Terre di Novaglia

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LE NOTIZIE RELATIVE A FRANCESCO BOSCAINO E MATTEO GULESICH, RIPORTATE NELLA “GRANDE CRONACA DI CAMPORA” DI FRA ODORICO B...
30/05/2024

LE NOTIZIE RELATIVE A FRANCESCO BOSCAINO E MATTEO GULESICH, RIPORTATE NELLA “GRANDE CRONACA DI CAMPORA” DI FRA ODORICO BADURINA

Oggi parleremo di un libro importantissimo, direi fondamentale per tutti quelli che vogliono approfondire le loro conoscenze sulla storia di Novaglia e sull’Isola di Pago. Il libro si intitola “La Grande Cronaca di Campora” (Velika Kamporska Kronika) ed è conservato come manoscritto nel monastero francescano di Campora (Kampor), sull’isola di Arbe (Rab). Il suo autore è fra Odorik Badurina.
Fra Odorico (Odorik) Badurina, cronista, bibliotecario e archivista, nacque il 31 luglio 1896, a Stanišće, sull'isola di Pago (Pag). Ha frequentato i licei francescani inferiori a Badia (Badija) e Cassione (Košljun), e quelli superiori a Zara (Zadar). Compì gli studi teologici a Ragusa (Dubrovnik). Entrò nell'ordine francescano nel 1914. Visse nei monasteri di Badia (Badija) dove insegnò italiano nell'istituto francescano, poi a Cassione (Košljun) sull'isola di Veglia (Krk), a Paese (Kraj) sull'isola di Pašman, a Campora (Kampor) sull'Arbe e infine a Ragusa (Dubrovnik). In ogni monastero dove soggiornò organizzò un archivio e una biblioteca, e gli fu affidato anche il compito di scrivere la cronaca del rispettivo monastero.
Oltre a copiare i documenti, padre Odorico ha aggiunto ai documenti anche le sue note marginali, i suoi giudizi, i suoi pensieri e le sue osservazioni, che lo rappresentano come una persona educata, sincera e spontanea. Utilizzava spesso anche le testimonianze di testimoni credibili contemporanei che hanno vissuto determinati eventi oppure conoscevano le persone coinvolte. Le opere più importanti di frate Odorico sono la “Cronaca del monastero di Badia”, la “Cronaca di Cassione”, la “Cronaca di Kraj sull'isola di Pašman”, la “Cronaca di Loni e Novaglia” (di cui parla questo post), e la “Cronaca di Ragusa”.
Fra Odorico arrivò sull'isola di Arbe, nel monastero di San Bernardino di Sienna a Campora, nel 1936, e durante il suo soggiorno ventennale sull'isola di Arbe scrisse diverse cronache del monastero francescano, e nel 1941 iniziò ad inserire i dati raccolti nella “Grande Cronaca di Campora”. Si tratta di un'opera storiografica articolata in sette libri alla quale furono aggiunti tre libri dell'Indice. Secondo la testimonianza dello stesso cronista, il materiale utilizzato durante la compilazione della Cronaca comprende almeno 315.000 pagine di fonti in latino, italiano e croato. La particolarità di quest'opera è che contiene descrizioni di fonti provenienti da diversi archivi, alcuni dei quali sono andati distrutti o persi nel tempo. La “Grande Cronaca di Campora” così è entrata perfino nell’immaginario culturale collettivo delle comunità locali di Arbe e Pago.
Immagine 1: Una pagina dalla “Grande Cronaca di Campora” di Fra Odorico Badurina
Il Comune di Novaglia, nell’anno 2023, sponsorizzò la pubblicazione del libro “Dokumentirana povijest Luna i Novalje – Knjiga 1” (La storia documentata di Loni e Novaglia – Vol 1.) che su più di 600 pagine di testo riporta tutte le notizie storiche prese dalla “Grande Cronaca di Campora” che riguardano l’Isola di di Pago, soprattutto le comunità di Loni e Novaglia.
