”.
A un livello superiore, la tensioni muscolo-tendinee diventano esclusivamente “espansive”; praticando la forma si riesce a governare costantemente quel processo fisiologico che i cinesi chiamano tradizionalmente “dui la” (possiamo tradurlo come “stretching interno”).
A questo punto l’energia del movimento viene prodotta essenzialmente attraverso fasi di “pressione e decompressione” che muovono dal basso verso l’alto e viceversa.
L’uso del corpo, da “meccanico” diventa (passateci il temine) “idraulico”. L’energia espressa nel movimento si muove lungo il corpo come “onda di pressione” (dal suolo e dai piedi fino alle estremità).
Un ulteriore salto qualitativo della forma avviene quando l’attenzione ininterrotta e l’Intenzione che generano le pressioni e il movimento stesso partono da uno strato della mente molto più profondo di quello consuetudinario. In questo caso è l’interno (il contenuto) che genera l’esterno (il contenitore); mentre l’esterno (la forma) va a nutrire costantemente l’interno (l'energia).