07/08/2024
SULLA PAURA DELL’INTIMITÀ
Oggi cito questo scritto di Gabriele Policardo, che condivido totalmente, una fotografia chiara e fedele delle dinamiche relazionali di questi tempi. Da leggere e rileggere 📖🪶
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“Per me sei solo un amico…
Mi piaci, ma non voglio una relazione…
Hai frainteso!
Sono interessato, ma ho paura…
Vorrei continuare così per il momento e non fare altri passi più concreti… Non mi sento di prendere impegni…
Non so se funzionerebbe, meglio non rovinare questa bella amicizia!
Sono solo alcune delle frasi che leggo, come una valanga, ogni mattina nelle mail che ricevo e poi a tutte le ore, man mano che proseguono — in questo momento storico di alta dissociazione sentimentale — tutte queste migliaia di storie in cui, per lo più, si giunge a niente, salvo un immenso, snervante, avvilente spreco di energia e di bellezza.
Chi desidera, perde. Chi scappa e distrugge tutto, vince.
L’intimità fa paura. Tutto ciò che coinvolge emotivamente è da bandire. Quel che consente un respiro più profondo, un più alto livello dell’essere, una condivisione divina, un momento di felicità, va severamente vietato. Non come principio generale: ciascuno lo vieta a se stesso.
Non occorrono leggi: ognuno si fa la sua repressione e si esclude dal gioco della vita. Ecco la nostra civiltà progredita iperconnessa di zombie: una notte di morti tecnologici viventi.
Poiché chi desidera è in un movimento verso la vita, chi si tira indietro è in un movimento verso la morte.
Spesso, chi fugge dall’amore sta sostenendo, inconsciamente, una situazione familiare drammatica. Non ha dunque energia per guardare alla propria vita. Questo in molti porta a conseguenze anche gravissime.
Tuttavia, strada facendo, disseminano il proprio dolore e lo spargono sulle vite degli altri.
Sembra un gioco terribile, al confine con la nevrosi collettiva.
Molti sono caduti in questo genere di dinamica. Le persone si conoscono, si attraggono, si avvicinano. Poi, drammaticamente, una delle due — indifferentemente uomini e donne — si tira indietro e sparisce. Si mantiene a una distanza di sicurezza. L’altro entra nel dolore e nello sgomento. Poi, si sente dire frasi come quelle raccolte nell’apertura.
In questo, agisce naturalmente un tremendo gioco di potere.
Sedurre l’altro, renderlo dipendente, portarlo ad esporsi e poi ritirarsi è un atto di narcisismo che dà sempre un certo funereo piacere. Dire: “Guarda che hai tu un problema” è una forma di vampirismo criminale.
L’amore, con l’intimità, è quello che rende gli esseri umani simili agli Déi: è l’amore che produce ampiezza, inclusione, distensione, respiro, desiderio verso il futuro e la vita, progetti, servizio alla vita e libertà.
Chi rifiuta, al contrario, vive in una compressione costante. In apnea, in una tensione al limite del sopportabile, in uno stress continuo, nell’esclusione, nella repressione, nella lotta, nel controllo maniacale, nel guardare alla morte.
Desiderare è un atto di responsabilità.
Creare e condividere, una forma di manifestazione superiore.
La malattia più diffusa non è virale o psichica: è una malattia dell’anima. Io la chiamo la “Grandite”. Siamo tutti dei bambini che fanno i grandi. Che si tengono a distanza, che guardano dall’alto e con superiorità. Che non si coinvolgono, che non chiedono amore, che non si compromettono e non rischiano, ad esempio, l’abbandono, il rifiuto, la tristezza.
Tenersi a distanza di sicurezza tranquillizza. Vivere in apnea, in tensione, nella rigidità e nel controllo, risulta una pratica più conveniente che toccare il cielo con un dito e dover imparare a relazionarsi.
La paura del cambiamento e della trasformazione sono parte del problema. Questi malati di Grandite vogliono sovvertire un ordine naturale, che è: ciascun essere è in comunicazione con il mondo circostante, e finché vive, deve dare e prendere. Qualcosa deve entrare dal corpo, qualcos’altro deve uscire. Così è nell’anima.
Benché dominata dal sesso, è una civiltà tremendamente votata alla castità. Una castità malata, imposta. In cui gli uomini che guardano le donne con desiderio sono ormai automaticamente assassini e chiunque desidera commette un peccato mortale.
Questa castità è tale anche quando si prende amore qua e là e poi si scappa. Quando non si accetta alcun impegno. Quando si vive un amore sempre e comunque irresponsabile. Perché anche accogliere il proprio bisogno e condividerlo è un atto di crescita, amore e responsabilità.
Poi, a sera, ognuno torna a casa sua e “chatta” finché la stanchezza non lo inghiotte e forse, entrando in un sogno — se la sua mente intossicata non lo perseguita e limita anche lì — è libero, o quasi, di desiderare quel che vuole e di entrare in uno scambio reale. Senz’altro più reale di quello che ha da sveglio, nel grande gioco della fuga dalla vita.”
Valentina Tutino