13/10/2024
Agnese 33 anni
- Penso che la grande malattia che hanno le persone sia l'egoismo.
- È un'affermazione forte. Le andrebbe di spiegarmi com'è giunta a questa considerazione?
- Ogni volta che sono entusiasta accade sempre qualcosa che mi fa capire che io do fastidio.
- Dà fastidio? A chi darebbe fastidio?
- Ai miei genitori, a mia sorella, ai vicini di casa.
- Che cosa glielo fa credere?
- Fanno di tutto per spegnere il mio entusiasmo.
- In che modo?
- Iniziano a parlare dei loro problemi. Appena vedono che sono felice per qualcosa, soddisfatta per quello che sto facendo, o semplicemente di buon umore, iniziano a vomitarmi addosso i loro problemi.
- Sono problemi che la riguardano o la vedono coinvolta in qualche misura?
- No! È questo che mi affligge! Mi sembra come se vogliano colpirmi, con i loro problemi, per abbattere il mio momento di buon umore!
- E ci riescono?
- Purtroppo sì. Ci riescono sempre. Ogni volta ne esco incupita, triste, svuotata di stimoli e appesantita.
- Prima ha menzionato i suoi genitori...
- Soprattutto loro!
- Potrebbe farmi qualche esempio?
- Guardi, ne avrei un'infinità... Il giorno del mio compleanno mi chiama mio padre per farmi gli auguri e poi mi tiene mezz'ora a parlare di una sua zia, che nemmeno conosco, che cadendo si è rotta il femore... Il giorno della mia laurea, sempre mio padre, aveva trovato l'auto ammaccata e tutto il tempo a telefonare al carrozziere e tutta l'attenzione sul quel fatto... Ieri mia madre mi chiama per sapere come sto, provo a raccontarle della cosa bella che mi è accaduta al lavoro, ma lei deve parlarmi della figlia della sua amica che mentre era in viaggio non so dove ha perso le valigie... Vanno bene come esempi? Devo continuare?
- È stata chiarissima. Mi dica, Lei ogni volta resta ad ascoltare tutti questi racconti?
- Per forza!
- Non riesce a orientare la conversazione verso argomenti di suo interesse?
- Con loro è impossibile, mi creda.
- Le credo, le credo [sorrido]. Vorrei farle una domanda difficile, che richiede uno sforzo di memoria importante, se la sente?
- Sì, proviamo.
- Le è mai capitato, da piccola, di essere costretta dai suoi genitori a fare qualcosa che non voleva fare? Ovviamente non mi riferisco all'andare a scuola o mangiare le verdure. Qualcosa che proprio non le piaceva fare, ma loro la obbligavano.
- Ho questo ricordo di quando ero bambina. Mia madre ci portava a vedere la partita di pallone. E noi dovevamo stare tutto il tempo lì sedute a guardare mio padre giocare. Ma all'epoca ero piccola e scambiavo i traumi per esperienze. [Pausa]
- Continui. Mi spieghi meglio.
- Quando mio padre giocava a calcetto mi sembrava felice. Io lo guardavo e pensavo che dovevo essere felice per lui. A me il calcio non è mai piaciuto, io mi annoiavo, non volevo stare lì; avrei voluto essere altrove, a giocare con i miei giochi, con gli altri bambini. Invece mia madre mi costringeva a stare lì. Ero costretta a stare lì, e allora mi dicevo che dovevo sacrificarmi e mi sforzavo di trovare una mia felicità. Così mi sono imposta di essere felice per mio padre, anche se non lo ero, mi convincevo di esserlo. Non so se sono riuscita a spiegarmi.
- Perché lo faceva?
- Perché credevo che fosse la cosa giusta da fare, quello che avrebbe dovuto fare una brava figlia.
- "Brava" per chi?
- Per loro, ovviamente. Ma è sempre stato così. Io e mia sorella dovevamo essere brave. Io più di lei perché ero la maggiore. Mi ricordo che a ogni discussione mi tiravano in mezzo. Ogni cosa che accadeva, ogni problema, alla fine, gira e rigira, era sempre colpa mia. Trovavano sempre il modo di addossarmi qualche responsabilità.
- Ricorda se aveva provato, in quella circostanza, a comunicare ai suoi genitori che non gradiva stare lì?
- Sì, all'inizio, le prime volte, a mia madre. Ma lei mi diceva che dovevamo stare lì per mio padre, altrimenti lui si sarebbe arrabbiato.
- Capisco. Cosa accadeva quando suo padre si arrabbiava?
- Litigava con mia madre, e poi tutti e due se la prendevano con noi. Io ero piccola e ricordo che ero davvero convinta che litigassero per colpa mia. Mi sentivo cattiva, come se dentro di me ci fosse qualcosa di sbagliato.
- Oggi si sente ancora così?
- Onestamente? Sì, spesso. Alla fine, se andiamo a vedere: per i miei genitori non ne ho indovinata mai una; tutti i fidanzati che ho avuto mi hanno lasciata; le poche amiche che avevo si sono sposate; persino mia sorella ha trovato uno scemo che la sopporta! A questo punto è evidente che il problema sono io! Deve esserci qualcosa di sbagliato in me.
- Vorrei tornare un attimo alla frase con cui ha esordito: "Penso che la grande malattia che hanno le persone sia l'egoismo". Se la ricorda?
- Sì, è quello che ho detto.
- Credo che il motivo che oggi la porta a ritenere le persone "egoiste" sia strettamente collegato all'eposodio dell'infanzia che mi ha raccontato, quando assisteva alle partite di suo padre. In quella circostanza Lei era obbligata, e alla fine si è convinta che fosse la cosa "giusta" da fare.
Non si tratta di comprendere se le richieste dei suoi genitori fossero "egoiste", ma di riconoscere l'effetto che hanno avuto su di Lei, sulla sua crescita e il suo sviluppo.
In quel contesto ha provato a fare una cotrorichiesta a sua madre, ma alla fine si è dovuta arrendere.
Ci può stare, a quel tempo era solo una bambina che doveva sottostare alla volontà degli adulti, ma adesso è diventata adulta anche Lei. Adesso è il suo tempo. Adesso può utilizzare i suoi mezzi e il suo potere.
- Il mio potere?
- Sì, il potere di scegliere, di decidere. Finora ha subìto le scelte degli altri, banalmente, anche la scelta degli argomenti su cui conversare. E non perché "le persone sono egoiste", ma perché alcuni aspetti del rapporto con le sue figure affettive di riferimento, a partire dai suoi genitori, hanno ingenerato in Lei una grande paura. La stessa paura che ha compromesso nel tempo le relazioni con amici e fidanzati.
- Di cosa avrei paura?
- Credo che a questo punto Lei abbia tutti gli elementi per formulare una sua prima risposta. La invito a rifletterci durante questa settimana. Ripartiremo da qui nel prossimo colloquio.
[L'estratto riportato ha lo scopo di illustrare come può avve**re lo svolgimento di un colloquio psicologico; non ha valenza diagnostica né terapeutica.
Ogni persona ha una sua storia e una sua personalità, pertanto l'intervento psicologico deve essere esclusivo e personalizzato.
Malgrado si tratti della trascrizione di un colloquio reale, i nomi, i luoghi e altri dettagli sono stati modificati a tutela della privacy dei protagonisti.]