Immagine 2: “La storia documentata di Loni e Novaglia – Vol 1
Il libro comprende tantissime notizie molto interessanti che riguardano la storia di Novaglia e della parte settentrionale dell’isola di Pago. Tra tutte queste notizie, soprattutto quelle di cronaca, il nostro particolare interesse si è rivolto a quelle che menzionano due personaggi- Francesco Boscaino e Matteo Gulesich (e le loro famiglie) che abbiamo visto come protagonisti di due post di Terre di Novaglia (del 21.01. 2021. e 2.03.2021). Sono i post che parlavano del processo (dell’anno 1557) in quale questi due furono accusati, come abbiamo visto, di “practicar et tener amicitia cm Uschochi havendo cm essi intelligentia et famigliar conversatione”. Boscaino fu accusato da quasi tutti i testimoni d’accusa che nel mese di maggio 1557 “andette cm un’suo nepote ( Gulesich, N.B.) a ritrovar una barcha di Uschochi chi erano al numero di vintiquatro” e che, in questa occasione, “tra loro tutti insieme Uschochi et Boschaino fu de novo confirmata et fatta nova improba confederatione, amicitia et pace”. Quindi, per celebrare i loro patto Boscaino “in caxa sua fece carigar un’udro di bono et elletto vino et un’sacho di pane et altre vitualie sopra un somaro et le mandete a donar a ditti Uschochi”. Questo post si concludeva con le seguenti parole: “Non possiamo sapere quale fosse la sentenza finale, e quindi se Francesco Boscaino e suo nipote Matteo Gulesich fossero stati condannati o no, né quale fu il loro destino dopo il processo.” Ora, la “Cronaca di Campora” ci offre qualche breve indizio sul destino dei protagonisti e dei loro familiari. Cerchiamo di esaminarli in dettaglio.
La prima notizia, relativa al padre di Matteo Gulesich, porta la data di 9 marzo 1544 e ci dice che ad Arbe, Martin Buschainich detto Gules di Novalja e Ilija Hiliasich, rappresentanti di Novaglia, scelgono un avvocato presso il tribunale del Conte di Arbe per la controversia che hanno avuto con Don Colano Trisal. Perche riteniamo che il detto Martin Buschainich (la translitterazione del Boscaino in croato) sia il padre di Matteo? Il cognome Gulesich rappresenta il patronimico di Gules, e inoltre sappiamo che Matteo fu nipote di Francesco Boscaino, quindi un “Buschainich”.
C’è un’altra notizia, molto importante, datata 21.1. 1545. Cito testualmente dal libro di Odorico Badurina: “Ad Arbe, nella Cattedrale, Ser (signor) Francesco Buschain, un vecchio, fa testamento. Determina: se muore ad Arbe, che sia sepolto presso i francescani di S. Bernardino a Campora e lo seppelliranno vestito del loro saio (allora lo facevano in molti, pieni di devozione a San Francesco). Gli diranno Messe Gregoriane. Se muore a Novaglia, che sia sepolto nella chiesa di S. Maria davanti all'altare maggiore, e che depongano sulla sua tomba una lastra di pietra "con la sua insegna". Se muore a Pago, che sia sepolto nella chiesa di S. Francesco in abito francescano. Lascia la sua proprietà "in campo Novalia, chiamato Didina" alla moglie Magdalena. Si vede che era un nobile e viveva a Pago, Arbe e Novaglia.” Il testamento e quindi fatto nel 1545, cioè 12 anni prima del suo processo (1557), e già in quell’ occasione Boscaino viene definito come “un vecchio”. Ciò significa che nei tempi del processo fu in un’età notevolmente avanzata e sicuramente non un sessantenne, come abbiamo ipotizzato nel post che parla del suo processo.
Francesco viene ancora nominato in un’altra notizia, questa volta del 20.12.1549: "In Villa Novalea, ante loggiam" (nel villaggio di Novaglia, davanti alla loggia), di fronte ai testimoni... Il nobile di Pago Antonio Palcich vendette a F. Boscaino "unum jugerum cm dimidio, vulgo gognale terrae" (uno iugero e mezzo o, come si dice comunemente, un gognale di terra) "a Zaska" in una località chiamata Mala Carglienizza.” È da notare che questo atto di vendita precede di otto anni il suo processo. Per quanto riguarda lo stesso processo, nella “Cronaca di Campora” non esiste nemmeno un minimo cenno al processo a Boscaino e a Gulesich. NB. Un gognale (gonjaj in croato) indicava il terreno arabile in una giornata da una coppia di buoi attaccati allo stesso giogo (iugum).
