Stefano Borioni - Psicologo

Stefano Borioni - Psicologo Psicologo e Psicoterapeuta ad Indirizzo Psicoanalitico del Sé | Ordine Psicologi matricola 25190 Studio sanificato prima di ogni incontro

🙊 Fare scena muta alla maturità C’è chi sostiene che fare scena muta all’esame sia una provocazione o un segno di debole...
12/07/2025

🙊 Fare scena muta alla maturità

C’è chi sostiene che fare scena muta all’esame sia una provocazione o un segno di debolezza perché non è “normale”. Io penso sia un segno di sensibilità: il tentativo di accendere un fuoco in un luogo evidentemente percepito come buio.

Il silenzio, certe volte, è più comunicativo della parola e quel silenzio, quella scena (volontariamente) muta a me suona non come una barricata, ma come un ponte. Un punte su cui si affaccia un messaggero con un cartello: “Non ci basta la performance, non ci basta rispondere, non ci basta essere valutati. Noi vorremmo essere visti.”

Come esseri umani non impariamo a parlare per dire cose, ma per costruire legami. E a volte, se nessuno ci rispecchia davvero, se quei legami non nascono, le parole si spengono prima di nascere. Magari per sempre.

Ho lavorato tanti anni a scuola. Ho visto ragazzi e ragazze intrappolati in un ruolo scritto da altri, seduti ai banchi come attori costretti a ripetere battute in base alle quali essere valutati. E sotto quella parte scalpitava la voglia di essere persone. Non studenti, non numeri, non voti: persone.

Si dirà che la scuola deve formare, non rispecchiare. Ma la scuola è come un paesaggio visto dal treno: cambia, anche quando sembra ferma.

È ovvio che il mondo del lavoro sarà spesso duro e frustrante per questi ragazzi così sensibili. Ma forse anche quella frustrazione sarà la radice di un cambiamento quotidiano e costante che un giorno ci sembrerà scontato, proprio come oggi ci sembra scontato non essere più bacchettati.
Cosa che invece sembrava “normale” ai nostri nonni.

23/06/2025

🧠 È interessante notare le dinamiche psicologiche che emergono dall'ultimo discorso di Donald Trump.
Anche perché spesso logiche simili a quelle che troviamo nella geopolitica, le vediamo anche nelle relazioni tossiche.

⚫️⚪️ Noi contro loro: la mente bilaterale

Il discorso divide il mondo in "buoni" e "cattivi".
Una logica polarizzata che semplifica la realtà e, inevitabilmente, blocca ogni mediazione o relazione
(l’altro è un nemico da annientare, non una persona).

💪🏻 La forza come soluzione.

Il messaggio è chiaro, usiamo la forza per risolvere il problema. E siamo sufficientemente forti per risolvere ogni problema. È una modalità basata sul controllo - o per meglio dire sull'illusione del controllo - non sull'incontro.

🩸Emozioni forti per creare consenso.

Parole come "","m0rtę", "0dīo" attivano emozioni antiche e forti: paura e rabbia. Emozioni che chiudono il dialogo e rafforzanol'identificazione con una parte, legittimando psicologicamente ogni reazione possibile.

🏆 Trionfo e autocelebrazione

Il discorso si apre, sviluppa e chiude con elogi a sé stesso. Una presunta grandiosità, ostentata, che ha bisogno di essere percepita come invincibile per continuare ad esistere.
È qualcosa che incontriamo anche in terapia, quando il valore personale si regge solo su riconoscimenti esterni.

🪞 Cosa c'entra tutto questo con le relazioni? Molto.

Perché anche nei rapporti di coppia esistono narrazioni che:

❌ deumanizzano l'altro
❌ esaltano il controllo
❌ bloccano ogni possibilità di riparazione.

🌱 Una relazione sana non si fonda su forza, paura o dominio, ma su:

✅capacità di tollerare la complessità della diversità (quando essa non è strumento di coercizione)
✅ascolto autentico
✅responsabilità condivisa.

Che sia tra partner o tra nazioni

La notizia credo l’abbiate letta. Maturando parcheggia sulle strisce blu senza pagare e lascia un biglietto ai vigili: "...
20/06/2025

La notizia credo l’abbiate letta. Maturando parcheggia sulle strisce blu senza pagare e lascia un biglietto ai vigili: "Vi prego ho la Maturità, ho girato per 20 minuti": multato.

💔 Prima reazione: poverino!

Il suo un gesto è un po’ ingenuo ma ottimista, vero, autentico. Nonostante ciò viene ignorato e questo, comprensibilmente, ci colpisce.

💡 Ma proviamo a porci una domanda: e se la “maturità” non fosse solo un esame? Se, al di là dei libri, fosse un concetto, legato alla possibIlità di iniziare a farsi carico delle proprie azioni?

