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Questa pagina è gestita da Lundbeck Italia con l'obiettivo di offrire un luogo virtuale sicuro nel quale le persone con disturbi psichiatrici e neurologici possano essere ascoltati, compresi e iniziare o continuare il loro percorso verso la guarigione.

Ciao Massimiliano,ti scrivo perché, dopo averci ragionato un po’, ho capito che quando ieri ti ho chiesto “come stai?” e...
28/07/2025

Ciao Massimiliano,
ti scrivo perché, dopo averci ragionato un po’, ho capito che quando ieri ti ho chiesto “come stai?” e tu mi hai risposto “non lo so”, non era una scusa…non lo sapevi davvero.
Come immagino tu non sappia se sei arrabbiato, triste o solo stanco.
Non sai se non vuoi parlare, o se ti manca semplicemente qualcuno che sappia ascoltare davvero.
Magari lo dici anche quando qualcuno ti chiede perché non vuoi uscire, perché sembri nervoso, perché scatti a caso o ti chiudi in camera tutto il giorno.
Magari anche i tuoi genitori pensano che tu lo faccia apposta. Che sei cambiato. Che sei pigro o svogliato.
Ma io so che dietro quel “non lo so” c’è molto di più. Forse senti una tensione dentro, che non sai spiegare. Ti fa male la pancia o il petto, ti manca l’aria, il cuore corre. Qualcosa c’è. Solo che non ha ancora un nome.
Succede quando impari troppo presto a trattenere.
Quando senti che se dici davvero come stai, deluderai qualcuno.
O che se ti mostri debole, ti schiacceranno.
O, semplicemente, quando nessuno ti ha mai insegnato a dare un nome alle emozioni.
Questa cosa ha un nome. Si chiama alessitimia.
È quando senti… ma non riesci a raccontare.
Quando vorresti gridare, ma non sai cosa.
Quando ti chiedi se sei rotto, o diverso, o solo sbagliato.
Ti rassicuro io: non lo sei. È solo che il tuo cervello si sta difendendo.
Ha costruito un muro tra le emozioni e le parole, per proteggerti.
Ma quel muro oggi ti isola. Ti fa sembrare freddo, distante. Anche a te stesso.
Ecco perché ti scrivo. Per dirti che non devi restare lì, nel silenzio. Puoi iniziare a tornare da me. Non ti chiederò risposte perfette, ma ti aiuterò a trovarle, piano piano.
A volte non si parte da un grande discorso. Si parte da un disegno. Da una musica. Da un nodo alla gola. Da un “non lo so” preso sul serio.
Se me lo permetterai, parlerò anche ai tuoi genitori e chiederò loro di non forzarti a parlare, di non etichettarti. Non dirti di reagire.
Dirò loro di ascoltarti anche quando taci. Perché dietro quel silenzio, c’è solo un ragazzo che ha bisogno di essere capito… prima ancora che aggiustato.
Ti va se ne parliamo, oppure no, insieme lunedì?
Io ti aspetto,
con affetto
Il tuo terapista.

“Se solo avessi capito prima.”“Avrei dovuto accorgermene.”“È colpa mia.”La colpa retroattiva è una distorsione cognitiva...
25/07/2025

“Se solo avessi capito prima.”
“Avrei dovuto accorgermene.”
“È colpa mia.”
La colpa retroattiva è una distorsione cognitiva frequente nella depressione.
Porta a giudicare le azioni passate con la consapevolezza che si ha dopo, ovvero con la consapevolezza maturata in seguito, quando tutto è già successo.
È un inganno crudele della mente: ti spinge a cercare colpe in te, anche dove non ci sono, alimentando il senso di fallimento e inadeguatezza.
Ricordiamocelo sempre: la nostra responsabilità non sta nel prevedere tutto, ma provare qui e ora a comprendere e a guarire.

Il cervello non è una macchina da ottimizzare.È un ecosistema vivo, plasmato ogni giorno da ciò che viviamo: esperienze,...
21/07/2025

Il cervello non è una macchina da ottimizzare.
È un ecosistema vivo, plasmato ogni giorno da ciò che viviamo: esperienze, relazioni, traumi, emozioni.

