Partorire senza paura

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Partorire senza paura Giornalista, scrittrice, blogger e mamma di 2 bambini nati in casa, ho pubblicato "Partorire senza paura" e "Il parto in casa"

Attraversiamo un'epoca in cui il parto è ancora vissuto come un trauma. Molte donne sono spaventate all'idea di dover soffrire molto e non sono sufficientemente informate sulla gravidanza, sul processo della nascita e soprattutto sui possibili modi per facilitare il parto. Questa pagina (così come il sito e il libro cui si ispira) cerca di fornire alle donne una serie di informazioni per partorire

in un clima di serenità e senza paura. Il libro, frutto di anni di ricerche e di studi, di interviste a professionisti della nascita e a donne che hanno partorito, contiene capitoli sul parto nella storia e sulla medicalizzazione della nascita, sul cesareo e sull'anestesia epidurale, sul parto in casa e in acqua, sull'influenza dell'ambiente, sul ruolo delle ostetriche e sulle principali esperienze-pilota internazionali per favorire il parto naturale. Non manca una sezione dedicata alla nuova legge sul parto, attualmente in discussione nel Parlamento italiano, alle raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e alla quasi sconosciuta Carta delle Partorienti dell'Unione Europea.

07/05/2025

Questa fotografia è stata scattata nel 1993. Trent’anni e 25 miliardi di dollari di aiuti umanitari più tardi, il Sud Sudan resta il Paese più povero, corrotto e pericoloso del mondo.

Il suo nome era Kong Nyong. Era un bambino, non una bambina, a differenza di quel che il mondo ha creduto per 18 lunghi anni. Non è morto appena dopo quello scatto, a dispetto di ciò che i critici che hanno indotto Kevin Carter, il fotografo, a credere. Carter si è tolto la vita per il senso di colpa. Ma Kong Nyong, nonostante la denutrizione, almeno a quella tragedia, è sopravvissuto, proprio come il 57% dei bambini sud sudanesi che fanno ancora la fame oggi.

Nel 1993, durante la Seconda guerra civile in Sudan, il 50% dei bambini faceva la fame. Oggi, più di 30 anni e oltre 25 miliardi di dollari più tardi, a fare la fame è il 57% dei bambini.

Trent’anni fa, l’avvoltoio era un animale. Ora è l’essere umano.

Chi mi conosce lo sa, sono estremamente critico della natura e del funzionamento dell’ONU e delle sue agenzie: strutture vetuste, politicizzate e di matrice imperialista americana. Il vero problema qui è che la stragrande maggioranza della gente non sa di cosa stia parlando. Molti faticano a distinguere la cooperazione internazionale dall’associazionismo, l’aiuto umanitario dalle missioni religiose e le Nazioni Unite dalle ONG, e pensano che io critichi l’insieme. No. Facciamo chiarezza. Le Nazioni Unite (ONU) e le sue agenzie (UNICEF, UNHCR, WHO, WFP, ecc…) non sono “associazioni” né “ONG”. Sono entità intergovernative e sovranazionali, finanziate dagli Stati Membri e le cui agende politiche sono definite dal Consiglio di Sicurezza - USA, Francia, Regno Unito, Russia e Cina - e da chi le finanzia maggiormente: gli USA.

E per quanto le Nazioni Unite possano anche essere considerate una realtà teoricamente benintenzionata e motivata dalla pace e dai diritti umani, nella pratica fanno gli interessi politici, economici e imperialistici dei propri finanziatori, ricoprendo un ruolo sì vitale nelle emergenze, ma rallentando gravemente lo sviluppo dei Paesi “aiutati” nel lungo periodo.

E ora ti spiego perché.

Durante la Seconda guerra civile in Sudan (1983-2005), 1.3 milioni di persone erano a rischio di fame e 100,000 persone facevano la fame, tra cui il 40% di tutti bambini. Gli aiuti umanitari, finanziati principalmente dagli USA, hanno raggiunto oltre 1 milione di persone, riducendo la mortalità da 20 a 5 persone all’ora in quegli anni. Tra i salvati, Kong Nyong che, dopo la fotografia, si è rialzato e ha raggiunto un centro nutrizionale dell’ONU ed è sopravvissuto. Si stima che gli aiuti abbiano salvato circa 500.000 vite in 10 anni tra Sudan e Sud Sudan.

