Stefano Borioni - Psicologo

Stefano Borioni - Psicologo Psicologo e Psicoterapeuta ad Indirizzo Psicoanalitico del Sé | Ordine Psicologi matricola 25190 Studio sanificato prima di ogni incontro

14/11/2025

🛡️Se l’ex narcisista è anche il padre dei tuoi figli
Dott. Stefano Borioni - Psicologo e Psicoterapeuta

🧶 | Psicoterapeuta
📍 | Roma - Piazza Bologna / Castro Pretorio / online
📲 | Prenotazioni e Info: Whatsapp al 380 32 61 496
🖥️ | stefanoborioni.it

07/11/2025

Dott. Stefano Borioni - Psicologo e Psicoterapeuta

🧶 | Psicoterapeuta
📍 | Roma - Piazza Bologna / Castro Pretorio / online
📲 | Prenotazioni e Info: Whatsapp al 380 32 61 496
🖥️ | stefanoborioni.it

05/11/2025

🧑🏼‍🚀| Il disturbo schizoide

Dott. Stefano Borioni - Psicologo e Psicoterapeuta

🧶 | Psicoterapeuta
📍 | Roma - Piazza Bologna / Castro Pretorio / online
📲 | Prenotazioni e Info: Whatsapp al 380 32 61 496
🖥️ | stefanoborioni.it

24/10/2025

💔 Che significa quando il partner con disturbo narcisistico di personalità ti dice “basta, è finita”?

Dott. Stefano Borioni - Psicologo e Psicoterapeuta

🧶 | Psicoterapeuta
📍 | Roma - Piazza Bologna / Castro Pretorio / online
📲 | Prenotazioni e Info: Whatsapp al 380 32 61 496
🖥️ | stefanoborioni.it

Il filtro della felicità Da qualche giorno seguo con curiosità una pagina Facebook dove la gente chiede piccoli miracoli...
22/10/2025

Il filtro della felicità

Da qualche giorno seguo con curiosità una pagina Facebook dove la gente chiede piccoli miracoli digitali.
Non proprio Lourdes, ma quasi: “Ecco una mia foto, mi fareste con gli addominali a tartaruga?”, “Potreste mettermi alla guida di una Ferrari?”, “Raccolgo funghi, mi riempireste il cestino di porcini?”.
È una specie di confessionale laico, dove invece dell’assoluzione ricevi un filtro, un ritocco e - forse - qualche like.

All’inizio sembra tutto innocuo, una giostra di ironia e leggerezza. Ma a guardare bene questa fiera dell’immagine, si capisce che dietro c’è una piccola grande fame. E non di funghi, ma di sguardi.

C’è chi vuole sembrare un riccone in barca, chi una star da copertina, chi al tavolo di un ristorante stellato. Qualcuno che insomma - quantomeno secondo gli standard di chi esprime il desiderio - valga la pena guardare due secondi in più.

Poi ci sono i desideri più oscuri o preoccupanti.
“Mio fratello ha una macchina nuova, per favore fatemela vedere distrutta. È solo per uno scherzo”.
“La mia amica ha un nuovo ragazzo, createmi una foto realistica in cui lui tiene un’altra per mano. È per ridere, tranquilli”.
O peggio: “Il mio ex mi stalkera da settimane, mi fate una foto con un uomo che mi tiene la mano sulla gamba? Così la vede e mi lascia stare”. Come se non bastasse dire: non ti voglio più. Bisogna far credere che un altro mi possieda, per essere libera.
O magari: “Non ho amici ed ho passato il compleanno da solo. Se vi mando una foto, mi mettete davanti una bella torta ed intorno tanta gente che mi festeggia?”.

A questo punto il terapeuta che è in me si aggiusta gli occhiali e sospira. Perché dietro ogni immagine che chiediamo di costruire, c’è un’immagine interiore che non vogliamo - o riusciamo - più a guardare e sostenere.

E quanto è difficile lottare per guardarsi dentro, quanto è difficile iniziare una psicoterapia, quanto è difficile combattere per raggiungere un obiettivo. E poi lo voglio ottenere davvero, o in fondo mi basta che gli altri pensino che l’ho ottenuto?
È come se il vero non servisse più, basta avere in tasca che un verosimile gli somigli.

E così, a forza di costruire mondi verosimili, diventiamo registi di noi stessi, spettatori stanchi del nostro film.
Cerchiamo conferme come caramelle, e più ne riceviamo, più abbiamo fame.
Perché ogni “mi piace” dura meno di un respiro, e nessuno ci insegna più ad ascoltare il nostro.

E allora succede che anche il dolore, quello vero, venga ritoccato attraverso il filtro di un meccanismo di difesa.
Si mette un filtro pure sulla solitudine, si alleggerisce l’ombra sotto gli occhi e si finge che tutto vada bene.
Ma dentro, il cuore resta da scaricare: non compresso, non salvato, ancora in attesa di uno sguardo che non giudichi la forma ma riconosca la sostanza.

Forse la vera modifica che ci servirebbe non è quella della foto, ma dello sguardo.
Quello con cui ci guardiamo quando non ci guarda nessuno. Quello che non ha bisogno di like per il verosimile, perché si mette in discussione per quel potrebbe essere. Nonostante tutte le apparenti imperfezioni.

