Dott. Cardi Andrea

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Dott. Cardi Andrea Psicologo-psicoterapeuta, specializzato presso il centro di psicoterapia dinamica integrata ad orientamento analitico-transazionale.

Svolgo attività in studio privato con sede a Ferrara e a Comacchio ed effettuo anche colloqui psicologici on line.

“Mamma, ho l‘ansia” Stefania Andreoli
13/01/2024

“Mamma, ho l‘ansia” Stefania Andreoli

“un’emozione universale, spesso spiacevole, legata ad eventi di preoccupazione, che non tutti avvertiamo nello stesso mo...
02/04/2023

“un’emozione universale, spesso spiacevole, legata ad eventi di preoccupazione, che non tutti avvertiamo nello stesso modo.”

Come affrontare l'ansia in una fase cruciale di crescita per i ragazzi? Questo è il tema sviscerato venerdì mattina al teatro Arena, nel corso dell'incontro "LiberaMente", organizzato dal Comune di Codigoro e dal polo Guido Monaco di Pomposa, in collaborazione con il servizio per le dipendenze pat...

02/12/2021

“Praticare la psicoterapia, non significa fare qualcosa al soggetto, né convincerlo a fare qualcosa per sé; si tratta invece di liberarlo perché possa crescere e svilupparsi in modo normale, e di rimuovere ostacoli in modo che possa andare avanti”.

Carl Rogers

05/10/2021

“L’egoismo accentuato protegge dalla sofferenza ma infine bisogna cominciare ad amare per non ammalarsi”
Freud, Introduzione al Narcisismo (1914)

30/08/2021
22/05/2021

La Repubblica – 21 05 21

LETTERE – Francesco Merlo

Caro Merlo, ho letto i suoi scambi sulla scuola. Ho 17 anni e trovo assurdo dover ricordare che gli studenti non devono essere "consegnati" agli insegnanti come pacchi, suddivisi tra "somarelli" bocciati e quelli che ce la fanno. Specie adesso che siamo subissati di verifiche e lezioni nozionistiche dopo avere lamentato i limiti della Dad. L’insegnamento è un processo in due direzioni ed entrambe meritano rispetto. Frasi come «ti spezzo anche l’altra gamba» e simili non devono uscire dalla bocca di un
professore neanche con una presunta accezione scherzosa. L’adolescenza è complicata e, purtroppo, la maggior parte degli insegnanti di pedagogia (per me assurdamente) non ne sa abbastanza. Per il resto sono d’accordo: i genitori parlano troppo. Facciamo parlare gli studenti.

Simone Pugliese

Dal 1974 gli studenti hanno il diritto di parlare negli organi collegiali, di contestare il nozionismo e ora ce l’hanno pure di occupare. Ne approfitterei molto di più. È vero che la pandemia ha stressato tutti e dunque pure voi, ma promozioni e bocciature non sono cattiva pedagogia. Sono valori da difendere.

27/03/2021

Corriere della Sera del 26.03.21
GLI EFFETTI PSICOLOGICI DELL’ECCESSO DI VIDEOCHAT
Comunicazione e pandemia Contatti visivi troppo ravvicinati e prolungati con un’altra persona, soprattutto con la sua faccia, creano un contesto relazionale artificioso

