12/11/2025
S. é una donna di 70 anni che viene da me da qualche mese perché ha perso il marito e ora si sente lei stessa persa nel mondo.
É una donna molto riservata, che frequenta il dolore con dignità e compostezza: piange quando è da sola, non si fa sentire da nessuno, si ‘ricompone’ sempre prima di uscire o di avere ospiti.
Parla tantissimo e mi racconta sempre dettagli particolareggiati, ma fatico a capire cosa davvero senta rispetto ai contenuti delle sue narrazioni.
La morte del marito e la tristezza annessa hanno aperto le porte a un dolore più profondo e molto più antico, che era rimasto chiuso in soffitta da quando lei era bambina o appena adolescente.
Quel dolore oggi può essere nominato e visto, un pezzetto alla volta, insieme alle emozioni che ne derivano.
Non è un lavoro facile ma lei è molto determinata e ogni settimana portiamo alla luce un nuovo tassello del puzzle.
Nuovi ricordi che erano chiusi in vecchi bauli abbandonati, nuove emozioni rimaste inascoltate, nuove narrazioni che diano significato a quel dolore e agli eventi di un’intera vita.
Oggi alla fine della seduta, mentre eravamo già sulla porta, mi ha chiesto: ”dottoressa, la posso abbracciare?” e mentre si abbandonava tra le mie braccia, ho sentito la bambina che cercava protezione e sicurezza per poter affrontare il mondo.
Quella bambina era rimasta in attesa di quell’abbraccio per tutta la vita, ha aspettato pazientemente e silenziosamente, fino a quando quell’abbraccio a potuto chiederlo e prenderselo.
Sicuramente siamo solo all’inizio, ma quell’atto di fiducia e di resa ha aperto la strada per un modo più morbido e indulgente di contattare gli altri, la vita e di dare spazio a se stessa.
Ci sono ferite che non parlano,
ma tremano sotto la pelle.
A volte basta un abbraccio,
un silenzio morbido tra due respiri,
per far capire al dolore
che non è più solo.
L’abbraccio non chiede,
non giudica,
non spiega.
ti ricorda che esisti,
ti riallaccia alla vita.
🙏🏼🌸
Federica