Fisioterapia Elvis

Fisioterapia Elvis Siamo un centro fisioterapico ad Arcore composto da professionisti con esperienza decennale.

16/11/2025

Ed eccoci nuovamente alle porte del fine settimana, per un nuovo episodio di "Patologie Spiritose: tra curiosità e leggerezza!"

Oggi parliamo di quel “dolore buono” che arriva puntuale dopo un allenamento tosto: i famosi DOMS, alias Delayed Onset Muscle Soreness.

Sì, proprio quel dolore che ti fa scendere le scale come se avessi scalato l’Everest o sederti come se la sedia fosse un’arma medievale.

Cos’è e dov’è?

I DOMS sono dolori muscolari a insorgenza ritardata, che compaiono da 12 a 72 ore dopo l’esercizio fisico intenso o insolito. Sono localizzati nei muscoli che hai “massacrato” in palestra, durante la corsa o persino portando le buste della spesa come se fossero kettlebell.

Non sono un segno di lesione grave, ma il modo in cui il corpo ti dice: “Bravo! Hai fatto qualcosa di nuovo.. ma non farlo troppo spesso, ok?” 😆

Curiosità divertente

Il termine “DOMS” venne introdotto negli anni ’80, ma gli antichi greci già conoscevano il fenomeno! Pare che i soldati di Sparta, dopo gli allenamenti più duri, si lamentassero per “dolori che scendono come fiamme dal cielo”.

Insomma, il dolore post-allenamento ha radici.. mitologiche!

Come si sviluppa?

Contrariamente a quanto si pensava un tempo, i DOMS non sono causati dall’acido lattico. Oggi sappiamo che derivano da microscopiche lesioni delle fibre muscolari (soprattutto durante le contrazioni eccentriche) e da una successiva risposta infiammatoria che attiva i recettori del dolore.

Il risultato? Indolenzimento, rigidità e, per alcuni, la sensazione che il corpo sia diventato un’armatura arrugginita.

Nella vita quotidiana

Hai mai provato a scendere le scale dopo una sessione di squat?
Ridere il giorno dopo gli addominali?
Sollevare le braccia dopo le trazioni e pensare “ora vivo qui”?

Benvenuto nel club dei DOMS, dove ogni movimento è una sfida e ogni sorriso un piccolo sacrificio muscolare.

Parole complicate, spiegate semplici

Eccentrica: fase del movimento in cui il muscolo si allunga mentre si contrae (es. scendere lentamente durante uno squat).

Microlesione: piccola rottura delle fibre muscolari che stimola la riparazione e la crescita.

Infiammazione locale: risposta del corpo che causa gonfiore, calore e indolenzimento.

Accenni di fisioterapia

La fisioterapia e la prevenzione sono ottimi alleati dei muscoli “scontenti”. Defaticamento attivo: camminata leggera o cyclette dopo l’allenamento. Stretching dolce e mobilità articolare per favorire il recupero. Massaggi decontratturanti o connettivali per stimolare la circolazione. Crioterapia o impacchi freddi nelle prime ore, seguiti da calore per il rilassamento. E soprattutto: riposo attivo, perché il movimento controllato accelera la guarigione.

Curiosità scientifica

Gli studi mostrano che i DOMS non solo non sono dannosi, ma rappresentano un segnale di adattamento: il muscolo, dopo ogni episodio, diventa più forte e più resistente al danno successivo. È il principio dell’effetto ripetizione: più ti alleni in modo progressivo, meno i DOMS torneranno a farti visita!

Conclusione

I DOMS sono come un messaggio del corpo che dice: “Hai osato, e ora sto lavorando per diventare più forte.” Un po’ fastidiosi, certo, ma anche il segno che ti stai adattando.

Quindi.. onorali, ma non sfidarli troppo! 😅
A sabato prossimo per il prossimo episodio! 🤗

08/11/2025

Ed eccoci nuovamente alle porte del fine settimana, per un nuovo episodio di "Patologie Spiritose: tra curiosità e leggerezza!" Oggi parliamo di un fenomeno che inganna anche gli ortopedici più esperti: la pseudoartrosi.

Sì, perché a volte un osso, invece di guarire e tornare compatto dopo una frattura, decide di fare di testa sua e.. diventare un’articolazione finta!

Cos’è e dov’è?

