Dr. Lucio Oldani

Dr. Lucio Oldani Medico Chirurgo, Specialista in Psichiatria, Psicoterapeuta

Violenza non è diagnosi. Quando un uomo uccide una donna, spesso si sente dire: “era disturbato”, “era pazzo”, “era mala...
09/04/2025

Violenza non è diagnosi.

Quando un uomo uccide una donna, spesso si sente dire: “era disturbato”, “era pazzo”, “era malato”.

Ma questa equazione - violenza = malattia mentale - è sbagliata, pericolosa, e profondamente ingiusta.

Semplifica l’inesplicabile. Deresponsabilizza la società. E, soprattutto, rafforza lo stigma verso chi, ogni giorno, convive con un disturbo psichico e non farebbe mai del male a nessuno.

Serve uno sguardo più complesso. Serve un linguaggio più responsabile. Serve educare all’affetto, al limite, al rispetto. Non bastano le condanne: serve prevenzione, serve cultura.

Questo post è un invito. A fermarsi. A riflettere. A scegliere le parole con cura, perché le parole sono semi.

E tu, cosa ne pensi?
Hai mai sentito attribuire la parola “follia” a un gesto violento? Come ti fa sentire?
Parliamone. Nei commenti, con rispetto.

                                 

Identità Che cosa ci rende chi siamo? Quali sono i nostri tratti distintivi? Dove si collocano i nostri contorni, oltre ...
27/03/2025

Identità
 
Che cosa ci rende chi siamo? Quali sono i nostri tratti distintivi? Dove si collocano i nostri contorni, oltre i quali non siamo più noi?

Queste domande sono complesse (saprete ormai che ci piace la complessità, che è poi l’unico modo per affrontare la vita) e le risposte non possono quindi essere semplici.

L’essere chi siamo è un processo che si genera nell’arco dello sviluppo. “Personalità” è un termine comune, che può essere utile ad indicare come una certa persona si declina nel mondo. Contribuiscono alla sua formazione alcuni aspetti innati, come il temperamento e l’intelligenza, e altri acquisiti, come il carattere, che si forma nella relazione dell’individuo con l’ambiente. Intuirete anche voi che le esperienze a cui un giovane essere umano si espone, siano esse vantaggiose o sfavorevoli, contribuiranno enormemente alla strutturazione della sua personalità. Allo stesso modo, anche le esperienze a cui quell’individuo, per vari motivi, non si espone, sono cruciali.
 D’altra parte (complessità!) è anche vero che, dato un insieme di esperienze avverse, un individuo potrà sviluppare dei tratti personologici patologici o non svilupparne affatto. Il rischio aumenterà, ma la psiche, sappiamo, non è in bianco o nero, al contrario ha molte sfumature.

(Continua nel primo commento)

 

“Basta. Non ne posso più! Adesso smetto di prendere tutti i farmaci”.Se avessi un Euro per ogni volta che qualcuno di vo...
20/03/2025

“Basta. Non ne posso più! Adesso smetto di prendere tutti i farmaci”.

Se avessi un Euro per ogni volta che qualcuno di voi l’ha pensato, avrei già messo da parte un bel tesoretto. E, con quello, mi regalerei la Tokyo Bike che sogno da tempo: costosissima, poco pratica, e incredibilmente bella… come tutte le cose più desiderabili e meno concesse a noi stessi.

Le motivazioni possono essere tante. Ne cito alcune, certamente non esaustive.

• Mi sembra che la terapia non faccia alcun effetto;
• La terapia starà anche funzionando, ma ora sto bene. Perché continuarla?, è da tanto che vado avanti!;
• Questi farmaci mi hanno fatto stare meglio ma mi hanno procurato anche [inserire qui effetto indesiderato];
• Sono stanco di dipendere da qualcosa, voglio farcela da solo;
• Mi sento giudicato/compatito/altro;
• Ce l’ha fatta Marco, ce la posso fare anche io;
• Voglio una gravidanza, meglio fare a meno degli psicofarmaci.

Ecco una decina di punti da rileggere a mo’ di vademecum, quando vi viene quel prurito lì, quello per cui prendereste tutti i vostri farmaci e li gettereste dalla finestra, o magari in faccia al vostro psichiatra, o anche nell’indifferenziato, contravvenendo così alle disposizioni del vostro Comune.

