11/08/2025
Non è il distacco a farci a pezzi. È quando cade il teatro.
Quando ci accorgiamo che quella persona non era affatto come l’avevamo scritta nella nostra mente.
E no, non è neppure sempre colpa sua.
Siamo stati noi, con tutta la nostra fame d’amore, a cucirle addosso un ruolo. A ignorare gli indizi, a romanticizzare i silenzi, a trasformare le zone d’ombra in mistero. Abbiamo confuso la chimica con il destino, la gentilezza con l’amore, il bisogno con la compatibilità.
La delusione non è altro che la fine di un’illusione. E fa male perché rompe qualcosa dentro. Mette in discussione la nostra capacità di scegliere, di capire, di proteggerci. Ci fa sentire ingenui, vulnerabili, scoperti. Ma non è debolezza. È umanità. Perché tutti, almeno una volta, abbiamo voluto credere che fosse vero.
Che questa volta fosse diverso.
Che fosse quella persona.
E invece no.
E allora non ci basta chiudere una relazione per chiuderla davvero.
Ci tocca smontare, pezzo per pezzo, il castello che avevamo costruito nella testa. Togliere i “ma era così speciale”, i “sembrava diverso”, i “forse cambierà”. E ammettere che no, non era lui. Era l’idea che ci eravamo fatti di lui.
Una proiezione. Un desiderio travestito da realtà.
E lì, proprio lì, in quel dolore che non sappiamo spiegare, iniziamo a crescere. Quando impariamo ad amare senza inventare. A fidarci senza idealizzare. A vedere davvero. Non ciò che vogliamo vedere, ma ciò che è. E anche se sembra una perdita, è in realtà una liberazione.
Perché non c’è dolore più tossico di un amore basato su un’illusione.
E non c’è verità più salvifica di un cuore che impara a scegliere chi lo vede davvero.
Senza veli.
Senza filtri.
Senza favole.