La pseudoartrosi è una mancata guarigione di una frattura ossea, in cui i due capi dell’osso non si saldano come dovrebbero. Al contrario, si forma una sorta di falso “giunto” tra i frammenti, che può perfino muoversi leggermente, imitando un’articolazione vera.

È come se l’osso dicesse: “Già che non riesco a saldarmi.. mi reinvento snodabile!”

Curiosità divertente

Il termine “pseudoartrosi” viene dal greco pseudos (falso) e arthro (articolazione).
In medicina il suffisso "-osi" indica un processo degenerativo. Pseudoartrosi, pertanto, significa "degenerazione della falsa articolazione". In pratica, è una bugia biologica: un’articolazione finta, ma con effetti molto reali!

A volte i pazienti, vedendo il movimento nella zona fratturata, dicono: “Dottore, ma non doveva muoversi..?” e il medico pensa: “Eh, appunto!” 😅

Come si sviluppa?

La pseudoartrosi si sviluppa quando la normale guarigione ossea si blocca.
Le cause possono includere scarsa vascolarizzazione dell’area (povero afflusso di sangue), infezioni post-frattura, eccessivo movimento dei frammenti ossei (immobilizzazione inadeguata), deficit nutrizionali o malattie sistemiche (come il diabete), fumo, che riduce l’ossigenazione dei tessuti.

Col tempo, i bordi dell’osso si levigano, si forma tessuto fibroso e, invece del callo osseo, nasce una “finta articolazione”.

Nella vita quotidiana

Il sintomo principale? Dolore persistente nella sede della frattura anche dopo mesi, e instabilità dell’osso. Chi ne soffre spesso racconta di sentire una “mobilità anomala” nella zona, come se l’osso “cedesse” o si piegasse. E non è raro che la forza o la funzionalità dell’arto ne risentano.

In poche parole: il corpo tenta di guarire.. ma sceglie un piano alternativo!

Parole complicate, spiegate semplici

Callo osseo: il “cemento biologico” che unisce i frammenti dopo una frattura.

Consolidamento: processo di guarigione che porta l’osso a saldarsi stabilmente.

Pseudoartrosi ipertrofica: l’osso produce tanto tessuto, ma non si salda.

Pseudoartrosi atrofica: l’osso smette di produrre callo, come se avesse rinunciato.

Accenni di fisioterapia

Il ruolo della fisioterapia arriva dopo la stabilizzazione ortopedica o chirurgica (come placche, chiodi o innesti ossei): recupero del movimento articolare nelle zone vicine, rinforzo muscolare progressivo per ridare stabilità e forza, terapie fisiche (come ultrasuoni o magnetoterapia) per stimolare la rigenerazione ossea ed educazione funzionale per gestire il carico e prevenire recidive.

Il fisioterapista accompagna il paziente nella fase di “ritorno alla vita”, quando l’osso ha finalmente deciso di.. smettere di fingere!

Curiosità scientifica

Studi mostrano che la pseudoartrosi si verifica nel 5-10% delle fratture, più spesso a livello di tibia, omero e radio. E il fumo può raddoppiare il rischio di mancata guarigione, per ridotta ossigenazione e alterato metabolismo del calcio. Oggi, grazie a tecniche chirurgiche moderne e stimolazioni biologiche (come fattori di crescita o cellule staminali), la guarigione è molto più efficace.

Conclusion

La pseudoartrosi è una “bugia” del corpo che però si può correggere, con la giusta pazienza, un buon chirurgo e tanta riabilitazione. Alla fine, l’osso smette di fingere e torna a fare il suo mestiere: reggere, proteggere e sostenere!

A sabato prossimo per il prossimo episodio! 🤗

19/09/2025

La cisti di Baker, o cisti poplitea, è una raccolta di liquido sinoviale che si forma nella parte posteriore del ginocchio, tipicamente tra il muscolo gastrocnemio e il muscolo semimembranoso. Sebbene spesso asintomatica, in alcuni casi può causare dolore, tensione e limitazione funzionale.

Meccanismo di formazione

Il ginocchio è un’articolazione sinoviale caratterizzata da un’abbondante produzione di liquido sinoviale per lubrificare le superfici articolari e ridurre l’attrito durante il movimento. Tuttavia, in presenza di un’infiammazione articolare o di un sovraccarico meccanico, la produzione di liquido sinoviale può aumentare in modo anomalo, portando alla formazione della cisti. Questa comunicazione tra la borsa poplitea e l’articolazione avviene attraverso una valvola unidirezionale, impedendo il riassorbimento del liquido e causando un rigonfiamento nella fossa poplitea.