(Continua nel primo commento)

RitornareA volte abbiamo bisogno di allontanarci. Non perché non ci importi più, non perché abbiamo dimenticato. Ma perc...
03/03/2025

Ritornare

A volte abbiamo bisogno di allontanarci. Non perché non ci importi più, non perché abbiamo dimenticato. Ma perché la vita, con le sue tempeste e i suoi arcobaleni, ci chiede di mettere distanza.

Succede con le passioni che abbiamo amato, con le persone che ci hanno accompagnato, con i luoghi che abbiamo chiamato casa. Un giorno ci rendiamo conto che non siamo più lì. E non sappiamo bene quando sia successo.

Quando la mente è sovraccarica, la psiche attiva meccanismi di difesa: la distanza emotiva è uno di questi. È una pausa necessaria, un istinto di sopravvivenza. Sappiamo che certe cose ci fanno bene, eppure le lasciamo andare. Non per scelta, ma per necessità. E, mentre siamo lontani, il pensiero ritorna spesso a ciò che abbiamo lasciato. Ci chiediamo se sarà ancora lì ad aspettarci, se il tempo avrà cambiato tutto, se saremo ancora in grado di riconoscerci in ciò che un tempo ci apparteneva. E, in fondo, proviamo un senso di dispiacere, perché nonostante la distanza fosse necessaria, il legame non si è mai spezzato davvero.

(Continua nel primo commento)

                                                          

16/12/2024

Il Calendario dell’Avvento prosegue su IG. Vi aspetto lì!

Ci vuole (anche) forzaNon ho mai avuto una grande tendenza ad arrabbiarmi. Per indole - qualcuno direbbe temperamento, q...
13/10/2024

Ci vuole (anche) forza

Non ho mai avuto una grande tendenza ad arrabbiarmi. Per indole - qualcuno direbbe temperamento, qualcun altro carattere; ci sono delle differenze, che ormai conoscete anche voi che mi seguite da un po’ - sono un pacifico. Tendo a rimanere nei miei confini, lasciando totale libertà all’Altro e, anzi, rischiando di subirlo un po’, questo Altro, se appena appena mi distraggo. È sempre stato così, sin da giovanissimo. Ho sempre nutrito grande rispetto, a volte sproporzionata riverenza da adolescente, e come risultato ho spesso preferito accomodare che oppormi.

Tutto questo ha avuto una conseguenza sul mio modo di essere medico. È impensabile infatti che, dato un certo insieme di tratti personologici, questi non entrino almeno un poco nel nostro essere professionisti. Naturalmente, li possiamo (dobbiamo) regolare, ma non possiamo cancellarli. D’altra parte, non possiamo (ancora, dobbiamo) cancellare noi stessi, quando operiamo nel mondo, in qualsiasi veste: non potremmo continuare a farlo e, allo stesso tempo, stare bene.

Credo anche che chi ci sta di fronte possa apprezzare meglio il professionista, se la persona che sta dietro traspare delicatamente. La sagoma dell’individuo, solo intuita controluce, dona al professionista più credibilità.

(Continua nel primo commento)

                                                 

L'Aderenza al Trattamento Farmacologico - Una Mini Guida(Su Instagram: https://buff.ly/3xWqsCm)Ti è mai capitato di dime...
03/06/2024

L'Aderenza al Trattamento Farmacologico - Una Mini Guida

(Su Instagram: https://buff.ly/3xWqsCm)

Ti è mai capitato di dimenticare l’assunzione di un farmaco? O di prenderlo solo alcune ore dopo l’orario prestabilito? O di finire le medicine senza accorgertene e non assumerne per 2-3 giorni?

L’aderenza alla terapia farmacologica è una concetto fondamentale, caro ad ogni psichiatra. Ci raccomandiamo spesso e spesso ci arrabbiamo se scopriamo che i nostri pazienti non rispettano le indicazioni che forniamo. A buon diritto! L’aderenza al trattamento, nota anche con il termine inglese compliance, è l’elemento che più determina il miglioramento clinico e quindi l’esito del processo di cura. Ma è solo responsabilità dei pazienti? Oppure vuoi vedere che è anche un po’ colpa di noi psichiatri (e in generale medici) se le cose non vanno per il verso giusto?

