Erika Mancini - Psychotherapy in London and online

Erika Mancini - Psychotherapy in London and online UKCP Accred. Transactional Analysis Psychotherapist | Certified Transactional Analyst | EMDR Therapist

19/11/2025

A volte il corpo ricorda, anche quando la mente cerca di dimenticare.
Ansia, irritabilità, difficoltà a dormire, senso di vuoto o iperattivazione emotiva: sono solo alcune delle forme in cui il trauma può emergere nel presente 🩹

Ma c’è una buona notizia: si può lavorare su queste ferite! La psicoterapia, e in particolare l’EMDR, offrono un percorso efficace per rielaborare l’esperienza traumatica e ritrovare il proprio benessere.

17/11/2025
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01/11/2025

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LA LUCE DELLE STELLE MORTE — MASSIMO RECALCATI E IL LAVORO INFINITO DEL LUTTO

E se il lutto, diversamente da ciò che pensava Freud, non potesse mai dirsi compiuto del tutto?
Se ogni lutto, anche quello più elaborato, più “accettato”, conservasse sempre un resto, una scheggia, un punto dolente che continua a pulsare dentro di noi?

Ho sempre pensato che esista qualcosa di irriducibile nel dolore della perdita, una ferita che non guarisce mai del tutto.
Possiamo provare a rimarginarla, a darle un senso, ma resta sempre lì: come una cicatrice che, al cambiare del tempo o delle stagioni, torna a farsi sentire.

Freud chiamava lavoro del lutto quel processo psichico che ci consente di sciogliere l’investimento affettivo verso ciò che abbiamo perduto per poterci aprire di nuovo alla vita.
Ma se questo lavoro non potesse mai arrivare alla fine?
Se fosse, piuttosto, un cammino senza approdo, un gesto interminabile, come respirare o amare?

Forse dovremmo accettare che il lutto non è qualcosa che si supera, ma qualcosa che si trasforma.
Che dentro di noi non muore mai davvero ciò che abbiamo amato: cambia forma, si riconfigura, diventa un’altra presenza.
È un’operazione di metamorfosi, un’opera interiore di trasformazione del dolore in significato, della perdita in creazione.

Il lutto, se resta senza lavoro, ci incatena al passato, ci condanna alla paralisi della malinconia.
Ma se trova una via, se riesce a generare senso, allora può aprirci di nuovo alla vita.

È qui che nasce una nuova forma di nostalgia — non quella sterile del rimpianto, ma quella grata, viva, che illumina come la luce delle stelle morte:
una luce che ci raggiunge da un corpo che non esiste più, ma che continua a splendere.

La nostalgia delle stelle morte è questo: la memoria che non spegne, ma accende;
il dolore che non distrugge, ma trasforma;
il passato che non ci trattiene, ma ci invita ad andare avanti.

Il lutto, allora, non è mai solo perdita.
È anche promessa.
È un ritorno di luce — quella che proviene da ciò che abbiamo amato, e che, anche se non c’è più, continua a mostrarci la via.



In queste righe straordinarie, Massimo Recalcati compie un atto di filosofia poetica e di psicologia umana: ridefinisce il lutto non come un compito da portare a termine, ma come un movimento eterno dell’anima.

L’idea freudiana del “lavoro del lutto” — un processo di separazione e di superamento — qui si rovescia in una prospettiva più profonda, quasi spirituale: il lutto non finisce, continua a vivere dentro di noi.
Non come peso, ma come energia trasformativa.

La perdita, dice Recalcati, non si cancella mai davvero.
Ma può essere trasfigurata.
Può generare valore, riconfigurare la nostra visione del mondo, persino accendere nuova vita.

La sua metafora della luce delle stelle morte è un’immagine potentissima: ciò che non c’è più continua a brillare, a parlarci, a orientare il nostro cammino.
Non è più un ritorno nostalgico verso ciò che è stato, ma un modo per vivere più intensamente ciò che ancora ci resta.

In tempi in cui la società sembra chiedere di “riprendersi in fretta”, di “voltare pagina”, Recalcati ci invita invece a rimanere — ad abitare il dolore, ad ascoltarlo, a farlo diventare parola, opera, gesto, creazione.

Perché il vero lavoro del lutto non è dimenticare,
ma riconoscere la luce che ancora brilla —
anche quando la stella è già spenta.

