11/03/2024
Vacanza
(Su Instagram: https://buff.ly/3xWqsCm)
Andare in vacanza non mi è mai stato facile. Nutro emozioni contrastanti rispetto al concetto di vacanza. Mi stanco molto nel decidere dove andare, il programma, cosa mettere nella valigia. Prenotare i voli, scegliere l’albergo e i tragitti è, per molti, eccitante. A me genera ansia. Un’ansia anticipatoria che a fatica cede posto alla curiosità, solitamente solo dopo che sono arrivato alla meta da almeno da un paio di giorni.
Mi preoccupo. Lascio la casa, le mie abitudini, gli amici, i pazienti. E se qualcuno sta male in mia assenza? E se mi ammalo io, lontano dal mio ospedale? Sul piano di fantasia mi piace sempre molto l’idea di visitare luoghi nuovi. Sul piano di realtà, invece, mi devo sforzare enormemente per abbracciare l’ignoto.
Quando sono a destinazione, poi, non voglio tornare.
Le ultime 48 ore di soggiorno sono struggenti. Ho il cuore colmo di colori, suoni, sapori, di esperienze che mi addolora lasciare. Mi rimprovero senza pietà: “Fallo più spesso, Lucio, chiudi prima lo studio, chiedi più ferie, vai via da Milano, conosci gente, esplora luoghi!”.
Il rientro è faticosissimo. Riprendere la routine, uno strazio.
Partire mi affatica, esattamente come tornare.
Vivo a volte con estrema ambivalenza alcune scelte, perché rimango ancorato in uno spazio sicuro e cerco di protrarre una mano verso l’esterno, ma senza voler perdere l’equilibrio. Non voglio perdere la mia comfort zone, il mio pane tostato, il mio materasso, ma allo stesso tempo voglio attingere a opportunità mai viste, a tramonti straordinari, a paesaggi mozzafiato, a cibi esotici. In questa posizione da acrobata, mezzo appoggiato ad una terra conosciuta e mezzo protratto verso l’ignoto, i muscoli tremano. Si fa un sacco di fatica.
Per certe persone è molto difficile distinguere tra ansia ed eccitazione. Quando siamo abituati a tenere sotto controllo, quello che esce dal seminato viene visto con sospetto, non con curiosità. La capacità di lasciarci stregare dallo sconosciuto è tipica dei bambini. Da adulti facciamo più fatica, complici ruoli, compiti e sicurezze.
Io vorrei concedermi più occasioni di stupore. Vorrei uscire da questa circolarità di ansia, condita con salse diverse ma alla fine simili: quella dell’abitudine prima di partire, e della resistenza all’abitudine prima di rientrare. Ma so anche che è nella mia indole aderire ad una metodicità placida, dove il nuovo viene sempre visto con diffidenza, anche quando so che finirà per piacermi.
Forse è proprio questo il punto. Non è il cambiamento di uno stato in un altro, ma la comprensione che ogni stato ci appartiene, e che tutte le versioni di noi stessi, quella più pantofolaia e quella più avventuriera, coesistono nella stessa persona. E che se una sola di queste prende il sopravvento, le altre iniziano a scalpitare. Quindi bisogna fare fatica. Sì, anche per divertirsi.
Forse per alcuni è necessario rimanere sempre un po’ in movimento, funamboli della vita che si spostano su corde più o meno spesso, tese tra luoghi fluttuanti. Il punto non sta nel rimanere in uno di questi luoghi. Il punto sta nel camminare lungo la fune.
È nel cambiare che si apprezza quello che non si è mai visto e si torna ad amare quello che si è sempre posseduto. Nel movimento si genera opportunità, scambio, termini opposti a stasi. L’ansia è un prezzo che alcuni pagano per muoversi. Se è mal curata ci paralizza. La paralisi data dall’ansia è un’esperienza molto br**ta, che ci lascia delusi, infreddoliti, brutti. Prima di camminare lungo la fune dobbiamo esercitarci a secco, per avere muscoli robusti e giunture sciolte. Arrivati a nuove destinazioni il panorama cambia, sia verso l’esterno che verso l’interno. Da nuovi luoghi vediamo degli interni di noi stessi che non avevamo mai immaginato. È incredibile come un nuovo luogo riesca a tirar fuori cose ignote di noi, oppure desuete, seppellite in armadi dalle porte spessissime e cigolanti.
“Vacanza” proviene dal latino vacans, participio presente di vacāre, cioè essere vuoto, libero. Forse vacanza è una opportunità per aprire armadi impolverati, svuotarli e riempirli di nuovi capi, da acquistare in mercatini sul lungomare o in colorati bazar etnici.
Tutti questi armadi sono altissimi e connessi da delle funi. Noi possiamo o dobbiam camminarci. Anche se, a volte, oscilliamo un po’. Ma, intanto, ci rifacciamo il guardaroba.
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