In questa Guida vedremo insieme alcune ragioni di una scarsa attenzione alla terapia farmacologica e suggerimenti per ottimizzarla.

1. Cosa sto prendendo? La compliance al trattamento inizia ben prima di inghiottire la prima compressa. È fondamentale uscire dalla studio dello psichiatra capendo al meglio cosa si sta assumendo e perché. Ecco perché, personalmente, riservo grande spazio alla spiegazione del meccanismo di azione delle mie molecole. Dalla conoscenza deriva controllo, e ogni utente deve personalmente averne il più possibile all’interno del percorso;
2. Effetti indesiderati. Accusarne senza esserne stati informati prima può facilmente ridurre la fiducia di un paziente verso il proprio psichiatra e quindi portare ad un’interruzione non concordata della terapia. Conoscere gli effetti indesiderati più comuni è un diritto, e sorvolare questo nodo nella speranza che non ne nascano non porta a grandi risultati, nella mia esperienza. Su questo tema un’unica eccezione: alcuni pazienti con severi tratti d’ansia o particolari tratti di personalità potrebbero non beneficiare di informazioni troppo dettagliate. Ma questo va valutato caso per caso;
3. Reperibilità. Alcuni farmaci sono di difficile reperibilità sul mercato. Specialmente nel periodo estivo, il rischio di non trovare le molecole consuete o il brand di scelta è considerevole. È indispensabile che lo psichiatra si assicuri regolarmente con gli informatori farmaceutici delle scorte disponibili e non fornisca terapie temporaneamente discontinuate; allo stesso modo, ogni paziente dovrebbe procurarsi scorte coerenti con il proprio fabbisogno, giocando d’anticipo;
4. Pianificazione. Rendersi conto di aver terminato la confezione e non avere altro in casa è un classico. Raccomando sempre massima cura nel programmare in anticipo la distribuzione del proprio farmaco, in particolare se sono previste dosi crescenti (perché il consumo andrà ad aumentare, e quello che all’inizio sembrano tante compresse o gocce, si ridurrà rapidamente). Già dall’inizio della terapia bisogna segnare in agenda o sul calendario quando finiranno le confezioni, e pensare per tempo. Non possiamo aspettarci che il nostro psichiatra ci produca una prescrizione da un momento all’altro, e magari arrabbiarci se ciò non avviene, perché nemmeno dal parrucchiere andremmo senza un appuntamento, giusto?;
5. Orari. Il Sistema Nervoso Centrale (SNC) gradisce ricevere le stesse molecole alla stessa ora. Pensatelo come ad un Tamagotchi. Se l’orario passa, inizierà a brontolare, e la sua crescita (plasticità) cambierà. Quindi il risultato finale sarà una forma non brillante del classico pulcino della Bandai, ma uno sgorbietto sgraziato. E bisognerà ricominciare tutto daccapo. C’è un minimo di tolleranza, certo, che dipende dalla vita di ogni molecola (quindi non posso fare un riassunto in questa sede) e dal suo meccanismo di azione. Se quindi un margine di 60-90 minuti circa è sempre ragionevole, 4-5 ore possono fare la differenza, specialmente se accade spesso. Parola chiave? Sveglie sul cellulare e applicazioni ad hoc;
6. Vacanze. È indispensabile riporre una scorta di farmaco nella valigia da stiva e una nel bagaglio a mano, in caso la prima andasse smarrita. Ritrovarsi a destinazione senza medicine può rovinare le vacanze, specialmente se viaggiamo verso un Paese straniero, per cui è ancora più difficile trovare una soluzione. Tutti i farmaci possono dare sindromi da sospensione, non solo quelli psichiatrici. Lasciare il SNC improvvisamente senza terapia non significa sindrome da astinenza, ma proprio dimenticanza. Sarebbe lo stesso anche per gli antipertensivi;

(Continua nel primo commento)
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Glossario Psichico: BIOFILIA(Su Instagram: https://buff.ly/3xWqsCm)Messi davanti alla scelta tra abitare in uno spazio r...
30/05/2024

Glossario Psichico: BIOFILIA

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Messi davanti alla scelta tra abitare in uno spazio ricco di verde e uno equivalente ma costituito solo da materiali artificiali, quale sceglieremmo?

