12/07/2025
Ho vissuto.
Come una barca senza ormeggio, in mare aperto.
Ho perdonato come si perdona un temporale:
non per clemenza, ma perché dopo la pioggia
l’aria è più nitida.
Ho cercato di cucire lembi strappati di anima
con fili d’oro e silenzio,
e ho provato a dimenticare voci che ancora abitano le mie stanze vuote.
Non ho temuto i sentimenti.
Li ho lasciati entrare come vento nelle tende.
A volte hanno portato profumo,
altre volte polvere.
Ho abbracciato qualcuno come si abbraccia un sogno prima che svanisca.
Ho riso come ruggine che cede all’acqua,
ho pianto come fa il legno stretto dalla morsa del fuoco.
Mi sono innamorato(a)
di sorrisi gettati come monete nei pozzi,
di mani che tremando stringevano forte,
di parole cadute in controluce come piume o condanne.
Ho detto “per sempre” con la voce incrinata
e ho creduto che bastasse.
Ho visto il cuore bruciarsi piano,
come carta accesa da un fiammifero distratto.
Eppure, ogni volta,
ho amato come se fosse la prima.
Mi sono perso(a) nei vicoli della nostalgia,
dove ogni porta è chiusa
e ogni finestra riflette il volto di chi non torna.
Eppure, eccomi qui.
Non salvo(a),
ma integro(a) nella mia imperfezione.
Non immune al dolore,
ma disposto ancora ad abbandonare lo scudo.
Perché vivere non è vincere,
ma lasciarsi attraversare.
Come una pianura dal vento,
come una vela dalla luce.
E a te che leggi,
auguro tempeste da attraversare
e bonacce per contemplare e meditare.
Ferite che insegnano e strade che non portano a nulla, se non in fondo a te stesso.
Non serve gridare.
Basta esserci.
Con grazia.
Con ardore.
Con verità.
Federico Quaranta