di Massimo Ammaniti

Zooming, ossia comunicare con Zoom o con altre piattaforme, ha cambiato le nostre vite e quelle dei ragazzi in quest’ultimo anno. Si fa zooming quando si vuole comunicare cogli amici e coi familiari, quando viene fatta la didattica a distanza, quando si fanno incontri di lavoro, quando si fa la psicoterapia, quando si fanno conferenze di ogni genere. Ore e ore davanti allo schermo, focalizzati sul viso degli interlocutori e con un occhio sulla propria immagine in cui ci si rispecchia.
E che effetti psicologici ha lo zooming? Dopo ore e ore davanti allo schermo ci si sente spesso stanchi, svuotati, quasi alienati dentro lo schermo che ha divorato le energie mentali e fisiche. Si tratta di impressioni molto diffuse, ma che sono state studiate nel Laboratorio di Interazione Umana Virtuale presso la Stanford University. Le prime conclusioni sulle conseguenze psicologiche dello zooming sono state pubblicate dal direttore del laboratorio, Jeremy Bailenson, sulla rivista scientifica Technology Mind and Behavior.
Contatti visivi troppo ravvicinati e prolungati con un’altra persona, soprattutto con la sua faccia, creano un contesto relazionale artificioso, ben diverso dagli scambi a cui si è abituati, nei quali ci si guarda in faccia solo per breve tempo e poi si sposta l’attenzione. Essere sempre al centro dello scenario è stressante, come succede a volte in quei sogni nei quali ci si trova su un palcoscenico sotto gli occhi degli spettatori con l’ansia di non essere all’altezza.
Anche la vicinanza eccessiva rischia di violare un codice relazionale di sicurezza personale, non ci si può avvicinare troppo al viso di un’altra persona se non in situazioni di intimità o di litigio. E questa vicinanza innaturale rischia di provocare una forte attivazione cerebrale che si prolunga nel tempo. Per evitare questo effetto, Bailenson della Stanford University consiglia di non attivare l’immagine completa sullo schermo.
Durante le chat è presente anche l’immagine personale in cui ci si rispecchia continuamente, anche questa una condizione artificiosa perché quando parliamo cogli altri non abbiamo uno specchio che ci rimanda la nostra immagine. Questo rispecchiamento crea tensione obbligando ad avere un’oscillazione continua fra l’immagine degli altri e la propria con uno stato di vigilanza su quello che si fa.
Anche la posizione che si assume durante la videochat non va trascurata. Infatti quando si parla con un’altra persona ci si muove, si gesticola, a volte ci si alza, quasi per facilitare il pensiero e l’espressione verbale ma anche per connotare ulteriormente quello che si vuole dire. Davanti allo schermo il lessico comunicativo diviene necessariamente più rigido, meno ricco di sfumature e di modulazioni. È proprio il comportamento extraverbale ad essere più negativamente condizionato dalle videochat, tenendo presente che questa comunicazione ci accompagna dall’alba dei tempi, anche prima della comparsa del linguaggio. Infatti quando due persone si incontrano nella vita reale si guardano reciprocamente in viso e negli occhi per cogliere l’atteggiamento dell’altro e per prepararsi all’incontro. Anche la posizione del corpo, i gesti, la dinamica dei movimenti sono indizi che aiutano a farsi un’idea dell’altra persona. Davanti allo schermo lo scambio relazionale si impoverisce e diventa difficile cogliere i segni extraverbali che aiutano a orientarsi nel contesto sociale.
È stato inevitabile che in quest’ultimo anno, soprattutto nei periodi di lockdown, si ricorresse alle videochat che ci hanno aiutato a sentire in modo meno acuto l’isolamento e la solitudine, ma allo stesso tempo hanno creato un contesto innaturale di scambi sociali, nei quali il lessico relazionale si è impoverito creando nuove abitudini che rischiano di perdurare e di perpetuarsi. È vero che l’uomo è per sua natura opportunista e si adatta anche a situazioni estreme, ma i costi possono essere troppo elevati soprattutto per le nuove generazioni che stanno acquisendo i codici relazionali e sociali. Non a caso i ragazzi quando ritornano a scuola cominciano a rivivere non solo mentalmente, ma anche col corpo che ridiventa attivo e pienamente partecipe alla vita sociale. Si ritorna a vivere in una dimensione tridimensionale con una profondità mentale e corporea a differenza della bidimensionalità degli strumenti tecnologici che appiattiscono le relazioni sociali.

Buoni propositi 2021, soprattutto in un periodo in cui non è possibile viaggiare per scoprire nuove terre.
03/01/2021

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Breve profilo degli adolescenti oggi a Ferrara - “La strada dell’adolescenza”
10/11/2020