E per quanto riguarda il nipote di Francesco, Matteo Gulesich, nella Cronaca ci sono pervenute un paio di notizie in base alle quali si potrebbe intuire il suo destino dopo il processo. La prima notizia è del 9.4.1559. (quindi due anni dopo il processo), dove Matteo, insieme con otto altre persone, tutti di Novaglia, nominano “un procuratore” che dovrebbe a Venezia riscuotere un debito da un certo Andrea Schanayatta per la merce che gli hanno consegnato. Notizia per sé risulta significativa nel senso che, nel 1559, Matteo era in libertà già da un bel po’ di mesi, visto che commerciava liberamente con le persone anche lontano da Novaglia. Quindi, la condanna per lui, premesso che fu decisa ed effettuata, non fu molto pesante.
La seconda notizia riguarda il suo testamento ed è del 7.10.1580 "In villa Novagia". Dichiara il notaio Fabiani: “Mentre ero a Novaglia, è venuta da me la moglie del defunto Matteo Boscaino e ha portato il testamento del suo defunto marito. È scritto in croato ("in sclavo"). Il notaio lo tradusse "in volgar italiano" e ne diede una copia alla donna.... Il defunto Matteo nomina suo cugino Giacomo Mersich come esecutore testamentario. Lasciò a Giacomo "saline 10, quali son in Prosicha.” Lascia anche la casa del bisnonno ("bisaro") Ratco Bratcovich. Gli lascia anche la proprietà “apresso Scopagl”. Inoltre, lascia i possedimenti "In Slatina et Cascha" al suo erede Francesco. Ai Frati di S. Antonio lascia a Pago "4 saline che si trovano nel recinto di Bratcovizza”, ma ogni anno devono cantare la messa per il suo defunto padre. Alle monache di St. Giustina lascia il suo magazzino, che è "sotto il fontigo di nobili", ad Arbe. Il suo bosco deve essere venduto ad Arbe. (NB Si vede che da Arbe si è trasferito a Novaglia). Lascia al fratello alcuni giardini e mura a Novaglia, "eccetto quello che è presso il castello".
La data del testamento ci indica che Matteo morì non molto tempo prima di questo giorno, e quindi visse ancora circa 23 anni dopo il suo processo. In questo periodo accumulò un patrimonio notevole, tra l’altro anche quattordici saline. (Una salina, “cavedina”, a Pago fruttava al proprietario intorno a 60 staia di sale annualmente in quell’epoca). Il fatto che qui il suo cognome viene citato come Boscaino invece di Gulesich non deve sorprendere: come abbiamo già detto, Gulesich rappresenta il patronimico di Gules, il sopranome di suo padre. Il cognome Boscaino, invece, si riferiva alla sua famiglia, e quindi lo condivideva con suo zio.
Un altro personaggio che abbiamo incontrato già negli atti del processo a Boscaino fu Marinco Marianich, visconte di Novaglia. Malgrado il suo titolo altisonante, Marinco non fu un nobile: i visconti (o viceconti) di Novaglia erano i funzionari che nominava il comune di Arbe per gestire Novaglia e il suo territorio. Infatti, ancora prima di diventare il visconte, Marianich fu il “bravaro” (il capo dei pastori) al pascolo chiamato Ospedal di Novaglia. Grazie alle notizie riportate dalla “Cronaca di Campora”, possiamo ricostruire certi eventi della sua vita. Marinco già faceva il ruolo di pastore all’Ospedal quando, nel 1555, comprò una piccola nave di tipo brazzera da Simone de Marinellis, nobile di Arbe. Con questa nave pure guadagnò parecchi soldi trasportando le merci e le persone sulle rotte dell’Adriatico. Questo si potrebbe intuire dalla notizia della causa che gli fecero, nel 1562, cinque persone di Novaglia, tutte donne (e tra di loro una certa Nicoletta Boscaino, probabile parente di Francesco e Matteo Boscaino), ma non si conoscono i motivi precisi di questa causa tranne che Marianich avrebbe dovuto portare queste signore alla fiera che si teneva a Fiume. Quello che è certo: alla fine, le parti in causa si misero d’accordo.