La tendenza a ricercare risorse vegetali è ancestrale. Ad oggi, abbiamo perso la dipendenza diretta dalla natura, ma solo perché la vicariamo acquisendone i frutti tramite una spesa al supermercato. In realtà, tutti sappiamo bene di essere legati ad essa.
Ma c’è molto di più di un aspetto puramente utilitaristico.
Il verde aiuta la psiche.
Le ricerche scientifiche sono concordi nel sostenere che una comunità che vive in spazi verdi è una comunità con una migliore qualità di vita. I meccanismi attraverso cui ciò avviene sono molteplici.

In un tessuto urbanistico, più spazi dedicati alla vegetazione significano un miglioramento della qualità dell’aria e una riduzione del calore globale. Questo è specialmente prezioso per chi soffre d’ansia, nemica giurata delle alte temperature. Ancora, aree verdi corrispondono a luoghi senza autovetture o altre sorgenti di stimoli uditivi o visivi avversi, promuovendo allo stesso tempo alternative migliori tramite texture, profumi, colori e suoni distensivi. Questo è particolarmente utile a chi si colloca sull’ampio spettro dei disturbi dell’attenzione o dell’autismo.

Pensiamo inoltre a come possono essere utilizzati gli spazi verdi più ampi, come i parchi. Attività fisica e coesione sociale permettono un aumento del tono dell’umore e un generale senso di appartenenza ad un gruppo. In certi ambienti possono essere promosse attività meditative che, a loro volta, riducono i livelli di stress. A qualsiasi età, la partecipazione ad eventi condivisi favorisce un senso di gratificazione, alimentando direttamente il circuito della ricompensa (che così può fare a meno di altre sorgenti sfavorevoli di dipendenza).

Alcune forme di cura del verde sono addirittura diventate opzioni di trattamento, come l’orticoltura terapeutica, operata dai tecnici della riabilitazione psichiatrica (e non solo) specialmente per individui con schizofrenia o malattia di Alzheimer. La cura di un giardino aiuta a stimolare funzioni cognitive come la percezione, l’attenzione, la memoria, l’apprendimento, il pensiero, il processo decisionale e il linguaggio.

La presenza di vegetazione nella vita di ogni individuo è quasi indispensabile. La biofilia viene praticata più o meno consapevolmente: alcuni non sanno di amare le piante ma se ne rendono subito conto se vengono a mancare, mentre altri lo sanno già e cercano di introdurle il più possibile nella propria vita.

Proposta nel 1984 da Wilson come ipotesi scientifica sperimentale, la biofilia può essere toccata con mano da chiunque, ad ogni età. La ricerca del verde può avere un costo sia pratico che simbolico, perché come tutte le cose belle richiede impegno, ma ne vale la pena. Ciò è stato vero anche per me.

La mia recente ristrutturazione ha ruotato interamente attorno ad uno spazio preziosissimo, che è arrivato per ultimo, ma proprio per questo è ancora più speciale: un piccolo giardino privato. Sono grato a Paola Maria Traspedini () per averlo reso un luogo magico, mostrando perizia, delicatezza e ascolto. Che poi queste sono parole anche a me care, perché parti integranti della mia attività clinica.

Stare nel e prendersi cura del verde è un’opportunità per stare con e prendersi cura di se stessi. Non è una forma di terapia indipendente, certo, ma contribuisce al concetto di cura.

Ad oggi, non possiamo che implementare nei processi di convalescenza e, possibilmente, guarigione, tutti gli elementi che li favoriscono.

Tutto quello che è utile diventa automaticamente necessario quando si parla di salute. Anche e soprattutto quella psichica.

Glossario Psichico: SOMATIZZAZIONE(Su Instagram: https://buff.ly/3xWqsCm) “Ma io non ho ansia, ho solo questo dolore, ch...
18/04/2024

Glossario Psichico: SOMATIZZAZIONE

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“Ma io non ho ansia, ho solo questo dolore, che non mi lascia in pace”.
“No dottore, non sono preoccupato per nulla, vorrei solo che i fastidi allo stomaco sparissero”.
“Se questo acufene se ne andasse potrei trovare un po’ di pace, altrimenti per forza che son nervoso!”.

