Studio di psicologia applicata "Bailoni & Libardi""

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Studio di psicologia applicata "Bailoni & Libardi"" ci occupiamo di offrire supporto e servizi qualificati nelle seguenti aree tematiche:
CLINICA
AZIENDE

attività di servizi offerti come studio associato sia alle singole persone (Ambito clinico/terapeutico) che alle Organizzazioni (Area psicologia del lavoro) e ad Enti pubblici e/o comunità (Area Consulenziale)

…
09/07/2025

04/02/2025

Alice Bush, La cura della felicità

24/01/2025

Giorgio Gaber - Non insegnate ai bambini

Un bambino risponde “grazie” perché ha sentito che è il tuo modo di replicare a una gentilezza, non perché gli insegni a dirlo.

Un bambino si muove sicuro nello spazio quando è consapevole che tu non lo trattieni, ma che sei lì nel caso lui abbia bisogno di te.

Un bambino quando si fa male piange molto di più se percepisce la tua paura.

Un bambino è un essere pensante, pieno di dignità, di orgoglio, di desiderio di autonomia, non sostituirti a lui, ricorda che la sua implicita richiesta è “aiutami a fare da solo”.

Quando un bambino cade correndo e tu gli avevi appena detto di muoversi piano su quel terreno scivoloso, ha comunque bisogno di essere abbracciato e rassicurato; punirlo è un gesto crudele, purtroppo sono molte le madri che infieriscono in quei momenti. Avrai modo più tardi di spiegargli l’importanza del darti ascolto, soprattutto in situazioni che possono diventare pericolose. Lui capirà.

Un bambino non apre un libro perché riceve un’imposizione (quello è il modo più efficace per fargli detestare la lettura), ma perché è spinto dalla curiosità di capire cosa ci sia di tanto meraviglioso nell’oggetto che voi tenete sempre in mano con quell’aria soddisfatta.

Un bambino crede nelle fate se ci credi anche tu.

Un bambino ha fiducia nell’amore quando cresce in un esempio di amore, anche se la coppia con cui vive non è quella dei suoi genitori. L’ipocrisia dello stare insieme per i figli alleva esseri umani terrorizzati dai sentimenti.

“Non sono nervosa, sei tu che mi rendi così” è una frase da non dire mai. Un bambino sempre attivo è nella maggior parte dei casi un bambino pieno di energia che deve trovare uno sfogo, non è un paziente da curare con dei farmaci; provate a portarlo il più possibile nella natura.

Un bambino troppo pulito non è un bambino felice. La terra, il fango, la sabbia, le pozzanghere, gli animali, la neve, sono tutti elementi con cui lui vuole e deve entrare in contatto.

Un bambino che si veste da solo abbinando il rosso, l’azzurro e il giallo, non è malvestito ma è un bambino che sceglie secondo i propri gusti.

Un bambino pone sempre tante domande, ricorda che le tue parole sono importanti; meglio un «questo non lo so» se davvero non sai rispondere; quando ti arrampichi sugli specchi lui lo capisce e ti trova anche un po’ ridicola.

Inutile indossare un sorriso sul volto per celare la malinconia, il bambino percepisce il dolore, lo legge, attraverso la sua lente sensibile, nella luce velata dei tuoi occhi. Quando gli arrivano segnali contrastanti, resta confuso, spaventato, spiegagli perché sei triste, lui è dalla tua parte.

Un bambino merita sempre la verità, anche quando è difficile, vale la pena trovare il modo giusto per raccontare con delicatezza quello che accade utilizzando un linguaggio che lui possa comprendere.

Quando la vita è complicata, il bambino lo percepisce, e ha un gran bisogno di sentirsi dire che non è colpa sua.

Il bambino adora la confidenza, ma vuole una madre non un’amica.

Un bambino è il più potente miracolo che possiamo ricevere in dono, onoriamolo con cura.

23/01/2025

"Quando la situazione di mio figlio, e di conseguenza anche mia, era particolarmente difficile, trovavo molto sostegno leggendo i post di chi raccontava di progressi, segnali di miglioramento, uscite. Voglio contraccambiare, sperando che la mia testimonianza sia d'aiuto a qualcuno.

Mio figlio ha quasi 22 anni. Scherzando diciamo che questo è il decimo anniversario da quando le sue difficoltà dovute ad ansia sociale hanno assunto una forma visibile e, purtroppo, totalmente invalidanti per anni: una storia in comune con moltissimi dei racconti che ho letto negli anni in questo gruppo.

