23/04/2022
I 4 GENI DI YAMANAKA E I 30 ANNI IN MENO
Shynia Yamanaka è un ricercatore giapponese che è stato insignito del premio Nobel per la medicina nel 2012 per avere scoperto una tecnica che permette di “ringiovanire” una cellula adulta fino a trasformarla in cellula staminale. Una scoperta che ha rivoluzionato il mondo della medicina rigenerativa aprendo la strada all’impiego di cellule staminali non di origine embrionale che come tutti sappiamo pongono serissimi problemi etici. Si parla infatti oggi di una vera e propria “riprogrammazione genetica” capace di generare, a partire da cellule adulte, cellule giovani che però mantengono l’ ”esperienza” delle cellule adulte. Una grande scommessa sulla quale stanno puntando anche i big dell’industria biotecnologica. Ne ho parlato a Elisir, programma di medicina e salute di RAI3, nella puntata del 13 Aprile. Oggi approfondisco la materia per chiarire cosa possiamo realisticamente aspettarci da queste ricerche.
L’intervento a Elisir è stato sollecitato per spiegare una ricerca inglese apparsa di recente sulla rivista eLife nel corso della quale i ricercatori hanno impiegato una tecnica molto simile a quella di Yamanaka per ringiovanire le cellule della cute con risultati straordinari se pensate che, grazie all’impiego di tecnologie molto sofisticate di misurazione dell’età biologica della cellula, hanno potuto dimostrare un ringiovanimento di ben 30 anni!.
Ma la vera novità dell’esperimento dei colleghi inglesi è stata che le cellule sono sì ringiovanite, ma mantenendo la memoria di quando erano adulte. Questa capacità di mantenere le funzioni normali di una cellula adulta ma coniugate alla prestanza fisica di una cellula giovane è la vera novità di questa ricerca perché apre la strada all’impiego delle cellule riprogrammate per la ricostituzione di tessuti, o la rigenerazione di tessuti danneggiati, o semplicemente invecchiati.
Ma entriamo nei dettagli dell’esperimento. Per fare regredire le cellule adulte fino a cellule staminali, Yamanaka, 20 anni fa, aveva impiegato 4 geni, diventati poi famosi come i 4 fattori di Yamanaka. I 4 geni codificano 4 proteine chiamate in termini tecnici “fattori di trascrizione” perché hanno la squisita capacità di accendere o spegnere i nostri geni.
Mi spiego meglio. Il nucleo delle cellule, con il suo DNA, può essere visualizzato come una vera e propria centrale di controllo della cellula nella quale 30.000 geni, dei veri e propri interruttori, si accendono e si spengono in base a determinati segnali. Di questi 30.000 geni, circa 1.500 sono coinvolti nei processi dell’invecchiamento cellulare, e di questi alcuni accelerano l’invecchiamento, altri lo rallentano. I 4 geni di Yamanaka, una volta inseriti nella cellula, spengono i geni che accelerano l’invecchiamento e accendono quelli che lo rallentano. Il risultato è che la cellula nel giro di qualche giorno, riacquisisce le sue caratteristiche di cellula giovane.
Il vero colpo di genio dei colleghi inglesi è stato quello di inserire i 4 geni di Yamanaka nelle cellule tenendo però in mano la catena di comando. Questo è stato possibile grazie a un trucco che permette di accendere o spegnere i 4 geni in questione. In questo modo i ricercatori sono riusciti a dettare i tempi del ringiovanimento della cellula. E’ un dettaglio molto importante perché in questo tipo di esperimenti occorre evitare che la cellula diventi troppo giovane. Perché quando diventa troppo giovane si dimentica quelle che erano le sue funzioni e può trasformarsi in qualcosa che non vogliamo. La vera novità di questo esperimento è stata la dimostrazione che bastano pochi giorni di riprogrammazione genetica, 13 per l’esattezza, per ringiovanirla senza però trasformarla in una cellula completamente diversa come invece succedeva negli esperimenti originali di Yamanaka.