E questo è un bene che nessuno può cancellare.

Tuttavia, gli USA, e per estensione l’ONU, non si sono limitati agli aiuti umanitari durante la guerra. Non si sono proposti come un agente imparziale nella ricostruzione. E non si sono limitati alla diplomazia durante la partizione dei due Sudan. Hanno affondato gli artigli.

A oggi, il PIL del Sud Sudan è pari a 3,6 miliardi. Di questi, 2 miliardi provengono dagli aiuti. I restanti 1,6 miliardi dal petrolio, venduto a basso costo proprio ai Paesi che erogano gli aiuti.

Coincidenza?

Il Sud Sudan è un Paese molto fertile. Il Nilo lo attraversa, e intorno ad esso si estendono migliaia di km quadrati di foreste. Eppure l’agricoltura ammonta allo 0,1% del PIL. Questo, in un Paese in cui il 70% della popolazione potrebbe vivere di lavoro agricolo, costringe il Sud Sudan a dipendere da 500 milioni di dollari annui di aiuti in cibo importato dagli USA.

Coincidenza?

Dei due miliardi di dollari di aiuti investiti ogni anno in Sud Sudan, un report evidenzia come solo il 2% sia destinato allo sviluppo (fonte: Banca Mondiale, 2023). In più, un report di Overseas Development Institute (2019) rivela che circa l’80% degli aiuti tornano al Paese finanziatore attraverso i salari dello staff espatriato, gli appalti internazionali e la logistica. In più, dopo l’indipendenza, le agenzie umanitarie, le quali, per esempio, gestiscono l’80% degli ospedali sud sudanesi, si sono sostituite al governo, creando, di fatto, uno “stato del welfare” privo di autosufficienza, come denunciato dal Journal of Development Studies nel 2020.

Coincidenza?

No, certo che no.

Gli aiuti umanitari che persistono oltre l’esaurirsi dell’emergenza si trasformano in una gruccia permanente, causando atrofia economica, corruzione e dipendenza, indebolendo il Paese “aiutato” e lasciandolo alla mercé dello sfruttamento per mano delle multinazionali straniere.

Il problema, qui, NON sono gli stipendi esorbitanti (5-15.000$ al mese per lo staff espatriato), i SUV da 100.000$ e le ville con piscina benefit. Se una persona fa bene il proprio lavoro e le proprie competenze sono rare e ricercate, deve essere pagata ANCHE IL DOPPIO. Per favore non fermatevi davanti al salario con le torce e i forconi. E soprattutto non banalizzate le mie denunce. Perché il crimine è molto più grave del solo sperpero di denaro. Il problema dell’ONU è che i Paesi finanziatori sfruttano gli aiuti - e le buone intenzioni degli operatori umanitari - per esercitare influenza neo-imperialista: aiuti umanitari in cambio di accordi petroliferi in Sud Sudan, di cobalto in RD Congo e di lealtà politica in tutto il resto del mondo.

È questa la mia reale denuncia. Non: “Le ONG sono cattive, e Still I Rise è l’unica buonah!!1”

Ma: “L’ONU è nata con uno scopo nobile, e poi è diventata uno strumento politico.”

Tutto il resto per me è irrilevante. È propaganda. È populismo. E fa il loro gioco.

E ora potete saltarmi alla gola.

04/05/2025
04/05/2025

Questa è una denuncia scomoda, fastidiosa, forse anche rischiosa. Ma è necessaria. In Sud Sudan, l’aiuto umanitario non è beneficenza: è una moneta di scambio per il petrolio.

Sono a Juba, capitale del Sud Sudan, e mi si torce lo stomaco. Quello che vedo mi dà la nausea, e non posso più stare zitto. No, non parlo della povertà. Parlo dell’opulenza.