Cosa accomuna queste frasi? La presenza di un sintomo che non è di competenza primariamente psichiatrica, e l’esclusione soggettiva del paziente che possa esserci una qualche forma di tensione o ansia come sintomo del quadro di base.

Cefalea, dolori a tutti i distretti del rachide, algie alle articolazioni, difficoltà a deglutire, problemi di digestione, ipersensibilità cutanea, capogiro, parestesie, ronzii alle orecchie, disturbi del sonno, etc. Potrei continuare.

Si tratta di pazienti che - a buon diritto - incontrano molti specialisti, prima di arrivare infine dallo psichiatra. Mi vengono mandati quando gli esami strumentali o biochimici sono negativi oppure, pur debolmente positivi, non sono sufficienti a spiegare una tale severità clinica. Così, i miei colleghi propendono per una spiegazione psichica, “funzionale” per così dire.

Ma cosa sono questi disturbi? Come vengono spiegati dal punto di vista psichiatrico? A che diagnosi corrispondono?
Il più delle volte possono essere spiegati come una forma d’ansia che ha manifestazioni tutte fisiche. Non è consueto, nel senso che, solitamente, c’è almeno un qualche correlato psichico. Ad esempio, il paziente sa dire che i suoi sintomi fisici peggiorano se si trova ad affrontare una situazione stressante, quindi riesce ad immaginare che, di fronte ad un ambiente stabile, soffre meno. D’altra parte è possibile che, in certi individui, non vengano riportati tanto aspetti psichici dell’ansia (anticipazione pessimistica del futuro, ruminazioni sul passato, aumentata allerta, paura di eventi imprevisti e altre declinazioni) e che questa su esprima quasi esclusivamente su un piano fisico. Quindi potrebbe essere posta una diagnosi di Disturbo Ansioso Generalizzato con maggior componente somatica. Se si indaga bene, a colloquio, poi si scopre che, sotto sotto, c’è eccome dell’ansia, di cui magari l’individuo non è completamente consapevole.

Ma, proprio perché il quadro clinico è sfumato, il DSM ammette un altro capitolo, quello dei Disturbi da Sintomi Somatici, che ha inglobato tanti Disturbi autonomi nelle precedenti versioni del DSM e anche nell’immaginario comune (es. “Ipocondria”). In questi disturbi non è tanto l’ansia che viene chiamata in causa, quanto l’interferenza che alcuni sintomi fisici hanno sul funzionamento dell’individuo a prescindere da essa.

Esistono anche altri quadri clinici dove il soma si fa sentire in modo prepotente, ad esempio alcune forme depressive, specialmente nell’età avanzata, oppure in alcuni disturbi di personalità.

A prescindere dalla eventuale diagnosi psichiatrica, quello che mi preme specificare è che, non perché non esiste una base organica ben definita al proprio disturbo fisico, allora esso è meno meritevole di attenzione e cura.

Esistono delle spiegazioni complesse, di tipo neurofisiopatologico ma anche psicologico che ci spiegano come il dolore e le sfumature di questo siano complesse, di non univoca interpretazione e interconnesse. Ne parleremo nelle prossime puntate.

Partiamo sempre dal presupposto che, se sentiamo qualcosa, beh... siamo noi a sentirlo! E quindi meritiamo di ricevere una attenzione priva di giudizio da parte degli specialisti. L’esclusione di un fattore biologico specifico deve essere certa (se non fosse altro per le implicazioni terapeutiche), ma quando anche così fosse, quel disagio non perde di valore.

Perché noi non perdiamo mai di valore. Sia nella psiche che nel soma.

Vi aspetto nei commenti per condividere, se volete, la vostra esperienza. Nelle prossime puntate affronteremo chiavi di lettura diverse per interpretare questi sintomi.
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Glossario Psichico: ATTESA(Su Instagram: https://buff.ly/3xWqsCm) Una delle cose che, più frequentemente, mi è capitato ...
30/03/2024

Glossario Psichico: ATTESA

(Su Instagram: https://buff.ly/3xWqsCm)

Una delle cose che, più frequentemente, mi è capitato di fare in questo periodo di vacanza nel Borneo è stata attendere.
Attendere aerei, la fine della pioggia, traghetti, pasti, guide naturalistiche, ma soprattutto animali. In una vacanza che aveva come scopo principale l’osservazione della fauna locale, attendere un animale era il mio pane quotidiano.

