30/07/2024
DI PRESSIONE E PERFORMANCE, MA ANCHE DI EMPATIA E DI ATTENZIONE ALLA COMPLESSITÀ
Che siamo nella società della prestazione, lo sappiamo benissimo, già da tempo. Se poi questa idea la inseriamo nel contesto sportivo ad alto livello, la performance diventa l’unica cosa a cui dare importanza.
Sto seguendo le olimpiadi di Parigi, ma soprattutto osservo e ascolto.
Pare non esserci spazio per le emozioni, nemmeno a gara ultimata.
non può essere felice per un quarto posto in cui non sperava, non può essere contemporaneamente frustrata e arrabbiata per quello str***o (cito) di un centesimo che l’ha lasciata senza medaglia al collo. A 19 anni deve giustificare delle lacrime che possono essere di gioia per un risultato eccellente ma anche di fastidio per una prova che avrebbe potuto consacrarla tra i campioni olimpici. Perché la giornalista è allibita che lei possa essere felice senza essere salita sul podio, perché la commentatrice “rabbrividisce” davanti a quelle parole, incredula che un’atleta giovane possa mettere davanti al metallo della gloria la soddisfazione di essere arrivata 4* tra le migliori atlete del mondo.
Dov’è l’ empatia che ci permette di scorgere la complessità emotiva di chi abbiamo di fronte? O perlomeno di non giudicare sulla base della certezza che la nostra visione sia l’unica possibile? Non siamo in grado di vedere oltre quel momento? La fatica, la sofferenza, l’impegno, insieme a molti aspetti personali (perché sì, l’atleta è una persona, caso mai ce lo dimenticassimo) che non possiamo conoscere, fanno parte del bagaglio con cui si arriva alla gara e colorano la competizione e il risultato di una tinta che solo la persona conosce e può comprendere.
L’umiltà di non sapere tutto può essere un valore da riscoprire, anche in ambito sportivo.