"Non penso, quindi tu sei"È un rovesciamento del "cogito ergo sum" cartesiano: l'altro può esistere solo se il soggetto ...
12/10/2025

"Non penso, quindi tu sei"

È un rovesciamento del "cogito ergo sum" cartesiano: l'altro può esistere solo se il soggetto smette di pensare, in un inevitabile passaggio di testimone tra autenticità e seduttività.
Nel momento in cui il soggetto torna in contatto con la propria essenza (ergo sum), l'altro sparisce.

"L'artista non sono io, sono il suo fumista"

L'identità si frantuma: c'è un "artista" (il sè idealizzato) ed il "fumista" (il ciarlatano che la sostiene). C'è un sè pubblico affascinante ma non autentico, tenuto in vita da una parte che
sa di ingannare.
La seduzione diventa un modo per mantenere il legame senza esporsi: l'altro non lo sa, ma è affascinato dal personaggio, non dalla persona.

"Son santo, mi illumino, ho tanto di stimmate"

La santita e la sofferenza convivono come due facce della stessa mitologia personale. Una narrazione che trasforma la propria ferita in trofeo ed auto-assolve.
Don Giovanni non è più solo un libertino, ma anche un martire del proprio ego, la prima vittima del proprio narcisismo.

"Segna e depenna Hen-hur, sono Don
Giovanni"

Essere Ben-Hur significherebbe essere l'uomo che ha attraversato la ferita e ne è uscito redento. L'uomo che ha integrato dolore e valore.
Ma il protagonista del brano rifiuta quella possibilità: non può essere la persona che integra parti di sè e si salva eroicamente, può solo continuare a rappresentare l'eroe sapendo intimamente che sta mettendo in scena una farsa.

"Rivesto quello che vuoi, son l'attaccapanni"

Qui la maschera erotica si ribalta: il seduttore onnipotente è in realtà un soggetto vuoto, che esiste solo nel desiderio dell'altro. Il sé è "rivestito" di ruoli che lo definiscono.
È un sé adattativo complementare, costruito sul bisogno di conferma, incapace di permanere senza uno sguardo che lo definisca.

"Poi penso che t'amo, no anzi, che strazio!"

L'idea stessa di amare riattiva la ferita del legame primario: l'amore come luogo di perdita, non di fusione.
Nel momento in cui prova a sentire, l'affetto diventa straripante, minaccioso, quindi il soggetto lo nega, proteggendosi dal rischio di un contatto reale.

"E scrivi che non esisto quaggiù, che sono l'inganno, sinceramente non tuo"

Io sono l'inganno, ma te lo dico sinceramente: è una sincerità che serve solo a legittimare la menzogna.
È la confessione di chi non riesce a sostenere la reciprocità: ammette la falsità, ma lo fa come ultimo gesto di controllo.
E la confessione - sincersmente non sono tuo - si fonde con un commiato: sinceramente, non tuo (firma)”.

Non penso quindi tu seiQuesto mi conquistaL'artista non sono ioSono il suo fumistaSon santo, mi illuminoHo tanto di stimmateSegna e depenna Ben-HurSono Don G...

A volte, dentro al frastuono delle notizie, emerge un gesto che non si può confondere con il resto.Non solo un simbolo, ...
01/10/2025

A volte, dentro al frastuono delle notizie, emerge un gesto che non si può confondere con il resto.
Non solo un simbolo, ma corpi vivi che si muovono concretamente.

La appartiene a questa dimensione: non solo un atto da , ma una presenza che interrompe l’inedia delle istituzioni internazionali preposte ad intervenire e il balbettio emotivo di chi assiste impotente all’orrore.

Chi resta a casa, davanti allo schermo, si trova sommerso da immagini e notizie che toccano corde profonde. È troppo, a volte ingestibile. Così si attivano le : dissociare, respingere, persino contestare chi porta quella testimonianza. È un modo per non farsi travolgere, per non collassare dentro il dolore, magari pensando che poteva capitare a chiunque.

Ma chi è su quella barca non ha questa possibilità di . Quello che compie non è solo un atto simbolico: è un’esporsi concreto, vulnerabile, dentro un mare smisurato e sotto una minaccia sproporzionata. È proprio questa sproporzione a renderlo paradossalmente significativo: laddove le istituzioni, pur nella loro potenza, hanno scelto il silenzio, dei corpi fragili hanno scelto il movimento.

Per chi osserva, la tentazione è ridurre tutto a categorie: eroismo, follia, imprudenza. Specie quando i media, a volte anche con parole aggressive, offrono narrazioni che rinforzano le difese emotive.
E allora la distanza cresce: invece di - come diceva Carl Gustav Jung - ci rifugiamo nel .

Dal punto di vista , questa è una dinamica comprensibile: i giudizi servono a difenderci da un impatto che sentiamo troppo destabilizzante. Ma il cuore di ciò che accade non sta nei giudizi, bensì nella possibilità di tollerare l’intensità che questi gesti incarnano: la compresenza di paura e speranza, disperazione e dignità.

