06/10/2025
Aveva solo 21 anni quando il mondo gli crollò addosso.
Stephen Hawking era uno studente brillante di fisica a Cambridge: curioso, ironico, innamorato delle stelle e della matematica.
Ma un giorno il suo corpo iniziò a tradirlo. Cadute inspiegabili, mani che non rispondevano, una strana debolezza.
La diagnosi fu spietata: sclerosi laterale amiotrofica (SLA).
Una malattia degenerativa che in poco tempo lo avrebbe paralizzato, lasciandogli solo pochi anni di vita.
All’inizio fu il buio.
Si chiuse in sé stesso, convinto che non avrebbe avuto futuro.
Il pensiero di non vedere i 30 anni lo tormentava.
Eppure, proprio in quel momento, accadde qualcosa.
Conobbe Jane Wilde, una studentessa di lettere.
Lei decise di stargli accanto, nonostante la malattia, e divenne la compagna che lo spinse a non arrendersi.
Hawking ricominciò a studiare.
Anche quando non riusciva più a muoversi come prima.
Anche quando il suo corpo lo abbandonava un pezzo alla volta.
Le sue ricerche lo portarono a elaborare teorie rivoluzionarie sui buchi neri, sulla nascita e il destino dell’universo.
Dimostrò che persino un buco nero poteva “emissione radiazione”, quella che oggi porta il suo nome: radiazione di Hawking.
Intanto la malattia avanzava.
P***e l’uso delle gambe, poi la capacità di scrivere, poi la voce.
Un’infezione lo costrinse a una tracheotomia permanente.
Ma invece di spegnersi, trovò un nuovo modo di comunicare: un computer che gli permetteva di parlare premendo un solo muscolo della guancia.
Quella voce artificiale, metallica, diventò la sua identità.
Con quella voce scrisse libri come “Dal Big Bang ai buchi neri” e “Dal Big Bang all’infinito”, letti in tutto il mondo.
Non era solo un genio chiuso in laboratorio: sapeva ridere di sé.
Partecipò a documentari, apparve in serie come The Simpsons e The Big Bang Theory, diventando un’icona pop.
Sempre con un sorriso ironico, sempre con la capacità di scherzare persino sulla sua condizione.
Eppure, dietro quella leggerezza, c’era una disciplina ferrea: continuava a lavorare, a insegnare, a scrivere, nonostante richiedesse ore per comporre poche frasi.
Diceva:
«Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che puoi fare e in cui puoi riuscire.»
I medici gli avevano dato due anni di vita.
Ne visse più di cinquanta, fino al 2018, morendo a 76 anni.
Stephen Hawking ha dimostrato che il corpo può avere limiti invalicabili, ma la mente no.
Ha insegnato che la scienza può nascere dal dolore, e che persino un uomo intrappolato in una sedia a rotelle può cambiare il modo in cui l’umanità guarda l’universo.
Il suo vero lascito non sono solo le formule e le teorie, ma la prova vivente che il coraggio e la curiosità possono spingersi oltre ogni destino scritto.
Piccole Storie.