A Juba, a essere osceno non è il disagio umano, ma lo sfarzo delle realtà umanitarie.

Facciamo due calcoli: il PIL del Sud Sudan, il Paese più povero del globo, è pari a 3,6 miliardi di dollari. Di questi, 1,6 miliardi derivano dal petrolio. I restanti 2 miliardi dall’aiuto umanitario.

Con tutti questi aiuti ogni anno, ti aspetti che gli indici di sviluppo siano ottimi.

E invece no.

Invece, per le strade di Juba, ogni dieci macchine, nove sono auto di lusso. La stragrande maggioranza è targata ONU, diplomazia o governo. La popolazione si sposta a piedi.

E invece no. A Juba, in cui l’82% della popolazione vive con meno di 1,90$ al giorno, l’affitto medio di un appartamento da due camere da letto è di 5-6.000$ al mese. Sì, hai letto bene. Cinque. Mila. Dollari. Al mese. Chi può permetterselo? Diplomatici, ONU e politici. Tutti gli altri sopravvivono, nemmeno nelle baraccopoli - troppo lusso - ma proprio nelle capanne di fango.

E invece no. Juba, la capitale del Sud Sudan, ricorda più un villaggio che, appunto, una capitale. Non è questo il problema. Il problema è che gli unici edifici a svettare sulla distesa di casupole sono uffici governativi, delle ONG e hotel di lusso. Chi li frequenta, secondo te?

Juba, in Sud Sudan, è una distopia, e gli aiuti umanitari sono complici. Dal 2011, quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza, gli aiuti hanno svolto la funzione di atrofizzare l’economia, creando dipendenza, facilitando la cleptomania dei governanti e scoraggiando lo sviluppo agricolo, manifatturiero e industriale dei cittadini. Ricorda: un’economia che si fonda solo su utili che non produce non è un’economia: è un ostaggio.

Perché, però? Perché tutto questo?

Ed è qui che la questione si fa esplosiva.

I principali acquirenti del petrolio sud sudanese sono la Cina (CNPC), gli Stati Uniti (ExxonMobil) e gli Emirati Arabi Uniti (HBK DOP). Indovina chi sono i principali donatori…

Vuoi le prove?

Eccole.

Nel 2021, un report della no-profit Crisis Group ha proprio teorizzato la relazione tra gli aiuti degli Stati Uniti, il donatore bilaterale numero uno del Sud Sudan, e gli accordi petroliferi.

E ancora.

Nel 2019, un report del centro di ricerca ODI ha stimato che l’80% degli aiuti destinati al Sud Sudan tornerebbe ai Paesi donatori attraverso i salari dello staff, gli appalti e la logistica.

E ancora.

Nel 2018, il WFP, ovvero il Programma Alimentare Mondiale dell’ONU, è stato travolto da uno scandalo per frode da 3,2 milioni di dollari a causa della corruzione interna.

Insomma, gli aiuti aiutano davvero? In Sud Sudan, dove il PIL procapite è crollato da 1.111$ nel 2014 a 200$ oggi, la risposta è: no. O, meglio, non la popolazione. Ma l’elite senz’altro.

L’algoritmo di Meta limiterà la circolazione di questa denuncia. Lo fa sempre più spesso. Non è una censura mirata. È peggio - è controllo automatizzato, una stringa di codici che sceglie cosa farti pensare. Per ora, fortunatamente, si può ancora combattere. Come? Facendo leva su ciò che Meta brama di più: le interazioni. Facciamo 1000 condivisioni in 24 ore per rompere il silenzio sul Sud Sudan, sull’aiuto umanitario sovranazionale e sulle multinazionali petrolifere.

Siamo gli unici - gli unici al mondo - a denunciarlo. Alza la voce!

ATTENZIONE. Come da prassi nelle Missioni più rischiose, pubblicherò gli aggiornamenti con un minimo di 72 ore di scarto. Resta con noi!