Cause e fattori di rischio

La cisti di Baker non è una patologia primaria, ma una manifestazione secondaria di una condizione preesistente del ginocchio, tra cui artrosi (deterioramento cartilagineo che porta a un’infiammazione cronica con aumento del liquido sinoviale), artrite reumatoide o altre patologie infiammatorie (il processo infiammatorio stimola una produzione esagerata di liquido sinoviale), lesioni meniscali (la rottura di un menisco può alterare la biomeccanica del ginocchio e favorire un accumulo di liquido sinoviale), tendinopatie o sovraccarico funzionale, sport di impatto, corsa o attività lavorative con carichi elevati, tutte condizioni che possono predisporre alla formazione della cisti.

Sintomi e segni clinici

Molte cisti di Baker sono asintomatiche e vengono scoperte casualmente durante esami per altre problematiche. Tuttavia, quando la cisti cresce, può manifestarsi con un gonfiore nella fossa poplitea (un rigonfiamento visibile o palpabile dietro il ginocchio, spesso più evidente in estensione), con rigidità e tensione (un senso di pressione posteriore, soprattutto dopo sforzi prolungati), con dolore (che peggiora con il movimento, la flessione e l’estensione completa del ginocchio) e con una ridotta mobilità articolare (la flessione del ginocchio può risultare limitata nei casi più avanzati).

Attenzione: se la cisti si rompe, il liquido sinoviale può diffondersi nei tessuti circostanti, simulando una trombosi venosa profonda con dolore acuto e gonfiore diffuso al polpaccio (Segno di pseudotrombosi di Baker).

Diagnosi e imaging

L'ecografia muscoloscheletrica è l'esame di primo livello per valutare le dimensioni della cisti e la presenza di liquido. La risonanza magnetica (RMN) è utile per individuare eventuali patologie intra-articolari concomitanti (lesioni meniscali, artrosi, sinovite).

Trattamento e approccio riabilitativo

Gestione conservativa

Il trattamento dipende dalla causa sottostante e dalla sintomatologia. In generale riposo funzionale e gestione del carico, riducendo attività ad alto impatto per alleviare la pressione articolare.

La fisioterapia mira alla mobilizzazione dell’anca e del ginocchio per migliorare la biomeccanica e ridurre il sovraccarico. Gli esercizi di rinforzo e stabilizzazione con focus su quadricipiti, ischiocrurali e core stability possono migliorare la distribuzione delle forze sul ginocchio.

Terapie fisiche strumentali possono favorire il drenaggio della cisti e ridurre l’infiammazione.

Taping decompressivo può essere utilizzato per migliorare il drenaggio linfatico.

Opzioni invasive

Nei casi più gravi si procede ad una aspirazione ecoguidata, con rimozione del liquido in eccesso con ago, spesso associata a infiltrazione di cortisone. La chirurgia è indicata nei rari casi di cisti di grandi dimensioni che comprimono strutture vascolari o nervose.

Conclusione

La cisti di Baker è un segnale che il ginocchio sta lavorando in modo anomalo. Identificare e trattare la causa sottostante è fondamentale per prevenire la recidiva. Un approccio fisioterapico mirato e un’adeguata gestione del carico articolare possono essere la chiave per mantenere il ginocchio sano e funzionale.

14/09/2025

IL CORE NON È UN ADDOMINALE: È UN DIAFRAMMA INCONTRATO PER CASO DA TRE VECCHI AMICI.

Guarda bene quest’immagine.
Se ti aspettavi di vedere solo un bel retto dell’addome scolpito.. stai guardando nel posto sbagliato. Qui c’è qualcosa di molto più potente.

Il Core come cilindro funzionale!

In alto: il diaframma.
In basso: il pavimento pelvico.
Davanti: il trasverso dell’addome.
Dietro: il multifido.

Quattro elementi apparentemente lontani, che insieme creano la tua cintura di forza, stabilità e controllo.

Immaginalo come una lattina di alluminio. Resiste a pressioni enormi se chiusa bene. Ma se premi su un lato o la buchi.. collassa. È questo il segreto del core: la pressione intra-addominale ben distribuita.

Non crunch, non addominali alti, non plank infiniti fatti male. Ma equilibrio tra spinta e contenimento.