Qualche anno fa ho capito qualcosa in più e ho iniziato a togliere: giudizio, controllo, aspettative, miei problemi di autovalidazione come genitore, tentativi di rientrare in un fantomatico 'percorso di vita giusto per un ragazzo della sua età'. Via tutto. È rimasto solo l'ascolto, aperto, profondo, di lui e di me in questa esperienza che è la nostra vita.

Adesso, mentre sto scrivendo, sono seduta in macchina ad aspettarlo. Ancora non prende i mezzi da solo di sera, ma anche per questo so che è solo questione di tempo, del suo tempo.

Poco meno di due anni fa, dopo anni di tentativi in più direzioni per riempire un enorme vuoto esistenziale, ha scoperto la fotografia. È stato amore a prima vista, se così si può dire, un amore così grande da fargli superare piano piano moltissime chiusure, a cominciare dalle uscite da solo, fotocamera in mano, fino a quello che sta succedendo ora: un quasi ex ritirato che fotografa concerti, rock, indie, punk, in mezzo a un casino di gente (è il motivo per cui lo sto aspettando in macchina). Nel mezzo, ore e ore di street photography, lezioni, una mostra di sue foto, un sacco di contatti (pubbliche relazioni, incredibile!) e già qualche piccolo lavoro.

La sua esperienza di ritiro ha acuito la sensibilità di cui era già dotato: le sue foto restituiscono uno sguardo profondo sugli altri esseri umani, proprio quegli altri che ha cercato di evitare per anni. C'è una lente a fare da filtro, ed è proprio ciò che gli permette di esporsi così tanto (sono parole sue).

Ho provato a sintetizzare, in dieci anni è successo tanto. Ci sono molti genitori orgogliosi dei successi dei loro figli a scuola, nello sport, all'università. Io sono fiera di lui perché ce l'ha fatta a restare vivo, a trovare le risorse per darsi una possibilità. È stata dura, in molti momenti apparentemente senza speranza, ma c'è tanta bellezza nascosta: se si cambia angolazione si vede, e si vive.
Grazie a questo gruppo, unico e accogliente.

Il messaggio di una madre nel nostro gruppo Hikikomori Italia - Genitori

02/01/2025

"Ma tu mi ami?"
chiese Alice.
"No, non ti amo!"
rispose il Coniglio Bianco.
Alice corrugò la fronte e iniziò a strofinarsi le mani come faceva sempre quando si sentiva ferita.
"Vedi?" disse il Coniglio Bianco.
"Ora starai pensando a cosa c’è di sbagliato in te, a cosa hai fatto per non riuscire a farti amare nemmeno un po’.
Ed è proprio per questo che non posso amarti.
Non sempre ti ameranno, Alice.
Ci saranno giorni in cui saranno stanchi
arrabbiati con la vita persi nei loro pensieri
e ti feriranno. Perché le persone sono così:
finiscono sempre per calpestare i sentimenti degli altri a volte per distrazione, incomprensioni o conflitti interiori.
E se non ti ami almeno un po’, se non costruisci una corazza di amore per te stessa
e di felicità intorno al tuo cuore, i piccoli dardi della gente diventeranno letali e ti distruggeranno.
La prima volta che ti ho vista ho fatto un patto con me stesso: ‘Eviterò di amarti finché
non avrai imparato ad amare te stessa!’
Per questo, Alice, no non ti amo.”

Alice nel paese delle meraviglie

29/12/2024

COME RISPETTARE TE STESSO NEL 2025;
1: Smetti di cercare chi non ti cerca.
2: Smetti di supplicare attenzioni.
3: Smetti di dire più del necessario.
4: Quando le persone ti mancano di rispetto, affrontale immediatamente.
5: Non mangiare il cibo degli altri più di quanto loro mangino il tuo.
6: Riduci le visite a certe persone, soprattutto se non le ricambiano.
7: Investi su te stesso. Renditi felice.
8: Smetti di ascoltare pettegolezzi sugli altri.
9: Pensa prima di parlare. L’80% del valore che gli altri ti attribuiscono dipende da ciò che dici.
10: Sii sempre al meglio.
11: Sii una persona che realizza. Lavora sui tuoi obiettivi.
12: Rispetta il tuo tempo.
13: Non restare in una relazione in cui non ti senti rispettato e valorizzato. Allontanati.
14: Impara a spendere soldi per te stesso. È così che gli altri impareranno a spendere per te.
15: Sii meno disponibile a volte.
16: Sii un donatore più che un ricevente.
17: Non andare dove non sei invitato. E quando sei invitato, non restare troppo a lungo.
18: Tratta le persone esattamente come vuoi essere trattato.
19: A meno che non ti debbano dei soldi, due tentativi di chiamata sono sufficienti.
Se tengono a te, ti richiameranno.
20: Sii bravo in ciò che fai.
Resta una brava persona.. 🙏❤️

