13/01/2024
Quando pensi: "Sono davvero stressato nel mio lavoro!" Ricordati questo questo racconto sotto che ho scritto per te....
Ore 7:30 del mattino di un venerdì. Il pronto soccorso ci allerta, e la sala operatoria si prepara all'azione. Un uomo di circa 60 anni ha avuto un incidente in motorino, ed è in condizioni critiche. Sono chiamato a interve**re, la mia mente si focalizza sull'urgenza della situazione. L'ecografia "FAST" e la TAC confermano il sospetto di emorragia interna.
Nel caos controllato della sala operatoria, la tensione è palpabile. Laviamo velocemente le mani, indossiamo guanti, mascherina e bandana. Alcuni di noi sono stanchi, è venerdì è tutta la settimana che corriamo ed io sono tra quelli, altri hanno dormito poco, ma l'adrenalina prevale. Il paziente sta per arrivare, ogni minuto conta.
Con precisione chirurgica, apro il corpo dell'uomo dalle coste al p**e, sposto: Muscoli, tessuti, grasso sopra viscerale: tutto si muove sotto le mie mani. Un collega inserisce le cannule per monitorare la perdita di sangue, mentre l'anestesista si occupa di mantenere il paziente sedato. Speriamo che non serva, ma la realtà è che ogni decisione conta.
La ricerca dell'emorragia diventa una danza frenetica tra viscere e organi. Il sangue è scuro, difficile da localizzare. Esploro stomaco, milza, con le mani prendo il fegato per tastare se è lacerato, ma l'enigma persiste. L'orologio avanza inesorabile, e l'anestesista avverte che il tempo stringe. La tensione è alta, il paziente è sospeso tra la vita e la morte.
Scandagliamo a 4 mani l'intestino meticolosamente, pezzo per pezzo, mentre l'ansia di non fare in tempo cresce, "non troviamo il buco" grido agli specializzandi che guardano con gli occhi che sembrano fanali abbaglianti.
Finalmente vediamo una lacerazione nel peritoneo. Il sangue defluisce da dietro, prendiamo il bisturi e lo apriamo ancora di più in profondità, vediamo la colonna vertebrale con una frattura vistosa che ha lacerato i vasi venosi paravertebrali sono vasi finissimi difficilissimi da bloccare poiché appena li coaguli sanguinano da altre parti e sanguinano copiosamente.
La frattura alla colonna vertebrale aggiunge complessità al quadro. Il chirurgo vascolare non è disponibile, tocca a me. Il termocoagulatore diventa il mio più fedele alleato la mia unica speranza contro questi vasi finissimi, difficili da controllare. L'agonia si prolunga, il paziente resiste silenziosamente mentre l'anestesista gli accarezza la testa come se non volesse lasciarlo andare, i nostri due sguardi si incrociano per poco più di un secondo, più di mille parole in quel battito di ciglia, abbasso gli occhi in tutto quel sangue, il sudore mi corre copioso, la strumentista lo nota e con dolcezza materna mi asciuga la fronte.
Dopo un'eternità di soli 15 minuti, il flusso di sangue sembra placarsi. Ma l'illusione è breve, il sangue ricomincia a scorrere. La lotta si intensifica, il bisturi apre nuovi passaggi nel corpo. Il paziente è appeso a un filo, e la mia ansia è palpabile.
Il destino dell'uomo è incerto. Le sacche di sangue sono in arrivo, ma il tempo stringe. Coagulo freneticamente, mentre l'orologio sembra accelerare. Ogni attimo conta, la pressione oscilla. Le sacche arrivano, ma si sta finalmente stabilizzando. Siamo sulla corda, il sangue finalmente si ferma. La sala operatoria esala un sospiro di sollievo. Poteva essere l'ultimo per qualcuno, invece è il primo di una nuova sfida.
Gli specializzandi richiudono il paziente, trasferito in terapia intensiva. Il rischio di una nuova emorragia aleggia sempre nell'aria.
È passato un tempo infinito da quelle 7:30, ma sono solo le 9:30, mi spoglio a metà, quando giunge un'altra chiamata: un operaio caduto da un ponteggio, trafitto da un palo.
La sala è ancora intrisa di sangue, il pavimento racconta la storia di un'urgente corsa contro il tempo. Il paziente, già disteso sul tavolo operatorio nell'altra sala, grida silenziosamente la sua lotta per la vita. Ci svestiamo in tutta fretta dagli abiti impregnati di quel liquido rosso che ci ha invaso, senza nemmeno conoscere il nome di chi giaceva sotto le nostre mani.
La corsa in sala lavaggio è frenetica, ma la mia vescica protesta e il tempo stringe. Come i cani, faccio solo metà del necessario per risolvere l'urgenza al meglio. L'ansia è nuovamente palpabile, il mio corpo è in tensione. Mi lavo le mani di fretta, mi rivestono con urgenza, e ci rispediscono velocemente nella sala due, dove ricomincia l'incessante balletto di vite sospese.
Il mio turno, teoricamente finito alle 15:00, è ancora intrappolato tra i corridoi dell'ospedale. È venerdì sera, le ore scorrono più del sangue e non c'è tregua. Ritardi, interventi successivi, e il peso di vite salvate e perdute gravano sulle spalle di tutto noi. Abbiamo fatto la differenza per alcuni, ma altri ci hanno abbandonato, soprattutto uno…. lasciando una giovane moglie casalinga e due bellissimi bambini di 7 e 9 anni. Dietro di lui solo tristezza e dolore di una famiglia sconvolta.
Sono le 20, e l'ospedale è ancora il mio rifugio.
Alle 21:30, finalmente a casa. Mangio una zuppa calda, osservo il buio fuori dalla finestra, la pioggia scende copiosa, come le lacrime di quella giovine donna, ed il mio ricordo di quel sangue mi accompagna. Penso a quei due bambini, alla madre al fatto che non potranno mai più parlare con il loro amato e sarà silenzio, solo silenzio, per i lunghi anni a ve**re, ed è toccato a me comunicargli il tutto.
È un peso che si porta dentro, un bagaglio emotivo che non svanisce facilmente. Ma, al di là di tutto, è meglio non pensarci troppo. La sveglia delle 6 arriverà presto.
Sono già le 7.30 é sabato mattina ormai, e mi attendono in sala; l'ospedale è già in fermento. La vita e la morte danzano sul filo di un bisturi, e io sono l'interprete in questa giostra della vita….. A volte vorresti scendere ma la responsabilità e troppa, e resti a danzare…
Ora fatti nuovamente la domanda: "Sono davvero stressato nel mio lavoro?"
(Dedicato a tutti noi medici, soprattutto a quelli che operano in zone di guerra)
Erik Emilio Gandino, MD, DO, JSCCI