Test di consapevolezza rapida

Sdraiati supino, gambe flesse, mani sull’addome.
1. Inspira: senti il torace aprirsi lateralmente?
2. Espira lentamente: il ventre si appiattisce da solo o lo stai forzando?
3. Premi leggermente con le dita sotto l’ombelico: riesci a percepire il trasverso che si attiva senza sollevare le coste o contrarre i glutei?
4. Ora pensa al pavimento pelvico: riesci a “chiuderlo” senza stringere le cosce?
5. Infine.. riesci a fare tutto questo senza bloccare il respiro?

Se almeno uno di questi passaggi ti ha fatto sudare.. benvenuto nel vero lavoro sul core.

Il core non serve solo per avere la pancia piatta.

Serve per stabilizzare la colonna, respirare meglio, ridurre il dolore lombare, migliorare l’equilibrio, favorire la mobilità, proteggere il pavimento pelvico e coordinare forza e fluidità nei movimenti quotidiani, per dire alcune funzioni..

Frase che cambia tutto? Non sei tu che devi controllare il core. È il core che dovrebbe controllare te.. silenziosamente, in ogni gesto.

Curiosità: il muscolo trasverso si attiva 200 millisecondi prima di ogni movimento dell’arto superiore in soggetti sani. Nei soggetti con lombalgia cronica.. no. 😅
E questo fa tutta la differenza del mondo.

Rieducare il core significa rieducare il corpo alla vita. Perché il core non è solo un centro anatomico. È un centro di comando.

E oggi, finalmente, lo hai visto per ciò che è: un cilindro intelligente, dinamico e vitale. Proprio come te. 💞

20/07/2025

Negli ultimi giorni, un video virale di un professionista molto seguito sui social ha rilanciato un messaggio che merita di essere smentito con chiarezza.

“Gli esercizi non sono terapeutici. Servono solo a mantenere i risultati ottenuti con il lavoro manuale.”

Chi lo afferma si definisce professionista del corpo. Ma questo approccio, oltre a essere datato, è in netto contrasto con le evidenze scientifiche attuali.

Vediamo perché. E lo facciamo in punti.

1. La scienza è chiara: l’esercizio è terapeutico.

Tutte le principali linee guida internazionali (NICE, APTA, EULAR) riconoscono l’esercizio come strumento terapeutico primario in numerose condizioni: lombalgia, osteoartrosi, dolore cervicale, disfunzioni motorie, post-chirurgia ortopedica, riabilitazione neurologica.

Negare questo significa ignorare decenni di studi clinici, revisioni sistematiche, meta-analisi e buone pratiche sanitarie.

2. Il paziente non è passivo: è parte attiva della cura!

Un’altra frase preoccupante emersa nel video è: “Mi assumo io la responsabilità del risultato. Il paziente non ne ha.”

Per fortuna la riabilitazione moderna si basa su un concetto ben diverso: alleanza terapeutica, empowerment, partecipazione attiva del paziente.

La guarigione è un processo condiviso, non un’azione meccanica subita. Trattare il paziente come un oggetto da “sistemare” è inefficace, eticamente discutibile e psicologicamente dannoso.

3. “Lavorare sul corpo” non basta.

Il modello meccanicistico, centrato sulla figura dell’“aggiustatore”, è obsoleto. Non siamo carrozzerie da raddrizzare. La riabilitazione si basa su un modello biopsicosociale, che considera il movimento consapevole, la comunicazione, il contesto psicosociale, la progressione graduale e personalizzata.

Le tecniche passive possono avere un ruolo, ma sono limitate e transitorie se usate da sole.

4. “Gli esercizi diventano un alibi”? No, è l’esatto contrario!

Dire che l’esercizio è un alibi quando la terapia manuale non funziona è un capovolgimento pericoloso della realtà. Il vero alibi è non dare strumenti al paziente per continuare il lavoro in autonomia.

L’esercizio ben dosato, spiegato e contestualizzato all’individuo è una strategia terapeutica fondamentale per consolidare i miglioramenti, prevenire recidive, favorire l’indipendenza e ridurre la cronicizzazione.

5. Il rischio della retorica pseudoterapeutica..

Frasi come “Se non ti sistemo, ho sbagliato io” trasmettono una visione paternalistica e passivizzante. Non è questa la fisioterapia.
Noi fisioterapisti non “sistemiamo”: accompagniamo, guidiamo, educhiamo.