Ciao a tutte. Ho appena letto un articolo di Le Monde sul parto indotto. Un vero massacro. Sinceramente, mi vengono i br...
24/10/2024

Ciao a tutte. Ho appena letto un articolo di Le Monde sul parto indotto. Un vero massacro.

Sinceramente, mi vengono i brividi . Ed è devastante pensare che dopo aver affrontato l'argomento nel mio libro "Partorire senza paura" (uscito nel 2008), DOPO 16 ANNI la situazione non solo non è migliorata, ma è drammaticamente PEGGIORATA.

Riassumendo (e traducendo) l'articolo, uscito ieri in Francia, i parti indotti sono aumentati in maniera abnorme, fin dalla 39.ma settimana di gravidanza. IL TUTTO SENZA NESSUNA NECESSITA' OGGETTIVA, SENZA MOTIVO, SENZA ALCUNA INDICAZIONE MEDICA.

Negli Usa, nel 2020, sono aumentati del 30%.

Ma in Europa non va meglio, neppure nei paesi scandinavi, i più evoluti dal punto di vista della lotta alla medicalizzazione del parto. In Francia, ad esempio, tra il 2010 e il 2016 sono aumentati del 22% !!!!!!

Quando scrissi "Partorire senza paura" (e "Il parto in casa"), mi scagliai con forza contro la classe medica, rea di creare quelli che definii "bambinifici", luoghi dove ogni procedura (soprattutto i cesarei) veniva effettuata non per necessità, ossia per salvare mamma e bambino, ma per seguire i ritmi ospedalieri, o per ripianare i bilanci degli ospedali (un cesareo viene rimborsato dalla Regione il doppio di un parto fisiologico).

Ma non ho mai trascurato l'aspetto fondamentale dell'informazione e della consapevolezza delle future mamme: se le donne che aspettano un bambino o una bambina non sono adeguatamente informate, non possono scegliere, ribellarsi all'uso indiscriminato del bisturi, delle flebo, dell'episiotomia (che viene fatta a loro insaputa, e non solo in Italia), dell'induzione al parto.

Sostenevo che le future mamme non devono aspettare che qualcuno dia loro le informazioni, ma che se le dovrebbero cercare da sole, facendo un minimo sforzo di volontà, visto che il corpo è il loro, e magari riflettere sul fatto che decidere come far nascere il proprio bambino o bambina senza interventi chirurgici o chimici (se non ci sono pericoli o rischi per entrambi) non è cosa da poco.

Evidentemente, a fronte della crescente e sempre più profonda crisi della sanità pubblica e degli interessi economici delle strutture private, le donne in questi 16 anni non solo sembrano essersi disinteressate al tema, ma hanno rinunciato alla loro libertà di scelta, per paura, passività o comodità, consegnando i loro corpi, la loro salute e quella dei loro bambini a chi le vede semplicemente come contenitori da svuotare nel più breve tempo possibile.

Nella società occidentale le mamme sono un impaccio, un fastidioso problema, una rottura di scatole in generale. Ma in sala parto questa filosofia aberrante tocca il suo apice. Perché perdere tempo ad ascoltare i loro corpi, i loro bisogni, il ritmo dei piccoli esseri umani (ognuno diverso dall'altro) che hanno custodito per mesi? Si fa prima a infilare una bella flebo o a inserire un ovulo nelle loro vagine per stimolare il travaglio e ottenere subito il risultato. Si fa prima e costa meno in termini di tempo e impegno strappare il neonato/a dal ventre materno quando lo decide l'ospedale o la clinica. Una tragica catena di montaggio.

A distanza di tanti anni, sono convinta che la colpa di tutto ciò non sia tanto della classe medica, che tanto ha sempre seguito, segue e continuerà a seguire i suoi deliranti criteri e procedure di medicalizzazione selvaggia, quanto delle donne.

Il loro silenzio, la loro accettazione passiva, la mancanza di preparazione minima sul processo fisiologico del parto, la mancanza della consapevolezza dei loro diritti, del loro potere, e della loro dignità come esseri umani, mi fanno veramente paura.

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03/08/2024

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