17/10/2025
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08/10/2025

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𝐀𝐧𝐠𝐨𝐬𝐜𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐦𝐨𝐫𝐭𝐞
“𝐿’𝑎𝑛𝑔𝑜𝑠𝑐𝑖𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑛𝑎𝑠𝑐𝑖𝑡𝑎 𝑒̀ 𝑖𝑙 𝑚𝑜𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑑𝑖 𝑜𝑔𝑛𝑖 𝑎𝑙𝑡𝑟𝑎 𝑎𝑛𝑔𝑜𝑠𝑐𝑖𝑎”

Per 𝗢𝘁𝘁𝗼 𝗥𝗮𝗻𝗸, Maestro della psicologia del profondo, la radice dell’angoscia di morte non si trova alla fine della vita, ma nel suo inizio. 𝗟𝗮 𝗻𝗮𝘀𝗰𝗶𝘁𝗮 𝗲̀ 𝗶𝗹 𝗽𝗿𝗶𝗺𝗼 𝘁𝗿𝗮𝘂𝗺𝗮: il distacco dal grembo materno, la perdita di un’unità che sembrava eterna. Ogni separazione successiva - un lutto, un abbandono, una malattia - riattiva quella ferita originaria.

Non è solo paura del nulla. 𝗘’ 𝗶𝗹 𝗿𝗶𝗰𝗼𝗿𝗱𝗼 𝗽𝗿𝗼𝗳𝗼𝗻𝗱𝗼 𝗱𝗶 “𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝘀𝘁𝗮𝘁𝗶 𝘀𝘁𝗿𝗮𝗽𝗽𝗮𝘁𝗶” 𝗮 𝗰𝗶𝗼̀ 𝗰𝗵𝗲 𝗱𝗮𝘃𝗮 𝘀𝗶𝗰𝘂𝗿𝗲𝘇𝘇𝗮. Per questo l’angoscia di morte può emergere nei momenti di passaggio: notti insonni, crisi improvvise, ossessioni di controllo, attacchi di panico.

👉 In questa prospettiva, 𝗶𝗹 𝘁𝗿𝗮𝘂𝗺𝗮 𝗻𝗼𝗻 𝗲̀ 𝘀𝗼𝗹𝗼 𝘂𝗻 𝗲𝘃𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗲𝘀𝘁𝗲𝗿𝗻𝗼, ma un’esperienza interna che ritorna: 𝗶𝗹 𝗰𝗼𝗿𝗽𝗼 𝗲 𝗹𝗮 𝗽𝘀𝗶𝗰𝗵𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝗻𝗼 𝗹𝗮 𝘁𝗿𝗮𝗰𝗰𝗶𝗮 di tutte le separazioni non elaborate.

Il lavoro clinico, allora, non consiste nel cancellare la paura della morte, ma nel 𝗿𝗶𝗰𝗼𝗻𝗻𝗲𝘁𝘁𝗲𝗿𝗲 𝗹’𝗮𝗻𝗴𝗼𝘀𝗰𝗶𝗮 𝗮𝘁𝘁𝘂𝗮𝗹𝗲 𝗮𝗹𝗹𝗮 𝘀𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗮𝗹𝗲 dei distacchi: dare parola alle perdite infantili, contenere il dolore che non aveva trovato ascolto, trasformare la memoria muta in racconto.

Attraverso la psicologia del profondo, 𝗾𝘂𝗮𝗻𝗱𝗼 𝗹’𝗮𝗻𝗴𝗼𝘀𝗰𝗶𝗮 𝗱𝗶 𝗺𝗼𝗿𝘁𝗲 𝘃𝗶𝗲𝗻𝗲 𝗰𝗼𝗺𝗽𝗿𝗲𝘀𝗮 come eco di separazioni passate, 𝗽𝗲𝗿𝗱𝗲 𝗹𝗮 𝘀𝘂𝗮 𝗼𝗻𝗻𝗶𝗽𝗼𝘁𝗲𝗻𝘇𝗮. Non scompare, ma 𝘀𝗺𝗲𝘁𝘁𝗲 𝗱𝗶 𝗽𝗮𝗿𝗮𝗹𝗶𝘇𝘇𝗮𝗿𝗲: diventa un richiamo a vivere con più presenza, più verità, più desiderio.

𝐷𝑜𝑡𝑡. 𝑀𝑎𝑟𝑐𝑜 𝑃𝑖𝑐𝑐𝑜𝑙𝑜 – 𝑃𝑠𝑖𝑐𝑜𝑙𝑜𝑔𝑜 𝑑𝑒𝑙 𝑃𝑟𝑜𝑓𝑜𝑛𝑑𝑜 🌓

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