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03/11/2020

Corriere della Sera – 02 11 20

Gli amortali

di Alessandro D'Avenia

I morti hanno a che fare con i vivi: l’ho imparato sin da bambino. Nella notte tra l’1 e il 2 novembre, nella mia Palermo, la tradizione voleva che fossero i defunti a portare regali, tra questi i caratteristici «pupi di zucchero». Poi nel multicolore freddo autunnale si andava al cimitero. I Greci lo chiamavano necropoli, città dei morti, convinti che dopo la morte diventiamo ombre che si aggirano in una incolore e triste imitazione della vita. Opponevano quindi la solidità delle case-tomba all’oblio: la pietra, fissando il nome, consentiva all’individuo di non sparire del tutto. In fondo erano loro ad aver dato agli uomini il nome del loro destino: «i mortali». Sapere di essere tali era l’origine dell’amore per la vita e quindi della creatività della cultura, che è infatti ciò che l’uomo di ogni epoca oppone alla morte. La morte ci costringe a definire ciò che per noi ha veramente valore. Per loro la morte era anonimato e oblio, e strappare un individuo a queste forze era strapparlo alla morte: l’eroe la sconfiggeva facendosi un nome eterno. Meglio una vita breve ma memorabile che lunga e anonima: in questa scelta c’è tutta la storia greca da Achille ad Alessandro Magno. Poi arrivarono i cristiani e preferirono la parola «cimiteri», perché il ca****re era solo la scorza di un seme nato a nuova vita. Cimitero significa infatti giaciglio come la terra è il letto del seme: la morte è solo il passaggio dal seme al germoglio. Ogni sera noi «moriamo» un poco mettendoci orizzontali, ma è una morte che porta la vita attraverso il riposo.
D’altronde erano stati proprio i cristiani a cambiare il modo di indicare gli uomini, tra loro si chiamavano «i viventi», non più i mortali. Sapevano che c’era la morte, ma era solo un «sonno». Anche per la cultura cristiana l’esistenza acquisiva così pieno slancio, perché era il luogo e il tempo in cui la Vita che non muore germoglia in chiunque voglia accoglierla: «Sono venuto perché gli uomini abbiano la vita e la abbiano in abbondanza» dice Cristo. Se l’eroe antico mostra ciò che l’uomo può fare con le sue forze, il santo (l’eroe cristiano) mostra ciò che Dio può fare nell’uomo. In entrambe le visioni, pagana e cristiana, la morte è così presente che genera un effetto creativo e propositivo sulla vita terrena: passione, ricerca, impegno... I «mortali» per guadagnare l’immortalità, i «viventi» per riceverla in dono. E noi oggi che rapporto abbiamo con i morti e quindi con la morte? Ci sono rimasti Halloween e gli zombie dei film, perché abbiamo scelto di considerare la morte la debolezza di un’umanità arcaica e immatura. Per noi progrediti la morte non esiste più. Ma che riflesso ha questo sulla vita?
Siamo cresciuti in una cultura di soddisfazione del desiderio ed ebbrezza tecnica senza precedenti. Ci sentiamo liberi: ciò che è permesso e ciò che è possibile non hanno o non avranno presto più confistro libertà e progresso sono per noi un tutt’uno. Poi, all’improvviso arriva il virus, e l’illusione si sgretola: la morte torna reale, vicina, e la paura ha il sopravvento sulla razionalità e l’azione.
La parola paura ha la stessa radice di pavimento. Paveo (in latino: ho paura, da cui pavido e impavido) in origine indicava «l’esser percossi». La paura colpisce il corpo come i passi il suolo. Amo questa strana e antica parentela tra paura e pavimento: il timore ci costringe a puntare i piedi e scoprire su cosa abbiamo costruito. La paura sta mettendo alla prova le fondamenta del noni, vivere: il pavimento della nostra vita. Se camminavamo sulle sabbie mobili affonderemo, ma dalle sabbie mobili si esce aggrappandosi a un elemento esterno e stabile. Il virus ci sta obbligando a cercarlo, ricordandoci che la morte c’è ancora e che la soddisfazione di ogni desiderio unita al progresso senza limiti non bastano per essere felici.
La rimozione della morte ci ha reso come bambini che vanno incontro a prese elettriche e finestre aperte come fossero divertimenti. Abbiamo deciso di far finta che la morte non esista: l’abbiamo rimossa dal nostro vissuto quotidiano. Ulisse, Enea, Dante per trovare/tornare a casa devono prima incontrare i morti. Noi i morti li abbiamo fatti sparire. Ma la morte resta lì, limite invalicabile della vita e suo paradossale appello. Senza la consapevolezza e l’accettazione della morte, che crediamo o no nell’aldilà, non si può essere innamorati della vita: l’uomo crea, ri-crea e pro-crea per non morire. L’uomo «a-mortale» di oggi invece spesso«de-crea», cerca la sicurezza, rischia ben poco e quindi non evoca le energie che moltiplicano la vita, che è per lui un oggetto fragilissimo da proteggere da ogni «colpo», da ogni «paura». Ma così si perde il gusto di vivere, perché la vita non è un oggetto ma la ricerca che i vivi conducono per trovare un antidoto alla morte: che cosa è più forte della morte? Essere a-mortali impedisce di trovare la risposta, perché tutto il coraggio per vivere dipende dal saper morire.
Senza l’accettazione della morte, non si può essere innamorati della vita

01/06/2020
31/05/2020

Certezza che i disagi psichici in Fase 2 cominceranno ad emergere, spiega Massimo Di Giannantonio, psichiatra e presidente della Sip

Interessante lettura in chiave psicoanalitica delle reazioni di adolescenti e adulti subito dopo l'inizio della fase due...
25/05/2020

Interessante lettura in chiave psicoanalitica delle reazioni di adolescenti e adulti subito dopo l'inizio della fase due.

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