Questo tipo di retorica promuove la svalutazione dell’intervento attivo, l’elevazione del professionista a figura salvifica, la dipendenza dal trattamento e l’esclusione del paziente dal proprio percorso di salute.

E se a dirlo fosse stato un professionista sanitario?

Un messaggio del genere, se pronunciato da un sanitario abilitato, sarebbe oggetto di discussione deontologica.

Ma nel caso specifico, si tratta di una figura, il chiropratico, che non è attualmente abilitata come professione sanitaria in Italia, e che non risponde a un Ordine, a un codice etico o a un sistema di vigilanza.

Non è questione di guerra tra professioni. È questione di responsabilità verso le persone e verso il concetto stesso di salute.

Il punto è questo: non è un attacco personale, ma un richiamo collettivo alla responsabilità. Quando si parla di salute pubblica, non si possono diffondere convinzioni personali come se fossero verità cliniche.

Chi lavora nella riabilitazione lo sa bene: educare, responsabilizzare, condividere è l’unico modo per aiutare davvero le persone.

E se un video fa più rumore della scienza, è proprio lì che dobbiamo farci sentire.

Speriamo che anche per categorie come la chiropratica si arrivi presto a una regolamentazione seria, basata su criteri formativi, responsabilità e evidenze scientifiche, come già avvenuto per la fisioterapia.

Nel frattempo, però, non possiamo permettere che certi messaggi diventino virali senza contraddittorio.

Informare è prendersi cura.

Questo post è scritto da fisioterapisti iscritti all’Ordine, che lavorano ogni giorno per restituire ai pazienti strumenti concreti, autonomia e fiducia nel proprio corpo.

17/05/2025

Benvenuti a un nuovo episodio di “Patologie Spiritose”, dove affrontiamo i malanni.. tra curiosità e leggerezza! Oggi scendiamo.. proprio in basso! Parliamo infatti di un dolore fastidioso sotto al piede, quello che ti fa dire “ahi!” appena scendi dal letto. Se il tuo tallone ti dà il buongiorno con una stilettata, potresti avere a che fare con la fascite plantare! 👣

Cos’è e dov’è?

La fascite plantare è un’infiammazione della fascia plantare, una struttura fibrosa che collega il calcagno (tallone) alle dita del piede. La sua funzione è quella di sostenere l’arco plantare e ammortizzare l’impatto durante il cammino. Ma quando la si sovraccarica, si infiamma e.. camminare diventa una tortura! 🔥

Curiosità divertente

Sai qual è il momento della giornata in cui la fascite plantare si fa sentire di più? Appena scendi dal letto! Il piede ha “riposato” tutta la notte, e la fascia, accorciata, viene stirata di colpo al primo passo. È un po’ come ti**re un elastico freddo: protesta subito!

Come si sviluppa?

Questa condizione si sviluppa a causa di sovraccarico meccanico, calzature inadeguate, appoggio scorretto o aumento repentino dell’attività fisica (soprattutto corsa o camminata). È particolarmente frequente in persone con piedi piatti o cavi, sovrappeso, o in chi passa molte ore in piedi.

Nella vita quotidiana

Se senti dolore acuto al tallone appena ti alzi, o dopo lunghe camminate, potresti avere una fascite plantare. Il dolore può diminuire con il movimento, ma peggiora a fine giornata o dopo l’attività. E no, non è solo colpa delle scarpe.. spesso è tutto l’assetto posturale a influire! 😵

Parole complicate, spiegate semplici

Fascia plantare: una specie di “corda tesa” sotto il piede che aiuta a mantenere l’arco e a distribuire le forze quando cammini.

Infiammazione: la reazione del corpo quando una struttura è troppo sollecitata. Il dolore è il suo modo di chiedere una pausa!

Accenni di fisioterapia

Il trattamento prevede stretching mirato della fascia plantare e del tricipite surale, mobilizzazione dell’arco plantare, rinforzo muscolare del piede e della catena posturale inferiore, oltre all’uso di solette personalizzate se c’è un appoggio anomalo. Tecniche manuali, rieducazione propriocettiva e terapia miofasciale completano l’intervento.

Curiosità scientifica

Sapevi che la fascite plantare è una delle principali cause di dolore al tallone negli adulti? E che la spina calcaneare, quando presente, non è la causa del dolore, ma una conseguenza cronica dello stress sulla fascia?