21/12/2024

“Ci sono veleni che assumi ogni giorno: a volte si chiamano mamma, a volte papà, a volte nonno e nonna. Ci sono veleni che, spesso, non sanno di essere veleni, ma hanno un effetto tossico su di noi. Il «non si può dire,» il «non sta bene», il «non adesso», il «non puoi capire». Questi veleni ci vengono iniettati giorno dopo giorno con l'educazione, con il ricatto, con la paura. Ci sono veleni che fanno così tanto parte di te che non li riconosci per quello che che sono. Si chiamano inadeguatezza, il non sentirsi mai abbastanza, il senso di colpa, la paura dell'abbandono, l'amore da meritarsi, il dover essere diversi perché quel che si è non va mai bene. Ci sono veleni che non sappiamo di iniettare, perché non siamo consapevoli del loro potenziale tossico. E ci sono veleni che pensiamo di dover passare per forza, perché li hanno passati a noi. E poi ci sono persone che sono antidoto e, per fortuna, anche queste a volte si chiamano mamma, papà, nonno o nonna. A volte si chiamano marito, moglie, fidanzato, amico, maestra, psicologo.... A volte non sappiamo neanche come chiamarli, ma sappiamo soltanto una cosa: che ci fanno stare bene. Sono queste le persone di cui dovremmo circondarci. E sono sempre queste le persone che dovremmo diventare”. 💝

Autore sconosciuto.

… interessante e condivisibile riflessione!
02/09/2024

… interessante e condivisibile riflessione!