Ogni pensiero che abbiamo attiva una rete neuronale, ogni emozione modifica la chimica cerebrale, e ogni abitudine può rinforzare, o indebolire, il nostro benessere.

Prendersi cura del cervello non significa solo mangiare sano o dormire 8 ore.
Significa accettare le pause, osservare il proprio dialogo interiore, chiedere aiuto quando serve, e ricordare che anche ciò che non si vede… ha bisogno di cure.

Oggi è la Giornata Mondiale del Cervello: è un buon giorno per ascoltarlo davvero, perché la salute mentale si costruisce nel silenzio quotidiano, un pensiero alla volta.

Per molti adolescenti l’estate è una pausa desiderata.Per altri è invece il momento più fragile dell’anno.Infatti chi vi...
19/07/2025

Per molti adolescenti l’estate è una pausa desiderata.
Per altri è invece il momento più fragile dell’anno.
Infatti chi vive con l’ansia sociale, la depressione, disturbi alimentari o del comportamento, spesso trova nella scuola (nonostante tutto) una struttura salvifica: orari, routine, relazioni, contenimento.

Con la chiusura delle scuole, si interrompe una routine e la “libertà” può trasformarsi in vuoto disorganizzante.
I periodi di sospensione prolungata, soprattutto nei giovani con vulnerabilità pregresse, aumentano il rischio di:
– disregolazione emotiva
– ritiro sociale
– iperconnessione disfunzionale (uso compulsivo di social o videogiochi)
– comparsa o acutizzazione di sintomi depressivi e ansiosi
– comportamenti impulsivi e auto-lesivi

Per alcuni ragazzi, la pausa estiva non è una liberazione ma una sfida: serve presenza, ascolto, supporto. Riconoscere questa difficoltà è il primo passo per proteggerli.

La depressione può confondere la percezione di te stesso, delle emozioni, delle energie e persino del tuo valore.Ma ciò ...
17/07/2025

La depressione può confondere la percezione di te stesso, delle emozioni, delle energie e persino del tuo valore.

Ma ciò che stai vivendo non è debolezza. È una condizione clinica reale, che merita ascolto, cura, e tempo.
La cosa positiva è che può migliorare.

Con un supporto professionale e l’affetto dei tuoi cari anche il buio più fitto può iniziare a diradarsi.
Se vuoi, raccontaci nei commenti cosa ti ha aiutato ad affrontare una giornata difficile. Potrebbe aiutare qualcun altro.

Mi chiamo Veronica. Ho 60 anni e ho passato buona parte della mia vita a sentirmi nel posto sbagliato. Nel lavoro, nelle...
12/07/2025

Mi chiamo Veronica. Ho 60 anni e ho passato buona parte della mia vita a sentirmi nel posto sbagliato. Nel lavoro, nelle relazioni, perfino dentro casa mia.

Non mi sono mai sposata, non perché non lo volessi, ma perché non mi sono mai sentita davvero scelta. O forse non ho mai scelto fino in fondo nemmeno io. Ogni relazione sembrava andare bene all’inizio, ma poi trovavo sempre qualcosa che non funzionava o un pretesto per chiudere la relazione.

Anche sul lavoro era così. Appena raggiungevo un traguardo, già pensavo al prossimo. Mai abbastanza, mai giusto, mai… mio.
Avevo sempre mal di testa. Di quelli che ti consumano. E mi portavo addosso una stanchezza che non era solo fisica: era come se la mia vita fosse sempre in tensione, come un elastico tirato al massimo.

Poi, a 42 anni, il licenziamento.
Una mattina come tante, la mail dell’ufficio, le parole di rito, “tagli al personale”, “non è personale”.
Ma per me lo era eccome.
Senza un lavoro, senza un compagno, con gli amici che avevano preso strade diverse dalla mia, mi sono trovata sola. A fare i conti con tutto.

