21/11/2025
Da quando ero piccolo mi hanno sempre raccontato che il napoletano ha caratteristiche particolari: si adatta, trova sempre una via d’uscita, usa l’ingegno, resiste a tutto.
“’O Napulitano se fa sicc’ ma nun more.”
Francamente mi è sempre sembrata un po’ esagerata, e c’è un esempio che lo certifica: la pioggia.
Un normalissimo evento meteorologico che, nel resto del mondo, non blocca i piani di nessuno.
Anzi, ci sono città dove piove sempre e la gente vive comunque.
Qua a Napoli no.
Qua quando piove, che non è né raro né imprevedibile, si fermano proprio gli orologi.
Non parlo di chi vive in scooter, che a ogni acquazzone esce con la tuta da sommozzatore.
Parlo di me.
Quando piove guardo il cielo e dico: “E mo’ comme facce?”
Ombrelli comprati nella vita: mille.
Ombrelli trovati quando servono: zero.
Il giubbino? Mai impermeabile.
Disdire un appuntamento “perché piove” mi sembra una motivazione legittima.
E dall’altro lato mi rispondono pure: “Hai ragione.”
Che già basterebbe.
Le strade poi si aprono regolarmente… ma proprio si aprono a terra, con voragini.
C’è un tratto ad Agnano, vicino all’ippodromo, che quando ero bambino diventava una piscina alla prima pioggia.
Sono passati cinquant’anni. È identico.
E se la pioggia arriva al mattino, quando ti affacci dal balcone, ti parte immediatamente il pensiero:
“Che ggiurnata ch’è schiarata, mammamà…”
E cominci a fare la lista delle cose che puoi rimandare, saltare, posticipare.
La verità è che non siamo proprio organizzati per la pioggia.
Perché se piove le auto si moltiplicano e il traffico, che già era un inferno, diventa immobilismo mistico.
Per noi è talmente normale tutto questo che ormai, quando le scuole chiudono “perché piove”, nessuno si scandalizza: lo viviamo come un evento irrazionale, una calamità metafisica.
Non teniamo l’attrezzatura.
Non ci prepariamo.
Non ci organizziamo.
E la pioggia ci prende sempre di sorpresa, pure quando lo sappiamo da una settimana.
E poi, inutile negarlo: agisce automaticamente sull’umore.
Non è malinconia. Non è tristezza.
È proprio mancanza di forze. Vieni meno. Nun tiene genio e fa niente.
Anche perché la prendiamo proprio sul personale.
A noi la pioggia non ci sorprende: ci offende.
Ci è antipatica. Io sono sempre stato convinto che solo qui non “scende”, ma arriva di traverso. Come per colpirti.
Che poi ne risente proprio l’economia cittadina. Dovevi uscire a cena? Rimandi. “Addò jamme cu sta pioggia?”
Uno potrebbe organizzarsi semplicemente, ma non ci entra in testa.
Sguardo rivolto al cielo e poi l’esclamazione: “Vabbuò, mo’ fernesce.”
È lei che deve finire, non noi che ci dobbiamo organizzare.
Oppure la interpretiamo come un segnale del destino: “Lo sapevo che oggi questa cosa non la dovevo fare.”
Quindi questa storia che il napoletano si adatta a tutto sarà pure bella… p'ammore ’e Dio.
Ma diciamola sempre quando c’è il sole.