PERCHE’ E’ SUCCESSO? DALLA PAURA AL CORAGGIO
Nessuno di noi può sapere che cosa è scattato nella mente del 17enne che ha compiuto l’efferata strage familiare che ci ha lasciato tutti atterriti. Certo è che in questi giorni ci siamo trovati a parlare più volte di casi di cronaca in cui una violenza inaudita è stata compiuta senza alcuna consapevolezza reale della gravità che quel “gesto assassino” porta non solo nella vita di chi viene ucciso, ma anche nella vita di chi uccide. Le poche parole dell’adolescente reo confesso, rese disponibili dai media nazionali, ci fanno intuire che quel ragazzo si sentiva estraneo, dislocato e sconnesso sia rispetto al mondo intorno a sé sia nei confronti di se stesso. Capita in adolescenza di soffrire di intensi stati di disagio emotivo, in cui si prova dolore e sofferenza, senza però sapere che cosa li generi e come fare ad attraversarli e affrontarli. Questo è ciò che il 17enne di Paderno Dugnano diceva di provare da giorni. Come questo vissuto di depersonalizzazione e derealizzazione possa portare ad uccidere con un coltello tutta la propria famiglia saranno la magistratura, gli specialisti e forse il tempo a dircelo. Io percepisco la dimensione del vuoto interiore in questi eventi così tragici, che coinvolgono adolescenti che uccidono senza sapere perché. Mi colpisce il fatto che il ragazzo abbia dichiarato che un minuto dopo aver compiuto la strage, si sia reso conto che ciò che aveva fatto non risolveva il suo dolore e rappresentava qualcosa di irreparabile. C’è in tutto questo una lontananza siderale dal principio di realtà e un’incapacità enorme di dotarsi di una responsabilità - rispetto ai propri agiti e alle proprie scelte - che alle soglie dei 18 anni dovrebbe essere ben formata e strutturata. Invece ci troviamo di fronte a “quasi adulti” che trattano la vita propria e degli altri come un bene di poco valore, come se avessero a che fare con bambolotti o pupazzi di pezza. Che non sembrano aver sviluppato il concetto di bene e di male e quindi non lo usano come filtro da interporre tra ciò che pensano e ciò che fanno. C’è una totale diseducazione a guardarsi dentro e a leggersi dentro. Quasi tutti in adolescenza abbiamo sperimentato disagio, fatica e dolore. Per ve**re fuori da certe sabbie mobili emotive, abbiamo dovuto comprenderle, condividere il nostro disagio parlando con amici e/o adulti di riferimento. Lo abbiamo dovuto affrontare e tollerare sapendo che la vita spesso ci obbliga a camminare in salita, a fare fatica e non sempre ci dà - in modo immediato e magico - il rimedio che ci serve per stare meglio. In questo società del tutto e subito, sentire dolore e disagio interiore senza sapere come dirlo, a chi dirlo e cosa farne è un fenomeno frequente soprattutto nei maschi che vivono una crescita in cui essi stessi fanno milioni di cose, ma parlano pochissimo del dolore che vivono ed elaborano ancora meno il significato che accompagna i loro stati emotivi disagevoli. Tra l’altro i giovani maschi crescono immersi in una cultura che chiede loro di immergersi nella violenza e nella potenza, considerati valori molto più importanti – se sei nato maschio – della competenza. Devi essere un “vero uomo”: ancora oggi è un mantra che inibisce e cancella il diritto/dovere che ciascuno ha di essere un uomo vero. Così, crescere maschi, vuol dire confrontarsi più spesso con supereroi che sparano e uccidono, piuttosto che con uomini adulti che salvano vite o si prendono cura del dolore di chi vive al proprio fianco. Diventi campione di un videogioco quante più persone uccidi, vai al cinema a vedere storie impregnate di azioni violente e canti canzoni in cui sballo e prepotenza, sbruffonaggine e criminalità sono identificate come valori identitari. Mi guardo bene dal dire che siano queste le ragioni del massacro di Paderno Dugnano. So bene che non lo sono. Ma se il dolore degli uomini è inteso sempre e solo come qualcosa che va nascosto e che rende fragili, se chiedere aiuto è considerato fragilizzante e “roba da femmine”, che cosa resta nell’esperienza e dell’esperienza del dolore a chi nasce e cresce maschio? Solo il bisogno di nasconderlo, di fingere di non sentirlo e se arriva, di lasciarsene travolgere nel silenzio di tutti per poi trasformarlo in gesti caotici pieni di potenza distruttiva. In tutti noi genitori, oggi c’è sgomento e dolore. Continuo a ricevere messaggi di madri e padri che vorrebbero essere rassicurati, che chiedono parole che ci facciano sentire dalla parte giusta, in un territorio della vita in cui garantirsi la certezza che a noi queste cose non capiteranno mai. Io non posso dare a nessuno questa certezza. Tanto meno la posso dare a me, che sono padre di quattro figli. Però invito tutte le mamme e i papà a non lasciarsi sopraffare dal senso di impotenza e di paura. Continuiamo ad essere presenti sulla scena della vita dei nostri figli, senza invaderla. Continuiamo a farli stare nella vita reale, in modo tale che escano nel mondo e continuino a desiderare di esplorarne la bellezza e quell’ignoto della cui esplorazione non puoi fare a meno quando sei adolescente. Aiutiamoli a fare rete perché possano incontrarsi con persone vere e reali, dentro comunità e non dentro a community virtuali dove si socializza e si videogioca senza avere mai nessuno in carne e ossa davanti a sé o al proprio fianco. Costruiamo scuole e luoghi di aggregazione dove imparino a parlare, a dire, a sperimentare la bellezza e la fatica, la gioia e la tristezza che la vita reale reca con sé. Continuiamo a parlare tra noi adulti di ciò che davvero conta nella vita, che non è garantire benessere e protezione fisica ai nostri figli. Certo questi due elementi sono molto importanti. Ma ciò che serve di più è che i nostri figli ci vedano desiderosi della loro autonomia, capaci di spingerli là dove il terreno della vita è sconnesso e aspro, non impauriti dalle loro cadute e dalle sbucciature dei loro cuori e delle loro ginocchia. In questo momento dove tutti siamo pieni di paura, i nostri figli hanno bisogno di una sola cosa: di adulti coraggiosi che sappiano testimoniare che anche dentro il dolore ciò che conta davvero è tenere alto lo sguardo verso il cielo. E verso lo sguardo di tutti gli altri intorno a noi.
Se pensate che queste parole, oggi possano essere di aiuto per altri genitori, condividetele.

