
01/07/2025
"Quando lavori con un trauma è evidente che ciò che hai di fronte è il fallimento della capacità di raccontare, la narrazione del paziente è continuamente inceppata dall'attivazione di un sistema di difesa che inibisce, blocca, i processi superiori.
Questo si riflette anche nel dialogo clinico.
Ad oggi abbiamo diversi studi di efficacia che dimostrano che se con un paziente che viene da una storia traumatica complessa miri anzitutto all'alleanza terapeutica e poi alla stabilizzazione dell'eccessiva attivazione neurovegetativa ottieni risultati migliori di quelli ottenibili con altre terapie.
Non è soltato l'evento traumatico che fa il danno ma anche il fatto che nessuno ti abbia consolato e protetto, e questo è teoria dell'attaccamento.
Ci sono ben due studi longitudinali che dicono che la disorganizzazione dell'attaccamento nel primo anno di vita predice la dissociazione più dei traumi ricordati.
Cioè, non essere stati curati ed accuditi è per l'uomo una specie di trauma precoce: trauma relazionale precoce.
Gli effetti di questa disorganizzazione dell'attaccamento tu li vedi nella relazione terapeutica, nelle relazioni affettive, il paziente non ne sa nulla, ma non è un inconscio dinamico ma un subcosciente di Janet, procede per immagini mentali e non per parole, la costruzione di una credenza avviene dopo.
Se un paziente mi viene da una storia di trauma complesso come lo curo se non bado inanzitutto alla relazione?
Cosa mi dice come sta andando la relazione?
Quello che sto provando io mentre parlo col paziente per esempio, anche, quindi i miei sentimenti e i miei stati d'animo.
Chi viene da una disorganizzazione dell'attaccamento a un anno prima del sesto compleanno ha già stabilizzato una strategia controllante e punitiva basata sul sistema competitivo e sulla dominanza: diventa un bulletto: rompe le p***e a tutti, vuole comandare su tutti.
Oppure fa come gli psicoterapeuti futuri, usa il sistema di accudimento e diventa un dominante accudiente: ha buone probabilità di diventare uno psicoterapeuta o altre professioni sanitarie.
L'integrazione parte da un lavoro soprattutto relazionale: il paziente con trauma relazionale precoce presenta due fobie opposte: la paura della vicina della relazione e paura di perdita della vicinanza della relazione.
Il lavoro del terapeuta consiste nel far notare al paziente questo doppio stato mentale.
Successivamente si lavora con una sorta di desensibilizzazione sistematica degli stati interni: posso tollerare la vicinanza?
Che pericolo corro nella lontananza?
Poi si inizia a lavorare sull'integrazione delle due parti, nessuna delle quali dev'essere eliminata, bisogna contestualizzare.
Questa si chiama integrazione e si attua partendo da una concettualizzazione costruita insieme in terapia, imparando a riconoscere i due stati mentali.
Il paziente inizia quindi a notare i pensieri automatici sottostanti i due diversi stati e questo è essenziale per procedere all'integrazione, che non è una correzione cognitiva.
L'integrazione è un aumento delle capacità riflessive, è metacognizione, è la possibilità di vedere in sè due cose opposte."
La meraviglia e la grandezza di Gianni Liotti.
Grazie Dott.ssa Lucia Destino - Psicologa Psicoterapeuta - per averlo condiviso e ricordato 🌷
State of Mind (Il Giornale delle Scienze Psicologiche http://www.stateofmind.it/ ) intervista Gianni Liotti: Psichiatra e Psicoterapeuta, fondatore della SIT...