Provare a non significa adottare una posizione o condividerne le scelte, ma riconoscere dentro di sé la fragilità e la resilienza che questi atti evocano. È un movimento interiore: lasciare che l’esperienza altrui interroghi la nostra capacità di sentirla nella nostra.

Non è un’affermazione ma un interrogativo.
Perché la domanda alla fine ritorna, silenziosa ma ineludibile: fino a che punto possiamo tollerare di essere toccati?

27/09/2025

Togliere i pacchi di biscotti non è una scelta logistica, ma un gesto che parla direttamente al cuore del .

Per un sotto le bombe, un biscotto non è semplicemente cibo. È un segnale che, nonostante tutto l’orrore quotidiano che vive, il mondo può ancora offrirgli qualcosa di buono.
È una mano tesa, un ponte che collega il suo bisogno disperato di con la che qualcuno, da qualche parte, seppur da molto lontano, possa vederlo e pensarlo.

Immaginiamo la scena: un volontario porge un pacco di biscotti a un bambino. In quell’istante, ciò che viene consegnato al piccolo non è zucchero e farina, ma la conferma che quel bambino non è ancora del tutto invisibile, non è stato ancora del tutto dimenticato. Che c’è un adulto - un “Papà Gambalunga” per dirlo alla Webster - capace di rispondere non solo alla sua fame, ma anche alla sua necessità di sentirsi riconosciuto, di potersi ancora concedere un momento di piacere.

Negare questo gesto non significa indebolire un nemico militare, ma spegnere la fiamma fragile della . È come negare una carezza a un bambino che piange: un atto che non protegge, ma ferisce. Non una strategia di guerra, ma un’aggressione psicologica rivolta a chi non ha alcuna difesa.

Un biscotto, in condizioni normali, è quasi niente. In un contesto di devastazione, può diventare quasi tutto. Togliere questo “quasi niente” è imprimere un marchio di crudeltà sull’infanzia.

E allora il problema non è solo il biscotto: è il fallimento etico che si rivela nel negarlo. È l’abuso di potere che non colpisce i miliziani, ma la vita emotiva dei più fragili.
È un messaggio che scava le ennesime ferite invisibili e gli ennesimi profondi. Rotture di senso ed affetto, che nessun eventuale cessate il fuoco potrà cancellare facilmente dal cuore di queste generazioni.

C’è un volto che non sarà mai più lo stesso, quello di   . Ventuno placche di titanio a tenerlo insieme, un nervo ottico...
11/09/2025

C’è un volto che non sarà mai più lo stesso, quello di . Ventuno placche di titanio a tenerlo insieme, un nervo ottico spezzato. Non è una metafora: è il corpo di una donna che ha pagato con la carne viva la colpa di essersi scelta.

Eppure, accade ancora che lo sguardo cada altrove. Che l’orrore venga coperto da parole che giustificano, che riducono, che cercano attenuanti. Come se dire “me ne vado” fosse un affronto da punire. Come se la fosse un peccato.

Il risultato è un mondo capovolto: l’aggressore compreso, la vittima processata. È così che il sopravvive — non nei gesti eclatanti, ma nei piccoli tradimenti quotidiani della giustizia e del mancato riconoscimento.

Una che non tollera la separazione non è : è possesso, è prigione. E un sistema che non lo vede diventa complice.

Per questo non bastano leggi o slogan. Servono giudici, poliziotti, insegnanti, medici, capaci di riconoscere la violenza per ciò che è. Formati, responsabilizzati, resi lucidi. Perché solo così possiamo cambiare la traiettoria di questo Paese.

La verità è semplice, e non ammette attenuanti: nessuna famiglia, nessun legame, nessun “noi” vale più della vita, della libertà e della dignità di una persona.

09/09/2025

Buongiorno a tutti,

Sono il figlio di Stefano. È con grande dispiacere che devo dare notizia della scomparsa di mio padre. Era affetto da tempo da una grave malattia che lo aveva tenuto lontano dalla vita pubblica. Su questa pagina daremo più avanti informazioni su come si svolgeranno le esequie.

Una cosa che Stefano mi aveva detto più volte è che gli sarebbe piaciuto che la gente lo ricordasse leggendo ad alta voce i suoi racconti. Come alcuni di voi sapranno, Stefano era molto affezionato al reading come forma artistica, lettura ad alta voce – spesso accompagnato da musicisti. Quindi, se volete ricordarlo, vi invito in questi giorni a leggere le opere di Stefano che vi stanno più a cuore a chi vi sta vicino, ad amici, figli, amanti e parenti. Sono sicuro che, da lassù, vedere un esercito di lettori condividere il loro amore per ciò che ha creato gli strapperebbe sicuramente una gran risata. Grazie.

Indirizzo

Rome

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Stefano Borioni - Psicologo pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Contatta Lo Studio

Invia un messaggio a Stefano Borioni - Psicologo:

Condividi

Share on Facebook Share on Twitter Share on LinkedIn
Share on Pinterest Share on Reddit Share via Email
Share on WhatsApp Share on Instagram Share on Telegram

Digitare