…
31/05/2024

- Benvenuti all'Ansiabosco, sono Teraponio Cartonio e oggi abbiamo con noi un ospite molto speciale. Diamo tutti il benvenuto a Nicolò!
- Ciao.
- Pensate che Nicolò arriva direttamente da Città Laggiù! Che viaggio! Come si sta a Città Laggiù?
- Abbastanza bene. Stanno riqualificando.
- Evvivaaa!
- Sono due ciclabili Cartonio, stai calmo.
- Allora, bambini, volete sapere cosa faremo oggi?
- Intendi se non saremo interrotti da un attentato terroristico che destabilizzerà per sempre gli equilibri mondiali distruggendo simbolicamente la nostra giovinezza?
- Sì
- Cosa?
- Guardate qui, ho già preparato tutto. Avremo bisogno di: carta crespa colorata, colla vinilica, una matita ben appuntita, una cannuccia, le nostre forbici dalla punta arrotondata e una spillatrice. Voi da casa, avete indovinato cosa stiamo per costruire? Vuoi dirglielo tu, Nicolò?
- Un attacco di panico.
- Davvero?
- Sì.
- Pensavo avremmo costruito i festoni per il compleanno di fata Lina.
- Invece un attacco di panico.
- Va bene... sarà divertente!
- No.
- Evviva! Ma aspetta! Cos’è un attacco di panico?
- È un’arma.
- Un’arma?
- Un’arma che il tuo cervello usa contro se stesso.
- Perché?
- Perché è st***zo. Ma andiamo con ordine, caro il mio folletto barista. Sapevi che almeno 10 milioni di italiani hanno sofferto di episodi di attacco di panico e che per 2 milioni è diventato un problema cronico?
- Evvivaaa.
- Piantala. Gli attacchi di panico avvengono quando il tuo cervello decide di convincere il resto del corpo di stare morendo.
- Birbante.
- La sensazione più comune durante l’attacco di panico è, come puoi immaginare, un cieco, totale, destabilizzante, annichilente, paralizzante terrore. Ce l’abbiamo l’annichilente, paralizzante terrore?
- Dipende. Quanti anni hai?
- Trentotto.
- E allora sì che ce l’abbiamo. Liscio o gassato?
- Ma la paura stordente non è la sola sensazione che ci serve per costruire un attacco di panico. Segue spesso una sensazione di distacco, di soffocamento, persino di dolore fisico che rende tutta l’esperienza molto meno astratta di quanto si possa immaginare. È bene ricordare anche che può manifestarsi in modi molto diversi. Per qualcuno è come un graduale cambio di temperatura, per altri è come ve**re investiti da una valanga.
- Tu cosa provi durante i tuoi?
- Be’, io per prima cosa sento come un sottomarino che mi s’appoggia sullo sterno, poi comincio a sudare come un personaggio di Trainspotting e a quel punto tutto il resto diventa abbastanza secondario rispetto alla necessità di rimparare in fretta come si respira. A volte mi viene l’istinto di prendere un Frecciarossa…
- Tu dici partire, andare lontano…
- In faccia.
- Ed è per questo, bambini, che usiamo le forbici con la punta arrotondata.
- Tendenzialmente le persone possono provare cose molto diverse durante un attacco di panico, persino allucinazioni. Ho un’amica che ogni volta che ne ha uno finisce dentro un film di Carpenter, un altro a cui durano delle ore.
- Aspetta, tu hai due amici?
- Al di là del profondo disagio, affrontare un attacco di panico è molto complesso.
- Non puoi farti aiutare da mamma e papà?
- Non è così semplice. In alcuni casi la presenza di altre persone può essere fondamentale per gestire la cosa. Altre volte è problematica, infatti chi soffre di attacchi di panico spesso se ne vergogna terribilmente.
- Come mai?
- Perché l’attacco di panico è imbarazzante. Ti immobilizza rendendo molto complicato gestire te stesso quando sei da solo, figurati in compagnia. Inoltre non aiuta il fatto che sia una patologia molto difficile da descrivere per chi la prova e da percepire per chi non la vive.
- In che senso?
