08/11/2025
A 97 ANNI, E' MORTO JAMES WATSON
Per un biologo come me, è la fine di un monumento, ma uno di quelli con molte parti in ombra.
James D. Watson è stato una delle figure più complesse e controverse nella storia della scienza. Insieme a Francis Crick scoprì nel 1953 la struttura a doppia elica del DNA, una delle più grandi conquiste intellettuali del Novecento. Quella scoperta non solo rivelò come l’informazione genetica si trasmette da una generazione all’altra, ma inaugurò l’intera biologia molecolare, la genetica moderna e l’evoluzione comparata su base molecolare.
Ma accanto al genio c’era un carattere competitivo, spietato e spesso incapace di rispetto per gli altri. L’ambiente di Cambridge dei primi anni Cinquanta era dominato da una cultura maschile, chiusa e aggressiva, e Watson ne fu un interprete perfetto. Nella corsa a “decifrare il segreto della vita” ignorò ogni cautela etica: lui e Crick utilizzarono dati cruciali di Rosalind Franklin, ottenuti attraverso fotografie a raggi X, senza chiederle il permesso né citarla nella pubblicazione su Nature. Solo molti anni dopo, nella sua autobiografia The Double Helix (1968), Watson ammise parzialmente il debito verso Franklin, ma lo fece in termini condiscendenti e sessisti, descrivendola in modo ridicolizzante e relegandola a un ruolo marginale. Quella stessa autobiografia, divenuta un caso editoriale, fu anche il primo racconto diretto della feroce competizione nel mondo della ricerca, fatta di rivalità, appropriazioni di idee e calcoli personali: un mondo ben lontano dall’immagine idealizzata della scienza come impresa pura e collettiva.
Negli anni successivi Watson costruì un’enorme influenza accademica: fu professore ad Harvard, poi direttore del Cold Spring Harbor Laboratory, che trasformò in uno dei centri più avanzati di genetica e genomica, e promosse con forza la nascita del Progetto Genoma Umano. Ma la sua reputazione si sgretolò sotto il peso di un lungo elenco di dichiarazioni pubbliche razziste e sessiste. Sostenne che l’intelligenza delle popolazioni africane fosse “geneticamente inferiore”, che le donne non fossero portate per la ricerca, che l’omosessualità dovesse poter essere evitata con la selezione genetica dei nascituri. Le sue frasi suscitarono scandalo in tutto il mondo e portarono, nel 2019, alla revoca di ogni titolo onorifico da parte del laboratorio che aveva diretto per decenni.
Watson resta così il simbolo di un paradosso. Ha incarnato il meglio della scienza – la curiosità, la capacità di vedere ciò che nessuno aveva ancora immaginato – e al tempo stesso il suo lato più brutale: l’arroganza, la competizione cieca, la disattenzione verso il contributo degli altri e verso i limiti etici. È stato un uomo capace di svelare la struttura alla base della vita e dell'evoluzione, ma non seppe comprendere pienamente la complessità e la dignità dell’essere umano.