21/02/2024
Tutti noi abbiamo, sostiene Rovelli, una percezione individuale del tempo, lui utilizza il termine “percezione sfocata”, poiché il tempo umano, secondo l’autore, è caratterizzato dalla costellazione di eventi che scandiscono la quotidianità di un individuo. Sono gli eventi a scandire la percezione individuale del tempo e quindi, secondo l’autore non è possibile interpretare il tempo percepito individualmente in modo oggettivo. La percezione dello scandire temporale è individuale e deriva dal rapporto tra soggetto e contesto.
In psicoterapia molto spesso compare il tema del “TEMPO SOSPESO”, quella condizione esperienziale che costringe l’individuo ad attendere un tempo che non è il proprio ma è caratteristico del contesto che lo circonda.
Tutti noi vorremmo risolvere difficoltà nell’immediato, nello stesso istante in cui le mettiamo a fuoco e ne assumiamo una consapevolezza, ma spesso tutto ciò non è possibile, poiché il tempo del contesto che ci circonda non è il nostro. Com’è possibile allora riuscire a stare in un tempo sospeso? Com’è possibile dilatare la nostra temporalità nell’attesa di una congiunzione temporale?
È proprio questo che accade all’interno di un setting terapeutico, la comprensione che si origina, consente al paziente di “poter stare” all’interno di una dilatazione temporale che non è la propria ma che può diventarlo alla luce di una condivisione con il terapeuta e del processo di riconoscimento nella spirale dell’esperienza on-goin vissuta quotidianamente dal paziente. La stanza “delle parole” come “cassa di risonanza di un sentire autentico” che consente al paziente di afferrarsi nel tempo del comprendere.