Il culmine è stato raggiunto un giorno in cui, con enorme meraviglia, abbiamo incontrato un orangutan selvatico. Lo si vedeva a malapena. Abbiamo trascorso minuti e minuti ad aspettare che uscisse dal sottobosco. Ad un certo punto anche la nostra Guida stava per arrendersi e girare il barchino a motore.

(foto)

Questo episodio mi ha ricordato quanto sia necessario attendere l’Altro, per poterlo incontrare. Naturalmente, ciò richiede tempo, una risorsa inestimabile, che va quindi usata con parsimonia. Bisogna scegliere bene cosa o chi attendere. Bisogna essere sicuri che ne valga la pena. Ma è anche vero che l’attesa, ponderata, è sufficiente a se stessa. In quel tempo si rallenta, si esercita pazienza, ci si confronta con la frustrazione e si impara a dilazionare la gratificazione. E questo permette una crescita personale a prescindere dell’oggetto atteso. È qualcosa che faccio per me stesso.

Se l’orangutan fosse scappato nel profondo del bosco? Bella scocciatura! Vero. Quella, appunto, è la frustrazione. È qualcosa che non dipende da noi, accade, non ci possiamo fare nulla.

Spesso pensiamo all’incontro con l’Altro senza considerare che l’Altro va atteso e osservato. In silenzio, nei gesti, nelle espressioni. Se attendo qualcuno vale la pena che mi concentri su di lui, non è forse così? Va anche lasciato libero di esprimersi. Anche di non presentarsi, o farlo a metà. Anche in quello ci può essere un valore.

Questa vacanza mi ha ricordato il senso dell’attesa. Nell’aspettare risiede tutta la voglia di una esperienza. Poi, un altro pezzo spetta all’oggetto atteso. Non lo possiamo controllare. Questo è il bello del gioco. Possiamo solo dargli del tempo.
Finché…

(foto)

L’Altro può sentirsi desiderabile proprio perché siamo disposti ad attenderlo. Nonostante i suoi difetti o alla fine, dopo tanto lavoro, proprio per i suoi difetti. E, a volte, questo Altro può cambiare il suo comportamento se si rende conto che è atteso, quindi voluto, da noi.

L’attesa è un processo dove la fantasia può sprigionarsi e alla fine incontrare il reale. Il finale può gratificare o deludere. Ma importa relativamente. Quello che importa è che, nell’attesa, ho imparato a stare nel tempo, aspettando qualcuno che lo meritava.

A volte, quel qualcuno siamo noi.
Perché non c’è nessuno da amare con forza più di noi stessi, e quindi da aspettare con pazienza. Non credete?
Anche e soprattutto quando abbiamo più fretta.
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Vacanza(Su Instagram: https://buff.ly/3xWqsCm)Andare in vacanza non mi è mai stato facile. Nutro emozioni contrastanti r...
11/03/2024

Vacanza

(Su Instagram: https://buff.ly/3xWqsCm)

Andare in vacanza non mi è mai stato facile. Nutro emozioni contrastanti rispetto al concetto di vacanza. Mi stanco molto nel decidere dove andare, il programma, cosa mettere nella valigia. Prenotare i voli, scegliere l’albergo e i tragitti è, per molti, eccitante. A me genera ansia. Un’ansia anticipatoria che a fatica cede posto alla curiosità, solitamente solo dopo che sono arrivato alla meta da almeno da un paio di giorni.
Mi preoccupo. Lascio la casa, le mie abitudini, gli amici, i pazienti. E se qualcuno sta male in mia assenza? E se mi ammalo io, lontano dal mio ospedale? Sul piano di fantasia mi piace sempre molto l’idea di visitare luoghi nuovi. Sul piano di realtà, invece, mi devo sforzare enormemente per abbracciare l’ignoto.

Quando sono a destinazione, poi, non voglio tornare.
Le ultime 48 ore di soggiorno sono struggenti. Ho il cuore colmo di colori, suoni, sapori, di esperienze che mi addolora lasciare. Mi rimprovero senza pietà: “Fallo più spesso, Lucio, chiudi prima lo studio, chiedi più ferie, vai via da Milano, conosci gente, esplora luoghi!”.