Azioni come uscire prima di casa, pianificare i tempi al netto della probabile ansia ed accettare che, se per qualsiasi ragione fai di testa tua, il mondo potrebbe reagire. E certe reazioni, se comprese come tali e non vissute come punizioni di un mondo cattivo, possono essere importanti occasioni per rafforzare il proprio Sé.

🧠 La nostra resilienza si fonda proprio sulla consapevolezza delle piccole grandi sfide che abbiamo superato o da cui ci siamo rialzati.

🎯 Perché crescere vuol dire anche questo: coltivare relazioni autentiche, ma non aspettarsi che sia sempre il partner, il collega o la vita stessa ad “accollarsi” le responsabilità dei propri problemi.

Queste situazioni possono essere occasioni per guardarsi dentro, per superare il beneficio secondario di sentirsi vittima ed entrare in contatto con le proprie ombre, invece di farle scontare a chi ci sta vicino.

☠️ E - ampliando il discorso - chi ha vissuto dinamiche tossiche di coppia sa bene cosa significa essere agganciati in una relazione manipolativa con un partner che non sa assumersi responsabilità, ma fonda il suo temporaneo benessere sulla tua colpevolizzazione.

Un partner che dà la colpa della fine di ogni storia passata all’ex di turno e vive di rifornimento narcisistico - pompando il proprio ego - proprio perché non ha mai saputo coltivare una sana autostima.

🔥 La multa brucia, la ragazza che ti rifiuta brucia, la fine di una relazione brucia.

Ma tollerare la frustrazione, pur lottando per i propri sogni, aiuta a diventare adulti responsabili ed empatici.
Comprendere la frustrazione non significa giustificarla, e favorire la consapevolezza di questo passaggio - specie in un contesto protetto da saldi
legami famigliari - aiuta a crescere come persone consapevoli.

31/05/2025

Centro commerciale.
Una coppia di adolescenti è seduta su un divanetto, avranno 15/16 anni.
Lui monopolizza la conversazione, raccontando una partita di calcetto in cui — a suo dire — sarebbe stato un fenomeno.

Li osservo dall’altro divanetto, ad un paio di metri, mentre bevo un caffè. Magari è solo il momento di una storia molto più equilibrata, ma lei mi rimanda la sensazione di pensare di esistere solo per gratificare quel momento (?) di narcisismo del ragazzo.

A un certo punto passano due compagni di scuola. Lei li saluta, si distrae per meno di tre minuti parlando delle vacanze e ridendo di un professore.
Lui la guarda, nervoso. Si mette e si toglie il cappellino beige con una tigre stilizzata, la sua gamba trema.

Quando lei torna a rivolgergli attenzione, lo trova con gli occhi sul cellulare a mettere like ad altre ragazze. Fa confronti poco carini tra lei e quelle tipe, finché lei — comprensibilmente — si offende e si alza per andare in bagno, con gli occhi lucidi.
Lui la guarda andare via con un sorriso compiaciuto da Joker.

«Sei soddisfatto?» gli chiedo facendo un cenno della testa verso il bagno in cui era entrata la ragazzina.
Sembra cadere dalle nuvole, come uno colto sul fatto a rubare una birra al supermercato.
Mi guarda un secondo, poi si alza imbarazzato, e se ne va.

Gli avrei voluto dire che le insicurezze e le ansie da confronto non si vincono destabilizzando la propria ragazza, ma guardandosi dentro.

E avrei voluto dire a lei che merita di meglio perché se non lo sa, e non credo lo sappia, metterà in atto schemi simili per tutta la vita. Esattamente come lui.
Perché, fatta eccezione per quel rompipalle impiccione che beveva il caffè, questi meccanismi gli sembreranno funzionare.

Ed è proprio questa la cosa più triste: il consolidarsi silenzioso dei principi organizzatori più nefasti.

Una giornata davvero stimolante quella di oggi al convegno sull’intersoggettivitàTornare, dopo tanti anni, presso la Fac...
10/05/2025

Una giornata davvero stimolante quella di oggi al convegno sull’intersoggettività

Tornare, dopo tanti anni, presso la Facoltà di Psicologia dove è iniziato il mio percorso, il confronto con colleghe e colleghi, la condivisione di idee e riflessioni, hanno reso l’esperienza ricca, sfaccettata e vitalizzante.

Ascoltare poi dal vivo Beatrice Beebe – una figura che abbiamo studiato a lungo e che rappresenta un importante punto di riferimento nel nostro campo – è stato emozionante.
Le sue parole hanno offerto spunti clinici profondi e nuovi sguardi su cui continuare a lavorare.

