18/03/2025
La personalità narcisista isterica a cura di Nicola Ghezzani
Gli effetti che il nuovo mito individualista anestetico comporta in campo amoroso sono devastanti: la vecchia struttura dell’amore, basata sul desiderio, l’empatia, la fiducia, la passione, la dedizione nei confronti dell’amato, ne fa le spese in modo drammatico.
Le soggettività moderne sono pervase dall’angoscia di solitudine e dalla nostalgia dell’amore nella misura in cui si allontanano dalla necessità naturale della condivisione. Più domina il terrore di cadere in una dipendenza fiduciosa da un altro essere umano, che temiamo possa sfruttarci, dominarci o anche soltanto limitarci, più siamo pervasi da un sentimento di smarrimento e di perdita senza fine. Questa angoscia, con la connessa ambivalenza amore-odio per la persona desiderata o amata, è la base di una struttura di personalità che potremmo chiamare narcisismo isterico.
Il narcisista isterico incentra tutta la sua vita sulla necessità del conflitto e sul perseguimento del dominio relazionale. È un soggetto che, piuttosto che isolare il suo mondo interno dalla relazione, come spesso fa l’anoressico, lo espone agli affetti secondo un modello seduttivo (egli appare mite e buono, oppure simpatico e brillante, o ancora umano e soccorrevole, persino sacrificale); ma poi, ottenuta la fiducia o la dedizione amorosa, ne fa un uso umiliante: egli si rivela aggressivo e violento, freddo e denigratorio, sfidante e conflittuale e infine sadico e manipolatorio. In ogni caso, questa sua seconda identità, che si rivela dietro la maschera accattivante, lo difende dal legame affettivo rovesciandolo in un rapporto di forza, improntato a una pervasiva e angosciosa fantasia di dominio.
Il modo di essere isterico è dunque tale da produrre individualità double-face, a due facce: nell’uomo un carattere con apparenze disponibili e persino romantiche, ma con sottili o esplosivi comportamenti sadici che si mostrano dietro la maschera, una vota ottenuto il consenso; nella donna un carattere talvolta dolce, talaltra passionale, e con un sottofondo di insicurezza, ansia, bisogno di conferma, animato da una parallela e contraddittoria tendenza alla provocazione, alla sfida, all’accusa, al disprezzo, alla manipolazione, al tradimento.
Non di rado questa modalità relazionale si ribalta nell’opposto di improvvisi sensi di colpa, che segnalano una coscienza parziale della disumanizzazione in atto. La drammatica alternanza emotiva, animata dalla violenza e poi da drastici e tormentosi sensi di colpa e altrettanto brusche regressioni nel pentimento e nella sottomissione configura l’ormai classica dipendenza affettiva col tremendo corollario della co-dipendenza, nella quale uomo e donna si scambiano i ruoli della vittima e del carnefice.
La dipendenza affettiva
Le donne dipendenti affettive si muovono come falene attratte dalla luce. Qualche volta alla luce corrisponde il fuoco, e allora si bruciano e muoiono. La luce che attrae questo tipo di dipendente affettiva è la forza e, per essere più esatti, l’insensibilità.
La donna dipendente vive su un doppio registro: mostra a se stessa e agli altri la sua innocenza, inermità e vulnerabilità affettiva. Ella si vede come una donna fragile o comunque resa fragile dall’innamoramento. Ma su un altro piano è tremendamente attratta dalla forza, una forza che vorrebbe sua, ma che, non potendolo ammettere, proietta sull’uomo, vive attraverso di lui.
Pertanto nella dinamica amorosa di questo tipo di dipendenza affettiva, l’uomo è dapprima idealizzato come perfetto, poi denigrato come imperfetto, debole o in malafede, o anche perfido e immorale, infine è odiato e attaccato come un mostro. Cosa talvolta verosimile, dato che la dipendente affettiva ha scelto il suo partner proprio per le sue caratteristiche di narcisista autocompiaciuto e di egocentrico insensibile. Ciò produce dinamiche conflittuali senza esito, veri e propri giochi senza fine. In alcuni casi, il gioco fa sì che i due giocatori si scambino i ruoli in un’altalena senza fine. Ma il più delle volte il gioco si ripete inalterato: la dipendente si sottomette ad ogni più sottile o palese umiliazione, poi esplode e aggredisce, quindi si pente e invoca il perdono divenendo così sempre più masochista e servile.
“Salvador Dalí con Gala”
Da qui la dolorosa alternanza fra momenti di soggezione romantica e altri in cui si avvia una ribellione, mediante accuse (più o meno vere), insofferenza e sfida, infine mediante il distacco. Ad esso segue l’angoscia di perdita, di solitudine, il sentimento di colpa, quindi il sentirsi debole e abbandonata e il bisogno di tornare a dipendere dall’uomo ripudiato o da un altro partner con caratteristiche simili. Richieste, rivendicazioni, rabbie furenti, attacchi, separazioni e poi di nuovo paura di abbandono e sensi di colpa fino al pentimento, lo smarrimento e il ritorno alla dipendenza. Benché contestato, il partner è riconosciuto come “più forte” e proprio per questo risulta “vincente” e perciò stesso ammirevole.
Attratta dal rifiuto e dall’abbandono, la donna torna a cercare l’uomo per essere di nuovo ammessa alla sua benevolenza. Purtroppo, la forza maschile da cui ella è ammirata coincide con l’insensibilità – ossia una brutalità innata o la ricercata l’anestesia della vita affettiva – e il partner non solo non è in grado di capire la sofferenza della donna, ma ripete il gioco per l’angoscia innominabile di essere lui catalogato nella categoria delle donne, cioè degli schiavi.
Una riflessione sulla propria segreta idolatria della forza e quindi sull’inconscio disprezzo di se stessa come individuo bisognoso, sensibile, dipendente e innamorato potrebbe aiutare la donna a capire e superare la dinamica circolare di dipendenza e di ricerca autolesionista del partner anaffettivo.