I primi mesi li ho passati a letto. O sul divano. A rileggere vecchi CV, a cercare case più piccole, a rifiutare inviti con la scusa del “non mi va”.
Mi svegliavo con un peso sul petto e mi addormentavo con le lacrime.
Una sera ho chiamato la mia dottoressa solo per dirle che “non ce la facevo più”.
Mi ha ascoltata e mi ha proposto di iniziare un percorso.
La prima seduta di terapia non la dimenticherò mai. Non ho detto niente per mezz’ora. Poi ho iniziato a parlare. Di quanto mi sentissi inutile, sbagliata, dimenticata.

Ci ho messo anni, ma ho iniziato a capire e rimettere insieme i pezzi per rialzarmi in piedi.
Ho trovato un lavoretto part-time in una biblioteca, ho adottato un gatto – si chiama Nuvola – e ho ricominciato a scrivere nel mio vecchio diario.
Mi hanno spiegato che molte crisi depressive iniziano in silenzio.

Spesso arrivano dopo un evento che rompe un equilibrio già precario.
La sensazione è quella di “aver perso tutto”.
Ma è proprio lì che può iniziare una nuova fase: quando, invece di resistere, si chiede aiuto.

Ascoltarsi non è arrendersi.È cominciare a respirare davvero.Questo è il messaggio di una campionessa mondiale, medaglia...
07/07/2025

Ascoltarsi non è arrendersi.
È cominciare a respirare davvero.

Questo è il messaggio di una campionessa mondiale, medaglia olimpica, di 20 anni che per noi vale più di qualsiasi podio. Vale perché Andrea Spendolini‑Sirieix si è ritirata dai Mondiali di nuoto a causa di disagi mentali.

Lei lo ha scritto senza filtri, su Instagram.
Ha scelto la cura invece della performance.
La pausa invece dell’apparenza.
La verità invece della pressione.

Per chi non lo sapesse, Andrea ha già vissuto la depressione dopo Tokyo 2020.
E lo ha detto chiaro: “Tre anni fa non volevo nemmeno più vivere.”
Poi è risalita. Ha vinto. Ma sapeva che qualcosa dentro non era guarito del tutto.

Il punto è che quando si ha a che fare con la depressione, non basta essere forti. Bisogna anche sentirsi al sicuro.

Nel mondo dello sport, e in tante vite “normali”, la performance viene prima di tutto.
Ma non è questo il vero coraggio.
Il vero coraggio è dire: “Mi fermo. Mi ascolto. Mi curo.”
E farlo sotto gli occhi di tutti.

Quella di Andrea non è solo una storia sportiva.
È una lezione di salute mentale, che riguarda ognuno di noi.
Perché anche nella vita vera si può cadere. Ma ciò che conta non è cadere…È avere il coraggio di risalire in superficie.

➡️ Leggi qui l’articolo completo:

Il 2 luglio 2025 Andrea Spendolini‑Sirieix, vent’anni, ha comunicato con grande sincerità via Instagram di ritirarsi dai Mondiali di nuoto in programma a Singapore dall’11 luglio al 3 agosto. Il motivo? “Mental blocks” persistenti durante i tuffi, che l’hanno spinta a dichiarare: «I’...

Ti è mai capitato di sentirti esaust*… senza un motivo chiaro?A volte il peso che porti non si vede, ma c'è. Ha spesso l...
04/07/2025

Ti è mai capitato di sentirti esaust*… senza un motivo chiaro?

A volte il peso che porti non si vede, ma c'è. Ha spesso la forma di pensieri distorti che si ripetono in loop.

Le trappole mentali non fanno rumore.

Entrano in silenzio, si mascherano da pensieri “logici” e logorano lentamente la tua salute mentale.

Imparare a riconoscerle è il primo passo per disinnescarle.
Non sei l’unico a viverle e sappi che si possono affrontare.
Parlarne con uno specialista è un primo passo per spezzare il ciclo.

Accettare non è arrendersi.Non è dire “va bene così”.È smettere di lottare contro un passato che non si può cambiare, ev...
01/07/2025

Accettare non è arrendersi.
Non è dire “va bene così”.
È smettere di lottare contro un passato che non si può cambiare, evitando così di raddoppiare il dolore: una volta per ciò che è accaduto, un'altra per il fatto di non riuscire ad accettarlo.
L’accettazione totale non cancella il passato, ma modifica il nostro rapporto con esso.
È il momento in cui smetti di chiederti “Perché proprio a me?”
E inizi a chiederti: “Come vado avanti, da qui?”
Accettare non significa approvare.
Significa liberarsi dal bisogno di combattere ciò che non può più essere cambiato.
E in quello spazio, iniziare a ricostruire.
L’accettazione totale è una pratica terapeutica: più ti alleni, più impari a smettere di negare il dolore e ad integrarlo nella tua storia, senza vergogna.