- Io ho avuto attacchi di panico durante videochiamate, incontri di lavoro, cene coi parenti, uscite al cinema. Nessuno si è accorto di niente. In questi momenti il mio corpo attiva una specie di pilota automatico e per tutto il tempo io, da un bunker dentro la mia testa, do vaghi, terrorizzati ordini di normalità a tutto il resto.
- Dovresti smetterla di usare Hi**er come modello di equilibrio mentale.
- Dovrei.
- Vabbé, però se lo riesci a gestire significa che non è poi così male.
- Il fatto è che, purtroppo, è così male. Una paura così spiazzante e diffusa che mancano le parole. E se mancano le parole, significa che ci devi combattere da solo.
- E come ci combatti?
- La gestisci, la controlli. Ciascuno, nel tempo, si trova costretto a sviluppare una tecnica sua. La mia vaga amministrazione dell’attacco di panico è arrivata dopo anni di convivenza con il disturbo e non deve far pensare che, solo perché gestibile in alcuni casi, la faccenda sia meno problematica. La prima volta che mi è capitato, per esempio, è stato come fare un giro omaggio in un girone infernale: un secondo prima è tutto normale, e un secondo dopo sei fradicio di paura e impotente nei confronti di tutto quello che ti circonda. Le volte successive diventa “semplicemente” fare l’imitazione di una persona normale e posata mentre si sta sopra un toro meccanico.
- Ma guarda! È già il momento del mese in cui ti fai compatire da internet. E cosa ci serve per costruire questo attacco di panico?
- Niente.
- Niente?
- L’aspetto più fastidioso legato agli attacchi di panico è che, molto spesso, non hanno una causa scatenante. Semplicemente cominci a sentirti profondamente spaventato, in pericolo, solo e disperato.
- Che differenza c’è con una laurea in discipline umanistiche?
- Quasi nessuna.
- E come lo risolvi?
- Ognuno a modo suo. C’è chi li riesce a tenere a bada con lo yoga, la palestra, accarezzando cavalli, stendendosi sul pavimento della cucina o andando in giro con lo Zoloft in borsa.
- La scivolizia?
- Se funziona, perché no? C’è chi se li fa scorrere addosso in una stanza e chi chiama la persona che è in grado di aiutarli in quel momento.
- Perché non fai un bel respiro e provi a rilassarti?
- Un grande classico. A me pare utile quanto fischiettare durante l’attacco di un puma, ma magari a qualcuno gliela risolve, che ne sai. Come ho detto, a forza di tentativi ciascuno trova il suo sistema. Io, personalmente, cerco di distrarmi pensando a cose stupide.
- L’anagramma di Alano è Analo.
- Esatto. Oppure mi rintano in un angolo del mio cervello e provo a gestire tutto da remoto. A volte funziona, a volte no.
- Ho un’altra domanda.
- Prego.
- Cosa posso fare se un mio amico sta avendo un attacco di panico?
- Oh, questa è una splendida domanda. Non gli devi rompere il fantacazzo.
- Ah no?
- No. Tendenzialmente chi ha un attacco di panico cerca urgentemente isolamento, di solito sei chilometri dentro se stesso, allo scopo di mettere in atto tutte le sue solipsistiche strategie anti-accartocciamento. È bene dunque che abbia spazio e tempo in abbondanza.
- Ma io voglio solo rendermi utile.
- Lo so, solo che certe volte il modo migliore è non fare niente rimanendo con discrezione nei paraggi.
- E si guarisce?
- Non saprei. La maggior parte dei professionisti con cui sono entrato in contatto ha usato più spesso la parola “equilibrio” che la parola “guarigione”.
- Quindi non si guarisce?
- Vedi, mio iperattivo folletto, io li ho subiti, non li ho guariti, se ne sono andati e son tornati. Ma a forza di averli una cosa l’ho imparata: ogni paura è a obsolescenza programmata.
- Cioè?
- Cioè che, proprio come il nostro Huawei, a forza di avercela intorno, un bel giorno, quando meno ve l’aspettate, smetterà di funzionare.