Conclusione

La fascite plantare può rallentare ogni tuo passo, ma con attenzione, buone calzature e fisioterapia mirata, puoi tornare a camminare con leggerezza. E la mattina, il primo passo sarà solo l’inizio di una giornata.. non di un dolore!

A sabato prossimo per il prossimo episodio! 👋

02/05/2025

“Mi fa male il gomito quando stringo la mano, sollevo una borsa o faccio flessioni.”

No, non sei diventato improvvisamente allergico al movimento. Potresti avere un’epitrocleite.
Anche se non hai mai visto una mazza da golf in vita tua.

Cosa vediamo in quest’immagine?

Il dolore si localizza a livello dell’epicondilo mediale del gomito (epitroclea): il punto di ancoraggio dei muscoli flessori del polso e delle dita. Che sono pronatore rotondo, flessore radiale del carpo, palmare lungo, flessore ulnare del carpo.

Se sovraccaricati o stressati da movimenti ripetitivi o esecuzioni scorrette (es. troppi push-up o lavori manuali ripetitivi), i tendini si infiammano, generando:

- dolore locale e irradiato sull’avambraccio

- dolore alla presa

- sensazione di debolezza nell’afferrare oggetti

E il colpo di scena?

Molti confondono l’epitrocleite con: problemi cervicali (radicolopatie) o sindrome del tunnel carpale (neuropatia mediana)

Ma attenzione: il dolore da epitrocleite è ben localizzato e si evoca facilmente con test specifici.

AUTOVALUTAZIONE INTERATTIVA. È il tuo gomito a protestare?

1. Provi dolore localizzato sulla parte interna del gomito?
2. Il dolore peggiora stringendo forte la mano?
3. Sollevare una borsa, una bottiglia o il bilanciere evoca fastidio?
4. Sentendo il polso (flessione del polso contro resistenza) aumenta il dolore al gomito?
5. Noti formicolii al 4° e 5° dito della mano?

Se hai risposto “sì” a 3 o più domande, il tuo gomito sta mandando segnali precisi di overuse tendineo o irritazione neurotendinea.

Test pratico semplice: flessione del polso contro resistenza

Gomito esteso lungo il fianco. Chiedi a un compagno di spingere il tuo palmo verso il basso mentre tu resisti.

Se avverti dolore o bruciore sulla parte interna del gomito: sospetta epitrocleite.

Screening nervoso:

Se durante il test o in flessione del gomito compaiono formicolii o intorpidimento lungo il 4° e 5° dito: possibile coinvolgimento del nervo ulnare.

Ma perché irritiamo il nervo ulnare?

Il nervo ulnare passa proprio dietro l’epicondilo mediale, protetto solo da una leggera banda fibrosa.

Se i tendini sono infiammati e il compartimento si congestiona: si crea compressione o irritazione secondaria del nervo. Da qui i formicolii, la debolezza, la perdita di sensibilità tipica sul lato ulnare della mano.

Domanda.

Hai dolore al gomito e dai la colpa alla vecchia racchetta da tennis? Forse sono il mouse, il trapano del fai-da-te, o quel bilanciere caricato senza controllo.

Il tuo gomito è il primo campanello biomeccanico d’allarme. Ascoltalo. O sarà lui a farti mollare… letteralmente.

E ORA UN MESSAGGIO PER I COLLEGHI FISIOTERAPISTI E PER I PROFESSIONISTI DEL MOVIMENTO:

Se sospettate un’epitrocleite o se il cliente lamenta dolore interno al gomito:

NON improvvisate stretching o esercizi di forza generici.

NON sovraccaricate ulteriormente il sistema muscolo-tendineo senza prima una valutazione funzionale.

Serve una valutazione funzionale completa da parte di un fisioterapista, per:

- testare selettivamente i muscoli flessori e il nervo ulnare

- valutare la dinamica del gomito e del polso

- identificare la vera origine del dolore (tendinea o nervosa)

Solo così si può impostare un trattamento mirato:
ridurre il carico, rieducare il gesto motorio, proteggere il nervo, rinforzare gradualmente.

Conclusione

Il gomito è una struttura di trasferimento di forze.
Se salta l’equilibrio tra polso, gomito e spalla, il tendine è il primo a soffrire.
Allenare il gesto corretto è prevenzione.
Valutare il sistema è trattamento.

