17/09/2025
Ciao Paolo.
Paolo Mendico aveva soltanto 15 anni. Aveva un sorriso timido e passioni semplici: la musica, la cucina, le giornate di pesca col padre. E gli piaceva portare i capelli lunghi. Amava i suoi capelli. Ma proprio per questo lo chiamavano Paoletta. E così aveva finito per tagliarseli tutti. Voleva solo che la smettessero.
Ma loro hanno continuato.
Lo aspettavano nei bagni, lo spintonavano, lo umiliavano davanti a tutti.
A casa, i genitori hanno capito subito che qualcosa non andava: quel figlio che amava sorridere tornava spaventato, chiuso in sé stesso. Hanno chiesto aiuto agli insegnanti. Ma in cambio hanno ricevuto solo porte chiuse, sguardi bassi, giustificazioni. “La scuola non ci ha mai ascoltato”, ripetono oggi Giuseppe e Simonetta, con la voce rotta dal dolore.
Paolo ha resistito a lungo. Ma mercoledì scorso non ce l’ha fatta più. Il padre lo chiamava perché stava facendo tardi. Ma Paolo aveva già deciso che quel giorno a scuola non ci sarebbe andato.
Oggi, però, i compagni di classe — come riporta il Corriere della Sera — arrivano a dire: “Non abbiamo fatto niente”. Mentre la dirigente nega responsabilità e sostiene: "Siamo tutti scossi, sia come corpo docente, sia ovviamente tutti gli studenti. E quel che dispiace è vedere raccontato l'accaduto in un contesto in cui si è fatto di tutto per arginare il disagio, in cui per questo da anni vinciamo premi."
Ecco, vincono premi loro. E sono tutti scossi. Infatti Paolo era amato e benvoluto da tutti. Talmente benvoluto che al suo funerale si è presentato un solo compagno. UNO. Nel cimitero dove riposa non ci sono biglietti o fiori lasciati dai suoi coetanei. Niente.
Questo è l’altro volto del bullismo: non ci sono solo quelli che offendono. Ci sono anche i silenzi. Quelli che voltano lo sguardo, che fingono di non vedere, che non hanno il coraggio di schierarsi. È così che i bulli diventano più forti. È così che chi subisce si sente sempre più solo. È così che le vittime un giorno decidono di mollare.
E allora, a voi che oggi vi dichiarate “innocenti”: dov’eravate quando Paolo era vivo? Quando cercava disperatamente una mano tesa, un insegnante che lo ascoltasse? Ma come osate rendere simili dichiarazioni. Neppure avete avuto il coraggio di presentarvi al suo funerale.
Paolo non è arrivato a quel gesto soltanto per gli insulti. È stato tradito dall’indifferenza. Dalla superficialità di chi ha scelto di non vedere. Dal silenzio di una scuola che avrebbe dovuto proteggerlo. Da una società che continua a minimizzare, a dire che “sono solo ragazzi”.
Paolo è il simbolo di un fallimento collettivo. Dell’incapacità di proteggere i più fragili. Di un silenzio colpevole.
La sua famiglia — i genitori Giuseppe e Simonetta, il fratello Ivan — oggi chiedono solo una cosa: che questa storia non venga dimenticata. Che Paolo non diventi l’ennesima ombra persa nel silenzio generale.
Perché ogni volta che accade, non è solo un ragazzo a spegnersi. Ma un pezzo della nostra umanità.
Massimiliano Caruso
(alias “Come sorridere in un mondo contorto”)