Il testo è di Nicolò Targhetta e la grafica di Amandine Delclos.
Non è successo niente

…! 😉
29/09/2023

…! 😉

Questo mese il racconto di Nicolò Targhetta ci porta in un viaggio all'interno della nostra "mente-casa", uno luogo a volte trascurato o sovraffollato di pensieri.

Solo entrando con sensibilità in questo spazio privato potremo avere accesso a pensieri e sentimenti autentici, rivelando le paure, le insicurezze e le speranze che in silenzio modellano la nostra esistenza.

Una danza tra l'accettazione e il cambiamento, il conforto dell'abitudine e il desiderio ardente di liberazione.

Una storia che non solo svela ma anche sfida le barriere invisibili che ci confinano.

✍️ La grafica è dell’illustratrice Amandine Delclos.


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- Eccoci qua.
- Permesso.
- Si accomodi pure.
- Quindi lei vive qui dentro?
- Sì.
- Cos’è questa?
- La mia ansia.
- Posso...
- Non la tocchi per ca**tà che è portante.
- Okay... le va di mostrarmi un po’ gli ambienti?
- Certo. Allora qui abbiamo la mia collezione di insicurezze.
- Ecco, magari queste possiamo cominciare a buttarle via.
- Perché?
- Perché occupano spazio.
- Ma a me piacciono! Ci ho messo anni per accumularle. Guardi questa, se la scuote le dà del fallito.
- Credo dovremmo valutare la possibilità di liberarcene.
- Venga da questa parte, attento mi raccomando.
- Perché ha quelle cose appese al soffitto?
- Sono paure.
- Sembrano poco stabili.
- In effetti ogni tanto qualcuna mi precipita davanti.
- Potremmo spostarle.
- Non saprei... sono quasi tutte regali di mamma e papà. Qui c’è la cucina.
- Cos’è questo odore?
- Oh, sono le mie paranoie, ne tengo sempre un paio in forno. Vuole assaggiare?
- Che schifo, come fa a mangiare questa roba?
- Dopo un po’ ci si abitua. Se mi vuole seguire.
- Ahia!
- Occhio alla testa che in questa zona l’autostima è bassa.
- Ma va alzata, qui tocca strisciare.
- Eh va alzata, dice. La fa facile lei. Sa quante volte ci ho provato? Comunque basta piegarsi un po’ ed
ecco qua il soggiorno. Si sieda pure.
- Perché le sedie hanno le punte?
- Non so di cosa sta parlando.
- Pure il divano è scomodissimo. Le piace soffrire?
- Io non saprei... il posto era già ammobiliato che io ricordi...
- E perché non compra dei mobili nuovi? Dei mobili che non le facciamo del male?
- Non so dove comprarli, non so neanche se me li posso permettere e, a essere sincero, non so neanche se
me li merito.
- Certo che se li merita. Di qua cosa c’è?
- La lavanderia. Non guardi il disordine, l’altro giorno ho fatto un casino. Dovevo separare i pensieri
chiari da quello scuri, invece ne ho lasciato uno scuro nei chiari e adesso son tutti grigi.
- Lei sa come fare una lavatrice mentale, vero?
- Guardo un sacco di tutorial su Youtube.
- Quella cos’è?
- Cosa?
- Quella porta.
- No, lì non ci vado mai.
- Cosa c’è?
- Non... non mi va di parlarne.
- Perché la porta è sbarrata?
- Per non far uscire niente. E anche per evitare di cadere nella tentazione di entrarci.
- Sa che prima o poi dovremmo andare anche lì?
- È proprio necessario?
- Ascolti, questa non è una br**ta casa, ma ci sono dei lavori da fare. Le sue ambizioni sono piene di
muffa, l’amor proprio è vecchio, questa roba è diventata tossica. Lei non si ama, si amianta. Ha una famiglia di procioni che ha fatto la tana nell’introspezione tanto poco la usa.
- Be’, almeno non sono due lupi.
- Pianti infestanti ovunque che tra l’altro si auto-annaffiano, infissi che non riescono a focalizzarsi su una
cosa per volta e lo stress che si sta mangiando le travi del tetto. Se non facciamo qualcosa qui prima o poi
le crolla tutto addosso.
- Mi sembra un lavoro così lungo, e chi ce l’ha il tempo e i mezzi per una ristrutturazione del genere? Io
non so se ci riesco.
- Pensi a questo: la parte più difficile l’ha già fatta.
- Cioè?
- Mi ha fatto entrare.

Fatti un regalo, non tenerti stretto il disagio: vieni in terapia
10/07/2023

Fatti un regalo, non tenerti stretto il disagio: vieni in terapia

L'importante non è chi ti segue, ma dove tu vai.
Vieni in terapia, accogliamo tutti i tuoi amanti!

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