Oggi, al semaforo, osservavo questo cane. Mi rimandava un senso di serenità e di stabilità, nonostante il mondo che - in...
04/05/2025

Oggi, al semaforo, osservavo questo cane.
Mi rimandava un senso di serenità e di stabilità, nonostante il mondo che - inevitabilmente - gli scorreva veloce davanti agli occhi, fuori dal finestrino.

Ho fantasticato su di un altro cane al volante, un cane che conoscesse la strada ma condividesse con lui la scelta del percorso e le riflessioni legate a quanto incontravano lungo il tragitto.
Ho pensato al percorso di una psicoterapia, un viaggio sicuro in un ambiente protetto. Un luogo in cui sentirsi finalmente accolti e compresi, senza il timore di brusche frenate o pericolosi .

E questo senso di sicurezza interiore, costruito gradualmente, è fondamentale. È la base sicura, un finestrino da cui poter osservare dinamiche relazionali - passate e presenti - con una nuova lente.
Senza la paura di scivolare nelle proprie emozioni o di essere travolti da principi organizzatori nefasti, che esistono - per ca**tà - ma possono essere riconosciuti e affiancati da nuovi.

Ed è proprio da questa possibilità che può germogliare il desiderio di "annusare un'aria nuova". Quando non siamo più costantemente in allerta, impegnati a difenderci da minacce o a placare il dolore, si apre uno spazio per la curiosità. Iniziamo a sentire il profumo di possibilità diverse, di relazioni più sane, di un futuro in cui possiamo finalmente scegliere chi vogliamo essere e chi vogliamo al nostro fianco (invece di agire dinamiche che decidono per noi e magari, come diceva Jung, confonderle con il destino).

La psicoterapia ci offre la stabilità emotiva necessaria per affrontare l'ignoto, per fare quel passo fuori dalla "macchina" delle nostre vecchie abitudini e respirare a pieni polmoni l'aria fresca di una vita più autentica e appagante.
È nel sentirsi veramente al sicuro dentro che troviamo il coraggio di esplorare nuovi orizzonti relazionali, liberi finalmente dalle “catene” invisibili del passato.

Due frasi semplici, ma che racchiudono due modi profondamente diversi di intendere la genitorialità.Nel primo caso, la f...
03/05/2025

Due frasi semplici, ma che racchiudono due modi profondamente diversi di intendere la genitorialità.

Nel primo caso, la figlia diventa un trofeo: qualcuno da esibire, da utilizzare – magari anche inconsapevolmente – per confermare il proprio valore come genitore. Il successo del figlio diventa la misura dell’autostima del genitore.

Nel secondo caso, invece, si intravede una possibilità diversa: quella di vedere un figlio come altro da sé, con un proprio desiderio, un proprio percorso, un proprio diritto alla felicità.

Nella clinica relazionale, vediamo spesso adulti cresciuti per rispondere alle attese genitoriali. Quando un figlio viene usato per riflettere l’immagine ideale del genitore – brillante, performante, all’altezza delle aspettative – può crescere sviluppando quello che Donald Winnicott chiamava “falso Sé”: un adattamento alle richieste famigliari che sacrifica la propria autenticità (dal momento che viene rispecchiata solo quando è quel che il genitore vuole che sia).
Sono realtà in cui, apparentemente, tutto sembra andare bene, ma dentro qualcosa non torna. C’è compiacenza, non vitalità.

In una prospettiva relazionale, è importante ricordare che un figlio non va usato come specchio, ma – semmai – va rispecchiato. Significa riconoscere i suoi stati interni, sostenere la sua soggettività, aiutarlo a sentirsi visto per quello che è (e non per quello che fa o rappresenta).

Essere accolti da un genitore per ciò che si è, e non per ciò che si vorrebbe che fossimo, è un atto di amore maturo e consapevole. È la base per lo sviluppo di un Sé autentico, capace di desiderare, scegliere ed essere.

Quante volte, a fronte di momenti difficili, abbiamo sentito frasi come: “Non pensarci”, “Vedrai che passa” o, persino, ...
18/03/2025

Quante volte, a fronte di momenti difficili, abbiamo sentito frasi come: “Non pensarci”, “Vedrai che passa” o, persino, “Non fare la vittima”?

Spesso chi dà risposte del genere lo fa con buone intenzioni: un po’ per farci sentire meglio, un po’ per il disagio che il malessere altrui talvolta comporta.
Ma quelle risposte, anziché alleviare la sofferenza, rischiano di farci sentire sbagliati, esagerati e dannatamente soli.