L’altra novità è stata l’impiego di tecniche molto sofisticate di misurazione dell’età della cellula che permettono di stabilire con grande precisione gli anni di “ringiovanimento” cellulare. Sono tecniche molto simili a quelle impiegate oggi per misurare l’età biologica di una persona, i cosiddetti “age-clocks”.
Non solo, i ricercatori hanno messo alla prova le cellule simulando una ferita. Hanno così scoperto che le cellule ringiovanite migrano verso la ferita più velocemente di quelle non trattate. Un esperimento che apre la strada all’impiego di cellule riprogrammate geneticamente per la rigenerazione tessutale.
Gli esperimenti sono stati condotti sui fibroblasti della pelle ma sono riproducibili su tutte gli altri tipi di cellule dell’organismo aprendo nuovi scenari per la medicina rigenerativa e la lotta contro l'invecchiamento. Una delle proteine prodotte dai fibroblasti, il collagene, è molto importante non solo per la salute della pelle ma anche per quella di tutti i nostri organi, perché ne mantiene la forma e struttura. Non a caso il collagene è il primo a soffrire durante l’invecchiamento. Ma è anche stato il primo a tornare normale nei fibroblasti riprogrammati.
E’ ormai chiaro che siamo agli albori di una rivoluzione tecnologica che permetterà di sviluppare terapie cellulari per molte malattie anche gravi, come l’Alzheimer o il Parkison. Un esempio su tutti: un lavoro pubblicato l’anno scorso dal gruppo di David Sinclair a Harvard ha dimostrato la possibilità di ridare la vista a topi che soffrono di una forma di glaucoma molto simile a quella dell’uomo utilizzando cellule riprogrammate geneticamente. Forse riusciremo anche a rimettere in forma il sistema immunitario delle persone anziane. Quest’ultima è per me la frontiera più importante se consideriamo l’impatto devastante che la perdita di funzione del sistema ha avuto sugli anziani durante la pandemia.
Ma attenzione, non facciamoci troppe illusioni sui tempi. Occorreranno venti o forse anche trenta anni per arrivare a vere terapie cellulari con cellule riprogrammate. Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, ha investito 3 miliardi dollari su questo progetto ma lui stesso prevede i primi risultati non prima di vent’anni.
Quali sono le strade aperte da queste ricerche? Teniamo ben presente che un conto è parlare di medicina per la prevenzione delle malattie dell’invecchiamento, comunemente chiamata medicina anti-aging, che necessariamente si rivolge a persone sane che vogliono migliorare il loro stato di salute e, se possibile, allungare la loro vita. In questo caso si parla essenzialmente di prevenzione.
E un altro conto è parlare di medicina curativa, che interviene quando la malattia si è già manifestata. Le terapie cellulari con cellule riprogrammate geneticamente per definizione si rivolgono a persone malate. E stiamo parlando di terapie care con tutto quello che ne consegue. Non solo, le agenzie regolatorie, FDA e EMA, sono molto caute su questo tipo di terapie e non daranno mai l’approvazione in campo preventivo ma solo curativo.
Ma le altre strade aperte da queste ricerche sono già in parte accessibili alla pratica clinica nel campo della prevenzione e a costi ragionevoli, almeno nei nostri paesi. Mi riferisco per esempio all’impiego delle tecniche di misurazione dell’età biologica a cui accennavo prima. Gli americani hanno già messo a disposizione del pubblico i loro nuovissimi “age clocks". Sono test di laboratorio capaci di determinare con grande precisione l’età biologica della persona e il suo rischio di sviluppare le malattie dell’invecchiamento.
Non solo, abbiamo anche dati che dimostrano che certe molecole di derivazione naturale, chiamate dai colleghi di Harvard “supervitamine” sono capaci di riavvolgere l’orologio biologico dell’organismo accendendo i geni più importanti per la longevità, le Sirtuine. Sono i NAD boosters e c’è un gran fermento nella comunità scientifica perché sono sicure, efficaci e a basso costo. In conclusione questi esprimenti stanno tracciando la strada per una vera medicina preventiva, accessibile a tutti, e capace di accompagnarci verso un invecchiamento in salute.
Chi desidera approfondire trova nel commento al post il link al lavoro pubblicato su eLife e il mio intervento alla trasmissione Elisir di RAI3