02/05/2025

IL DIAFRAMMA: IL MUSCOLO CHE TI STA NASCONDENDO LA VERITÀ

Hai mai pensato che il dolore che senti non venga da dove lo senti?

Hai mai avuto:

- un dolore alla spalla che non passa con nessuna terapia?

- una cervicale che ti sveglia ogni mattina?

- un senso di oppressione al petto, ma gli esami dicono che è tutto a posto?

- una digestione lenta, gonfia, instabile?

- un mal di schiena cronico che non ha una causa precisa?

Allora ti do una notizia.
Il tuo diaframma potrebbe averti fregato. Per anni. In silenzio.

Il diaframma è come un hacker nel tuo sistema!

Non lo vedi.
Non lo senti lavorare.
Ma controlla tutto.

È il tuo muscolo della respirazione, certo.
Ma anche il tuo stabilizzatore posturale, il modulatore del dolore, l’interruttore dello stress, l’equilibrista tra la vita digestiva, emotiva e motoria.

Se si blocca, può fare danni ovunque.
Ma nessuno ti ha mai detto che il problema potesse essere lì.

È la grande bugia della localizzazione del dolore..

Il tuo corpo è un genio, ma non è preciso.
Se il diaframma soffre, la tua spalla brucia.
Se è contratto, il tuo collo si irrigidisce.
Se lavora troppo, il tuo sistema nervoso resta in allerta continua.

Hai dolore alla spalla? Forse è il diaframma.
Hai il collo di marmo? Forse è il diaframma.
Ti senti sempre sotto pressione, anche se è tutto tranquillo? Forse è lui.

Una domanda sola: il tuo diaframma è libero o prigioniero?

Fai questo test in 60 secondi:

- Respiri più con il petto che con l’addome?
- Ti senti gonfio anche dopo un pasto leggero?
- Ti rilassa sbadigliare, fumare o sospirare profondamente?
- Hai dolori “misteriosi” alla schiena o alla spalla?
- Ti svegli già teso, anche dopo una notte intera?

Se hai risposto sì anche solo a 2 di queste domande.. il tuo diaframma non è libero.

E se non è libero lui, non sei libero tu. Immaginalo come un superpotere nascosto che nessuno ti ha mai spiegato.

Respirare bene non è solo una questione di ossigeno. È un reset del sistema nervoso, un riequilibrio posturale, un gesto curativo.

Un diaframma bloccato ti fa digerire male, ti destabilizza la colonna, ti costringe a compensare con altri muscoli, ti fa credere che tu abbia problemi che non hai.

Un diaframma libero, invece ti allinea, ti calma, ti restituisce potere.

La verità è questa: la tua salute non inizia da un farmaco, ma da un respiro.

Vuoi sapere qual è il gesto che accomuna:

- i neonati che dormono profondamente,
- gli atleti che si muovono con efficienza,
- i cantanti che vibrano d’anima,
- i monaci che meditano senza ansia?

La respirazione diaframmatica.

E sai chi lo fa anche senza volerlo? Il fumatore.
Ma non è la nicotina che lo calma. È il gesto profondo di inspirare ed espirare lentamente.
È il diaframma che, per un attimo, torna a fare il suo mestiere.

Wow, bello! Ma.. Come liberarlo? Non servono miracoli. Serve consapevolezza.

Ecco da dove puoi partire.

Respira da sdraiato. Una mano sul petto, una sull’addome. Quella sull’addome deve muoversi. L’altra no.

Allunga la tua gabbia toracica ogni giorno.
Il diaframma ha bisogno di spazio.

Trattalo con rispetto. Con il tocco, con la voce, con la postura.

Fatti valutare da chi sa davvero ascoltare il respiro. Un fisioterapista formato in terapia manuale, respiro e postura può cambiare il tuo corpo.. partendo da dentro.

È il muscolo che ti cambia la vita e anche quello che nessuno ti guarda

Non è glamour.
Non lo alleni in palestra.
Non lo vedi allo specchio.
Ma è il centro gravitazionale della tua salute.

Se ti senti fuori asse, bloccato, contratto, stanco.. Non cercare sempre fuori. Guarda dentro.
E ascolta il tuo diaframma.

Ti ha colpito questo post? Allora fallo arrivare a chi ne ha bisogno.

Chi ha mal di schiena da anni.
Chi non respira più davvero da troppo tempo.
Chi ha bisogno di un alleato silenzioso, e non lo sa.