Io non credo che Andrea volesse smettere di vivere, ma che, casomai, volesse smettere di soffrire. Ma il suo dolore è rimasto invisibile troppo a lungo e, quando finalmente ha incontrato qualcuno a cui raccontarlo, non ha trovato comprensione ma chi l’ha colpevolmente spinto oltre il limite. E la cosa più dura da accettare è che Andrea cercava “solo” di essere ascoltato, perché il dolore ha bisogno - prima ancora di soluzioni o consigli non richiesti - di essere visto, riconosciuto. Ha bisogno di un testimone, qualcuno che sappia esserci.

Ma il problema non è, è non può essere, unicamente individuale. Spesso non mancano solo le persone disposte ad ascoltare, ma anche i luoghi sicuri dove chi soffre possa sentirsi accolto senza giudizio.
Le reti sociali e familiari, da sole, non sempre bastano. Serve un sistema più forte: centri di ascolto accessibili, supporto psicologico diffuso e professionisti formati, disponibili e adeguatamente sovvenzionati (di modo da poter offrire percorsi di psicoterapia a prezzi accessibili).

Perché il dolore non può essere lasciato sulle spalle di chi lo vive ma nemmeno su quelle delle persone care, che magari vogliono aiutare ma non necessariamente sanno come fare.
La responsabilità di accogliere il dolore deve essere anche collettiva e strutturata, non solo personale e fortuita.

In occasione dell’ 8 Marzo, presso la casa Casa Famiglia di cui sono responsabile, abbiamo tenuto il laboratorio “Festa ...
08/03/2025

In occasione dell’ 8 Marzo, presso la casa Casa Famiglia di cui sono responsabile, abbiamo tenuto il laboratorio “Festa della donna: le mimose oggi, il rispetto sempre”.

Il titolo stesso racchiude il messaggio che abbiamo voluto trasmettere: questa ricorrenza, oltre ad essere l’occasione per regalare una mimosa, può rappresentare l’opportunità per riflettere sull’importanza del rispetto e dell’empatia.

All’interno di una casa famiglia, dove convivono persone con diverse storie ed esperienze, questi valori sono fondamentali per creare un ambiente sereno e inclusivo. Abbiamo parlato di cosa significhi il rispetto nelle relazioni quotidiane e di come i piccoli gesti di riconoscimento e gentilezza quotidiana possano fare la differenza nella vita di ciascuno di noi. Ad ogni livello, in ogni contesto privato o sociale.

Non solo oggi, ma tutti i giorni.

16/02/2025

In un mondo di Tony Effe, sii Lucio Corsi.

⏳“Ci sono cose che non puoi cancellare. Ci sono abbracci che non devi sprecare."🧶 Vedere un genitore invecchiare è un'es...
13/02/2025

⏳“Ci sono cose che non puoi cancellare. Ci sono abbracci che non devi sprecare."

🧶 Vedere un genitore invecchiare è un'esperienza che tocca corde profonde e può smuovere una sorta di paradosso emotivo: la persona che ti ha cresciuto, che per decenni hai visto forte e sicura, diventa fragile, in certi casi persino smarrita. E questo cambiamento può generare emozioni contrastanti.
Da un lato, c'è la tenerezza: il desiderio di restituire l'amore ricevuto, di proteggere questa persona come lei ha fatto con te. Dall'altro, c'è la paura, persino la rabbia o il rifiuto legato all'accettare questo cambio di ruolo.

🧶 Chi è stato il tuo punto di riferimento, adesso ha bisogno di te. E questo significa fare i conti con cose molto grandi: ad esempio la presa di coscienza del tempo che passa, la tua vulnerabilità, il rifiuto per qualcosa che soggettivamente è indubbiamente ingiusto.

🧶 Ed attenzione, perché da questa dinamica possono nascere sensi di colpa, tipo: "Sto facendo abbastanza?",
"Sono all'altezza?", "Sono debole perché a volte mi sento sopraffatta/o?"
La verità è che non esiste un modo perfetto di affrontare questo passaggio. Ma c'è una cosa che possiamo fare: esserci, restare, essere presenti nelle piccole cose, che piccole non sono per niente perché assieme formano la quotidianità relazionale che ci lega a qualcuno per noi così importante.

🧶 In un'ottica in cui prendere coscienza che la presenza non ha nulla a che fare con l'essere perfetti, ma con l'esserci, nonostante tutto. La presenza ha a che fare anche con la capacità di entrare in contatto con le emozioni che questa bella canzone di Simone Cristicchi smuove in noi, come nel caso della splendida reazione di Gabriele Corsi che ha mostrato tutta la bellezza di un momento relazionale autentico e profondo.

🌱 Hai mai vissuto qualcosa di simile? Se ti va di convidere la tua esperienza commenta, altrimenti se hai bisogno scrivimi pure privatamente. Io sono qui.

Indirizzo

Rome

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Stefano Borioni - Psicologo pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Contatta Lo Studio

Invia un messaggio a Stefano Borioni - Psicologo:

Condividi

Digitare