Il rientro è faticosissimo. Riprendere la routine, uno strazio.

Partire mi affatica, esattamente come tornare.

Vivo a volte con estrema ambivalenza alcune scelte, perché rimango ancorato in uno spazio sicuro e cerco di protrarre una mano verso l’esterno, ma senza voler perdere l’equilibrio. Non voglio perdere la mia comfort zone, il mio pane tostato, il mio materasso, ma allo stesso tempo voglio attingere a opportunità mai viste, a tramonti straordinari, a paesaggi mozzafiato, a cibi esotici. In questa posizione da acrobata, mezzo appoggiato ad una terra conosciuta e mezzo protratto verso l’ignoto, i muscoli tremano. Si fa un sacco di fatica.

Per certe persone è molto difficile distinguere tra ansia ed eccitazione. Quando siamo abituati a tenere sotto controllo, quello che esce dal seminato viene visto con sospetto, non con curiosità. La capacità di lasciarci stregare dallo sconosciuto è tipica dei bambini. Da adulti facciamo più fatica, complici ruoli, compiti e sicurezze.

Io vorrei concedermi più occasioni di stupore. Vorrei uscire da questa circolarità di ansia, condita con salse diverse ma alla fine simili: quella dell’abitudine prima di partire, e della resistenza all’abitudine prima di rientrare. Ma so anche che è nella mia indole aderire ad una metodicità placida, dove il nuovo viene sempre visto con diffidenza, anche quando so che finirà per piacermi.

Forse è proprio questo il punto. Non è il cambiamento di uno stato in un altro, ma la comprensione che ogni stato ci appartiene, e che tutte le versioni di noi stessi, quella più pantofolaia e quella più avventuriera, coesistono nella stessa persona. E che se una sola di queste prende il sopravvento, le altre iniziano a scalpitare. Quindi bisogna fare fatica. Sì, anche per divertirsi.

Forse per alcuni è necessario rimanere sempre un po’ in movimento, funamboli della vita che si spostano su corde più o meno spesso, tese tra luoghi fluttuanti. Il punto non sta nel rimanere in uno di questi luoghi. Il punto sta nel camminare lungo la fune.

È nel cambiare che si apprezza quello che non si è mai visto e si torna ad amare quello che si è sempre posseduto. Nel movimento si genera opportunità, scambio, termini opposti a stasi. L’ansia è un prezzo che alcuni pagano per muoversi. Se è mal curata ci paralizza. La paralisi data dall’ansia è un’esperienza molto br**ta, che ci lascia delusi, infreddoliti, brutti. Prima di camminare lungo la fune dobbiamo esercitarci a secco, per avere muscoli robusti e giunture sciolte. Arrivati a nuove destinazioni il panorama cambia, sia verso l’esterno che verso l’interno. Da nuovi luoghi vediamo degli interni di noi stessi che non avevamo mai immaginato. È incredibile come un nuovo luogo riesca a tirar fuori cose ignote di noi, oppure desuete, seppellite in armadi dalle porte spessissime e cigolanti.

“Vacanza” proviene dal latino vacans, participio presente di vacāre, cioè essere vuoto, libero. Forse vacanza è una opportunità per aprire armadi impolverati, svuotarli e riempirli di nuovi capi, da acquistare in mercatini sul lungomare o in colorati bazar etnici.
Tutti questi armadi sono altissimi e connessi da delle funi. Noi possiamo o dobbiam camminarci. Anche se, a volte, oscilliamo un po’. Ma, intanto, ci rifacciamo il guardaroba.

IPSE DIXIT: , 2024“Sono riuscito ad avere l’esperienza peggiore tramite gli psicofarmaci. Ne prendevo sette tutti insiem...
06/03/2024

IPSE DIXIT: , 2024

“Sono riuscito ad avere l’esperienza peggiore tramite gli psicofarmaci. Ne prendevo sette tutti insieme. Fino al punto che balbettavo”.

Parlare della salute mentale è importante. A Fedez va il merito di aver portato sui social una certa risonanza sul tema.
L’intervista della giornalista al noto artista, svoltasi pochi giorni fa presso il di Torino, in collaborazione con , è disponibile su YouTube. Tocca numerosi punti, e merita di essere ascoltata nella sua interezza (40 minuti circa), a mio parere, prima di farsi una idea completa (attenzione, contiene numerosi trigger!).

