19/08/2025
La sera del 23 luglio 2011, Amy Winehouse tornò nella sua casa di Camden Square, a Londra. Era un’abitazione che conosceva bene, con le tende pesanti sempre un po’ chiuse e il pianoforte nella stanza principale. Quella notte non c’era folla né musica, solo il silenzio ovattato delle strade londinesi. Aveva trascorso ore a guardare vecchi video di sé stessa, cantando insieme alle proprie registrazioni, come se volesse tornare indietro nel tempo.
Un’attesa che nessuno colmò
Nei giorni precedenti aveva provato a riprendere in mano la sua vita. Parlava di nuovi progetti, di voler tornare in studio, di canzoni non ancora finite. Con alcuni amici aveva scherzato, aveva sorriso, e sembrava davvero intenzionata a ricominciare. Eppure, a tratti, lo sguardo le si spegneva di colpo. Telefonate brevi, richieste non ascoltate, incontri saltati: piccoli vuoti che lasciavano spazio a un senso di attesa sospesa. Amy, che sul palco era una tempesta di voce e carisma, lontano dalla scena si ritrovava spesso da sola.
Promesse non mantenute e assenze
Il suo manager aveva organizzato un tour di ritorno qualche settimana prima, ma si era rivelato un disastro. Dopo quella serata, aveva detto a chi le stava accanto che voleva fermarsi e riprendersi. Gli amici più vicini la descrivevano in bilico: un momento allegra, il successivo silenziosa, come se qualcosa dentro di lei oscillasse continuamente. Quella notte a Camden nessuno arrivò, nessuna visita inaspettata, nessuna compagnia capace di spezzare la quiete.
La voce e il silenzio
Sul palco, la sua voce graffiava l’aria e sapeva trasformare il dolore in arte pura. Ma lontano dalle luci, Amy era fragile come poche persone intorno a lei riuscivano a capire davvero. Le relazioni complicate, i riflettori sempre accesi e l’attesa continua di qualcuno che la vedesse per ciò che era e non per ciò che rappresentava: tutto questo la segnava nel profondo. La sua risata contagiosa conviveva con momenti di malinconia improvvisa.
L’ultima notte
Passò parte della serata nella sua stanza, tra libri sparsi e dischi accatastati. Provò ad ascoltare musica, ad accennare qualche melodia, ma il filo della concentrazione si spezzava di continuo. Le tende restarono chiuse, la luce soffusa, e il telefono che squillava a tratti non portò le risposte che forse sperava. Fu un congedo silenzioso, quasi impercettibile, che nessuno notò fino al mattino.
Quando la sua guardia del corpo la trovò, la città era ancora addormentata. I giornali avrebbero parlato di cause e referti, ma chi l’aveva conosciuta sapeva che non era mai stato solo un singolo gesto o un singolo errore. Erano anni di battaglie interiori, di una ricerca di pace che Amy non riuscì mai a trovare del tutto.
Amy Winehouse se ne andò a 27 anni, lasciando dietro di sé un’eco che ancora oggi vibra in ogni sua canzone. Quell’ultima notte, trascorsa in silenzio nella sua casa di Camden, rimane lo specchio di una vita vissuta come un contrasto continuo: la voce che riempiva il mondo e il silenzio che la inseguiva quando le luci si spegnevano.