01/03/2025
Leo. 10 anni. A scuola, le lettere si muovevano. Scappavano, si mescolavano. Leggere era come rincorrerle nel buio.
I compagni finivano in pochi minuti. Lui restava lì. Il foglio bianco. I pensieri pesanti.
“Non ce la farò mai.”
I voti erano bassi. I commenti, peggio. “Non si applica.” “Potrebbe fare di più.” Ma lui si sforzava ogni giorno. Ogni maledetto giorno.
Poi arrivò la professoressa Bianchi.
“Leo, forse il problema non sei tu. Forse è il metodo da usare per chi ha un diverso modo di apprendere.” Chiamo i genitori, poco dopo arrivò la diagnosi: Dislessia.
La sua Tutor DSA gli insegnò a usare le mappe concettuali. La sintesi vocale. Gli diede tempo. Lo ascoltò.
La sua Docente un giorno gli chiese di portare il racconto di una storia. Leo si preparò. Arrivò l'interrogazione. Leo era solo davanti alla classe. Niente lettura. Solo parole. E la guida della mappa concettuale con le sue immagini.
Leo tremava. Poi iniziò a parlare. Raccontò di un cavaliere contro un esercito di lettere ribelli. La voce gli tremava. Ma nessuno lo fermò.
Quando finì, ci fu silenzio. Poi un applauso. Leo abbassò lo sguardo. Non ci credeva.
Quella sera, a casa, si guardò allo specchio. Non era stupido. Non era sbagliato. Aveva solo bisogno di un modo diverso.
A scuola lo chiamavano svogliato. Finchè non arrivò qualcuno a dare un nome alle sue difficoltà e credere in lui.
Noi la chiamiamo Dislessia. Ma lui si chiama Leo. E noi, siamo orgogliosi di tutti, e tutte, i piccoli "Leo" d'Italia e dei loro sogni.
Perchè anni dopo, le lettere non erano più un nemico. Le trasformava in voci. In emozioni. Oggi è un doppiatore.
Ora ti chiedo: quanti Leo restano invisibili come forse i loro sogni?