Per alcune persone, la stagione calda può rappresentare un cortocircuito emotivo.Il sole scalda fuori, ma lascia freddo ...
27/06/2025

Per alcune persone, la stagione calda può rappresentare un cortocircuito emotivo.
Il sole scalda fuori, ma lascia freddo dentro.
E il contrasto tra l’allegria imposta e il dolore reale peggiora tutto.
L’estate può amplificare la solitudine.
Può accentuare il senso di anomalia.
Può far sembrare ancora più “sbagliata” una sofferenza che non va in ferie.
Se ti senti fuori posto mentre tutto sembra splendere, sappi che non sei solo.
La depressione stagionale estiva esiste e merita ascolto e cura come le altre patologie.
Non aver paura… basta poco per tornare a “splendere” di nuovo!

L’assenza non è sempre una scelta.Non sempre è svogliatezza. Non sempre è ribellione.A volte un ragazzo non riesce nemme...
24/06/2025

L’assenza non è sempre una scelta.
Non sempre è svogliatezza. Non sempre è ribellione.
A volte un ragazzo non riesce nemmeno ad alzarsi dal letto.

La scuola lo segna come “assente”, ma il problema è spesso più profondo:
ansia, disagio, depressione, dinamiche di bullismo non riconosciute.

Eppure, la salute mentale resta ancora marginale nel contesto scolastico.
I segnali vengono trascurati, i silenzi non interpretati, le assenze gestite con misure disciplinari.

Ma un richiamo non può sostituire l’ascolto.
La perdita di motivazione scolastica è spesso un sintomo di un malessere più ampio.

Ogni banco vuoto è un segnale che merita attenzione.
Educare alla salute mentale non è un tema secondario.
È un passaggio necessario per rendere la scuola davvero inclusiva e capace di rispondere ai bisogni di chi la vive ogni giorno.

Avevo vent’anni.Una relazione intensa, complicata e una gravidanza non cercata.Io non mi sentivo pronto, lei ha deciso d...
20/06/2025

Avevo vent’anni.
Una relazione intensa, complicata e una gravidanza non cercata.
Io non mi sentivo pronto, lei ha deciso di portarla avanti.
Non gliene ho mai fatto una colpa, perché alla fine era il suo corpo, la sua scelta, ma dentro di me si è rotto qualcosa.
Come se fossi stato incastrato in un ruolo troppo grande, troppo presto, troppo da solo.
All’inizio ho provato ad essere “responsabile”. A dire le cose giuste. Ma non ero felice. Non riuscivo neanche a immaginarmi in quella vita.
Mi sentivo un impostore, un vigliacco, uno che avrebbe dovuto gioire… e invece crollava. Ero pieno di vergogna. E pieno di silenzio.
La depressione è arrivata così. Silenziosa. Con le sue solite armi: stanchezza, disinteresse, voglia di scappare.
Ma anche con qualcosa di peggiore: l’idea che io fossi sbagliato. Che un vero padre non avrebbe mai provato tutto quel buio.
Un giorno, all’università, un professore mi ha fermato. Non so come, ma aveva capito che qualcosa non andava.
Mi ha chiesto solo: “Hai bisogno di parlare?” E io… ho parlato.
Per la prima volta senza giustificarmi. Senza fingere. Lui non mi ha detto cosa fare. Mi ha ascoltato.
A volte ci si ritrova in ruoli che non si è pronti a sostenere. Ma il punto non è colpevolizzarsi: è riconoscere il peso emotivo che portiamo, anche quando “dovremmo essere felici”.
La depressione può nascere da questi scarti interiori.
E sì, la depressione si può curare anche cominciando da un semplice: “Non ce la faccio.”

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