Una delle dichiarazioni che è stata estrapolata dai media è quella al centro di questo Post. Al minuto 9, Fedez dice:

Sono riuscito ad avere l’esperienza peggiore tramite gli psicofarmaci. Prendevo sette psicofarmaci tutti insieme. Per curare la reazione avversa di uno psicofarmaco, il dottore mi prescriveva un altro psicofarmaco. Fino al punto che balbettavo.

Ora, la frase è delicata. Non è in se stessa errata. È possibile che un individuo assuma una polifarmacoterapia (cioè tanti farmaci insieme)? Sì. Può capitare che una delle molecole contenute in quel trattamento dia effetti indesiderati? Sì. È possibile che un medico associ, ad un primo farmaco, un secondo per contrastare gli effetti del primo? Non è consueto, c’è da capire, ma sì. Infine, uno degli effetti dei miei farmaci può essere alterazione dell’eloquio? Anche.
Nel video, Fedez nomina alcune molecole e alcuni meccanismi d’azione. Parla degli effetti indesiderati che ha sperimentato. Suggerisce che lo psichiatra sia stato poco attento nel trattare la sua condizione. Cita l’effetto rebound dovuto alla sospensione di molecole farmacologiche (cfr. altro mio Post in merito). Afferma che tale condizione gli ha causato una depressione marcata/farmacoresistente.

Tutto può essere. Non possiamo dubitare dell’esperienza di un individuo se non la conosciamo, e anche nel dettaglio.
Un’esperienza, per definizione, è soggettiva. Questo significa che la sua validità è sempre vera. E anche qualora noi non riusciamo a comprendere o a credere ad una certa esperienza, diventa interessante chiedersi perché quell’individuo la racconta in un certo modo. Questo è particolarmente vero nella mia disciplina, anche a fini di cura.

Ognuno ha il diritto di poter esprimere la propria vicenda. Quello che cambia tra un personaggio famoso e una persona senza pubblico è, naturalmente, “solo” la cassa di risonanza delle sue parole. Pertanto, nella scelta dei termini, è fondamentale mantenere cautela e neutralità sempre, ma a maggior ragione se so che mi ascolteranno in tanti.
Tenere a mente la reazione emotiva dell’Altro alle nostre parole o ai nostri gesti è un concetto cruciale nella mia materia, ma dovrebbe essere parte della quotidianità di tutti noi.

In questo senso, è stato utile nominare i farmaci esplicitamente? Direi proprio di no. Che è poi il motivo per cui non li riporto. Cosa potrà pensare un individuo che si vede suggerita quella molecola ad una prima visita psichiatrica? Forse “Ma questa è la medicina che ha citato Fedez, e ha detto che l’ha fatto stare male!”. Questo è il punto! In realtà Fedez dice che è stato l’insieme delle medicine che non l’ha aiutato, e non dice il nome di quella che potrebbe avergli dato disturbi della parola. Ma questa è una sottigliezza, forse non coglibile.

Quindi mi preme stabilire in modo incontrovertibile: la polifarmacoterapia è un’eccezione, non certo la regola. È possibile, anzi doverosa a volte, ma raramente si raggiungono sette farmaci, persino in un reparto di psichiatria. Non è impossibile, e se anche vi capitasse di conoscere qualcuno che la assume, potreste scoprire che, dato il suo disturbo di base, non sta affatto male con quel trattamento. Ancora, ogni esperienza è soggettiva.

Quello che sto suggerendo, quindi, è che chi ha notorietà, dovrebbe sempre controbilanciare la propria esperienza suggerendo alternative valide, diluendo il proprio vissuto con informazioni corrette in termini etici e scientifici, specialmente quando si parla di salute. Dopo questa prima affermazione, in effetti, non c’è alcuna alternativa. Se ci si ferma a questo punto dell’intervista, il messaggio, concorderete, suona così: “Occhio ai farmaci, raga, perché a me ne hanno dati un sacco e sono stato malissimo”. Fine.

I media hanno raccontato questo pezzo qui. Io però l’intervista me la sono ascoltata tutta. E al minuto 32:31 Fedez, nel rispondere ad una domanda del pubblico, dice:

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