03/11/2025
Mindfulness e trauma: la distorsione della calma
Negli ultimi anni la mindfulness è stata adottata in molti setting clinici come tecnica di autoregolazione.
Tuttavia, si osserva una tendenza crescente a confondere la presenza consapevole con la ricerca della calma.
È un errore sottile ma profondo: un bias cognitivo edonico-adattivo che rischia di ridurre la mindfulness a uno strumento di controllo del sintomo, anziché a un processo di contatto con la verità corporea ed emotiva.
Nella pratica clinica trauma-focused, questo fraintendimento può risultare persino iatrogeno.
Il paziente che non riesce a “calmarsi” durante o dopo la pratica si sente nuovamente inadeguato: al dolore si aggiunge la colpa di non essere riuscito a “lasciare andare”.
In altre parole, la calma diventa un nuovo imperativo normativo che perpetua la vergogna somatica.
Il trauma, invece, ha bisogno di accoglienza, non di silenziamento.
La mindfulness autentica non cerca di eliminare l’attivazione, ma di riconoscere l’esperienza così com’è, nel corpo e nella psiche, senza giudizio.
È un atto di verità, non di perfezionismo regolativo.
Come clinici, possiamo restituire alla mindfulness la sua natura fenomenologica, spostandola dal registro del “benessere” a quello dell’integrazione dell’esperienza.
Solo allora la calma, se arriva, potrà essere considerata un effetto della resa, non il suo obiettivo.
“La mindfulness non è stare bene.
È esserci, anche quando non stiamo bene.”
Kabat-Zinn, J. (1990). Full Catastrophe Living.
Siegel, D. (2012). The Mindful Brain: Reflection and Attunement in the Cultivation of Well-Being.
van der Kolk, B. (2014). The Body Keeps the Score.
Fisher, J. (2017). Healing the Fragmented Selves of Trauma Survivors.