29/04/2025
𝑰𝒎𝒎𝒖𝒏𝒐𝒕𝒆𝒓𝒂𝒑𝒊𝒂 𝒆 𝒕𝒖𝒎𝒐𝒓𝒊, 𝒍𝒂 𝒈𝒓𝒂𝒏𝒅𝒆 𝒔𝒗𝒐𝒍𝒕𝒂 𝒏𝒆𝒍𝒍𝒂 𝒄𝒖𝒓𝒂
𝒅𝒆𝒍 𝒄𝒂𝒏𝒄𝒓𝒐. 𝑴𝒂 𝒖𝒏𝒂 𝒑𝒓𝒆𝒗𝒆𝒏𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆 𝒔𝒊𝒔𝒕𝒆𝒎𝒂𝒕𝒊𝒄𝒂 𝒓𝒆𝒔𝒕𝒂 𝒄𝒓𝒖𝒄𝒊𝒂𝒍𝒆.
Se vent’anni fa avessimo scritto che il sistema immunitario sarebbe diventato l’arma più letale contro il cancro, ci avrebbero probabilmente presi per sognatori o, peggio, derisi. Se avessimo aggiunto che in certi tumori la sopravvivenza sarebbe quadruplicata senza toccare bisturi senza provocare i fastidiosi effetti della chemioterapia classica, ci avrebbero internato. E invece eccoci qui: nel pieno di una delle rivoluzioni più straordinarie della storia della medicina moderna.
L’immunoterapia sta infatti trasformando il cancro da nemico invisibile e invincibile a bersaglio riconoscibile e spesso vulnerabile. Non sempre, certo, e non per tutti, ma quando funziona, funziona in modo che avrebbe fatto gridare al miracolo.
Per decenni abbiamo curato i tumori con quello che avevamo: resecarlo con la chirurgia, bruciarlo con la radioterapia, “avvelenarlo” con la chemioterapia. Tecniche rozze, certamente necessarie, ma sicuramente non evolute. Erano il nostro bombardamento a tappeto: prendere il tumore insieme a tutto quello che gli stava intorno, sperando di distruggerlo prima che distruggesse il paziente. L’immunoterapia ha cambiato completamente la strategia: non si bombarda più, si invia un commando segreto, altamente addestrato, che riconosce ed elimina il nemico senza devastare la città.
Il concetto è semplice quanto geniale. Il nostro sistema immunitario sa perfettamente come uccidere cellule anomale. Solo che il tumore, più furbo del previsto, ha imparato a camuffarsi, spegnendo i segnali che lo renderebbero visibile ai linfociti T, i killer naturali del nostro organismo. La medicina, anziché intervenire direttamente, ha deciso di rimuovere il camuffamento. Gli inibitori dei checkpoint immunitari - farmaci come il nivolumab, il pembrolizumab e l’ipilimumab - agiscono togliendo i freni al sistema immunitario. È come sbloccare un superpotere che avevamo sempre avuto, ma che non sapevamo come attivare.
I risultati? A dir poco clamorosi. Prendiamo il melanoma metastatico: sopravvivenza a cinque anni sotto il 5% con le terapie classiche. Oggi, combinando due immunoterapici, superiamo il 50% di sopravvivenza a lungo termine. In oncologia, dove migliorare anche solo del 5% i tassi di sopravvivenza è considerato un successo, qui parliamo di moltiplicarli per dieci. Numeri da standing ovation scientifica.
Un esempio? L’ex presidente Usa Jimmy Carter nel 2015, all'età di 91 anni, annunciò di essere affetto da un melanoma con metastasi al cervello e al fegato. Si sottopose a quelle che solo dieci anni fa erano cure sperimentali: è mancato pochi mesi fa, la vigilia di Natale, dopo aver spento 100 candeline.
E ancora: tumore polmonare non a piccole cellule, il killer numero uno al mondo. Fino a pochi anni fa, diagnosi di metastasi polmonare significava spesso avere davanti pochi mesi.
Oggi, con l’immunoterapia, una percentuale crescente e molto significativa di pazienti vive anni e anni, con una qualità di vita che era impensabile solo ieri. O pensiamo al linfoma di Hodgkin refrattario: i per fortuna pochi pazienti che non rispondevano alla chemio avevano prospettive desolanti. Ora, con l’anti-PD-1, il 70% risponde positivamente, e molti di loro sono liberi dalla malattia.
Non è tutto perfetto, sia chiaro. L’immunoterapia non funziona per tutti. Non in tutti i tipi di tumore, non in tutti i pazienti. E gli effetti collaterali non sono uno scherzo: liberare il sistema immunitario senza freni può scatenare infiammazioni severe in organi vitali come il fegato, il polmone, l’intestino. Ma a differenza della chemio, che colpisce tutto e tutti, qui parliamo di una risposta mirata, biologicamente intelligente.
La ricerca, naturalmente, non si ferma. Oggi sappiamo che il futuro passa dalle combinazioni: immunoterapia, anticorpi monoclonali (altri farmaci “intelligenti” che stanno dando risultati clamorosi) più chemioterapia, immunoterapia più radioterapia, immunoterapia più vaccini personalizzati contro neoantigeni tumorali.
Sì, vaccini contro il cancro, non preventivi, ma terapeutici: prodotti su misura per ogni singolo paziente, come un abito di alta sartoria biologica. Già oggi alcuni tumori del colon-retto con instabilità dei microsatelliti, che prima erano condanne senza appello, rispondono in maniera spettacolare a queste strategie. Per non parlare del nuovo vaccino, in sperimentazione in questi mesi, contro uno dei tumori più complicati, anche se per fortuna relativamente raro: quello del pancreas.
Ebbene il vaccino, basato sulla tecnologia mRna (quella, per capirci, usata nei vaccini anti Covid) ha dimostrato una grande efficacia in fase di sperimentazione in una larghissima fascia di pazienti e pare avere tutti i numeri per cambiare radicalmente la storia naturale di questa malattia, come tutti auspichiamo.
Bisogna però stare con i piedi per terra: la guerra contro il cancro non è finita, e chi promette cure universali, oggi, vende illusioni. Ma una cosa è certa: per la prima volta da quando questa battaglia è iniziata, non siamo più costretti solo a inseguire il nemico.
E come dice la maggior parte degli oncologi oggi la domanda non è SE riusciremo a risolvere la maggior parte dei tumori, ma QUANDO. E questa non è una speranza, ma una certezza. Abbiamo armi nuove, raffinate, e soprattutto abbiamo capito che il miglior alleato su cui possiamo contare è dentro di noi. Non la magia, non i miracoli, ma la scienza. Quella vera, quella che funziona.
Ed è proprio per questo che diventa sempre più fondamentale non arrivare tardi alla battaglia. Più riusciamo a scoprire i tumori nelle loro fasi iniziali, più alte saranno le probabilità che l’immunoterapia e i nuovi approcci terapeutici facciano il loro lavoro in modo efficace e definitivo.
Ecco perché aderire ai programmi di screening oncologico, dai pap-test alla mammografia, dal Psa ai test per il sangue occulto nelle feci, fino alle nuove biopsie liquide, che nei prossimi anni sono destinate a diventare routinarie, non è un consiglio, ma un obbligo morale verso se stessi e verso la ricerca, che ci sta offrendo possibilità che fino a ieri erano semplicemente impensabili.
Perché curare è meraviglioso, ma prevenire resta, sempre, la miglior strategia.
E, almeno ad oggi, ancora la più efficace.