Condividilo.

E se vuoi approfondire, leggi l’episodio di Muscolandia che abbiamo dedicato al diaframma e l’articolo sullo stretching diaframmatico!

https://educarefisio.com/2024/10/03/diaframma

https://educarefisio.com/2016/07/04/lo-stretching-diaframmatico/

23/04/2025

IL SOLEO: IL MUSCOLO CHE NON VEDI MA CHE TI TIENE IN PIEDI

Fermati un secondo.

Sì, proprio ora.

Sei in piedi? Seduto? Camminando? Bene.

Ora chiediti: qual è il muscolo che in questo momento ti sta tenendo eretto, saldo, centrato?

Hai pensato al gastrocnemio, vero? Quello che vedi contrarsi quando salti, che si gonfia dopo le calf raises in piedi. Ma il vero responsabile della tua stabilità non si vede. È profondo. Lavora nell’ombra. E si chiama soleo.

Ora chiudi gli occhi per tre secondi e immagina questo.

Un muscolo largo, piatto, profondo, incastonato tra tibia e perone, che ogni giorno lavora per te, instancabilmente.

Un muscolo composto quasi interamente da fibre lente, specializzato in resistenza posturale.

Un muscolo che p***a il sangue dalle gambe al cuore, come un secondo cuore.

Lo senti?

È lui.
Il tuo alleato invisibile.

TI SFIDO A SENTIRLO

Prova questo, adesso.
Siediti. Solleva lentamente i talloni da terra, tenendo le ginocchia piegate. Fai 10 ripetizioni, lente, con attenzione.

Senti bruciare?
Non è il gastrocnemio.
È lui. Il soleo che finalmente si sveglia.

Questa attivazione, semplice, ma specifica, è l’unico modo per colpirlo direttamente. Perché quando il ginocchio è flesso, il gastrocnemio (che è biarticolare) si disattiva. E il soleo prende il controllo.

Ora lo conosci. Ora puoi ascoltarlo.

E ORA TI FACCIO UNA DOMANDA

Hai mai pensato che il tuo mal di schiena potesse partire dal polpaccio?

Sembra assurdo, vero?
Eppure un soleo rigido, corto, fibrotico… limita la dorsiflessione, cambia la biomeccanica del passo, costringe il bacino a compensare, altera la distribuzione del carico.

E il risultato? Dolore lombare, affaticamento posturale, squilibrio globale.

IL TEST DEL CLINICO (FALLO TU STESSO O USALO IN STUDIO)

🔥 Test di Silfverskiöld
Fai una dorsiflessione passiva del piede con il ginocchio esteso.
Poi rifai la dorsiflessione con il ginocchio flesso.

Se migliora, il problema è il gastrocnemio.
Se resta limitata, il colpevole… è il soleo.

TI ALLENI? ALLORA RISPONDI A QUESTE TRE DOMANDE:
1. Fai solo calf raises in piedi?
2. Hai gambe pesanti alla fine della giornata?
3. I tuoi polpacci non crescono… nonostante tutto?

Se hai detto “sì” almeno una volta, probabilmente stai ignorando il soleo.

UN MUSCOLO, TRE POTERI NASCOSTI

Stabilità posturale: ti tiene su, anche quando pensi che siano solo i glutei o l’addome a farlo.

P***a venosa: aiuta il sangue a risalire, lavora in silenzio per alleggerirti le gambe.

Equilibrio biomeccanico: protegge la colonna, stabilizza la caviglia, regola il passo.

INIZIA A TRATTARLO COME MERITA

Allenalo da seduto, ginocchia piegate, lento e controllato.
Allungalo in dorsiflessione attiva a ginocchio flesso.
Lavoralo manualmente lungo tutta la catena posteriore.
Usalo come strumento di prevenzione vascolare nei pazienti fragili.

E ADESSO DIMMI…

Hai mai valutato il soleo nei tuoi pazienti con lombalgia cronica?
Lo consideri nei percorsi di ritorno alla camminata dopo immobilizzazione?
Lo inserisci nel tuo piano di lavoro per la circolazione periferica?

Se la risposta è “non sempre”, allora questo è il momento per cambiare rotta.
Il soleo ti sta chiamando. Non alza la voce, ma fa la differenza. 🤭

Indirizzo

Via Cesare Battisti, 22
Arcore
20862

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