Marinco svolgeva già la funzione di visconte di Novaglia nei tempi del processo a Francesco e Matteo Boscaino, nel 1557, e nel frattempo continuava a fare “bravaro”, tenendo conto che, secondo la Cronaca, smise di fare pastore solo nel 1562. I soldi, malgrado quei tempi furono pieni di guerre e di carestie, ne ha visti tanti, grazie soprattutto alla sua funzione di visconte. Così riuscì anche ad avere molte amicizie e si creò notevoli debiti, come, ad esempio, quando Giovanni de Dominis, comandante della galea di Arbe e veterano della battaglia di Lepanto, nel 1574, gli prestò 120 lire veneziane. Le varie attività nelle quali si impegnava non furono prive di certi rischi, così subì diversi processi. Uno viene segnalato nel 1576, quando "In cancellaria pretoria" (nell'ufficio del conte), Marianich scelse come procuratore Colane Segota per difenderlo in tribunale. Insomma, da tutte le notizie ne esce fuori il quadro di una persona sveglia ed intraprendente, ma soprattutto astuta. Non posso, a questo punto, saltare quell’episodio “epico”, descritto nel post dedicato al processo a Francesco Boscaino, quando Marianich si scontrò con gli uscocchi vicino a Novaglia. Impressiona la sua capacità di cavarsela anche nelle situazioni più pericolose, come accade in questo scontro con 24 uscocchi:
“Marianich raccontò che lui, con il nipote di Boscaino, Matteo Gulesich, andò a vedere chi sono le persone arrivate con una barca nelle vicinanze di Novaglia. Videro uscire da una grotta “homini cm capelletti rossi et schiomati in forma… et come li vedesemo ditto Mathio se ne andete per fiancho… et io che ero piu in avanti fuy atorndezato da ditti uschochi et mi fu schargato contra un’archibugi di volta. Et io contra loro scarghetti el mio schiopo, et subito mi furno tutti intorno, et non pote fugire. Et uno contra di me disse ‘bodulo (il nome di scherno per gli isolani) te basta l’animo trazer cm schiopo verso de noy?’Et io vedendomi a male li dissi ‘mi credevo che foste li Turchi che l’altro giorno vi tolseno una barcha’. Et se altramente li havessi ditto mi havriano amazato.”
Marianich viene nominato nella Cronaca per l’ultima volta in data 18.8.1577. e la notizia dice testualmente "...a Novaglia, vicino alla casa del defunto Marianco Marianich". Quindi, in questa data risulta ormai scomparso questo insolito personaggio, che sicuramente fu ricordato a lungo tra gli abitanti di Novaglia della sua epoca.
E, a proposito degli uscocchi, leggendo le notizie che riporta la Cronaca ci si accorge che il processo a Francesco Boschaino non fu l’unica volta quando qualcuno degli abitanti di Novaglia dovette subire accuse dei rapporti con gli uscocchi. Riporto testualmente:
“Addi 22.7. 1581., Matteo Domulich, l'ex capo dei pastori a Mandra Grande vicino a Novaglia, fu citato in giudizio davanti al Conte di Rab per aver accettato nella sua casa diversi uscocchi di Segna (Senj) contro il divieto del doge veneziano e dei proclami pubblici. Un testimone dice: “Gli uscocchi sono arrivati sabato mattina durante una grande sciroccata, in una brazzera sotto la Mandra Grande. Quattro degli uscocchi rimasero in brazzera, gli altri vennero alla casa di Domulich. Tirarono fuori la nave fino alla spiaggia e la coprirono con i rovi, in modo che se ci fosse passata una galea veneziana, la nave non sarebbe stata avvistata. Dalla nave scaricarono tutte le armi, le corde... Misero tutto sotto un albero dove lasciarono la guardia. Poi presero due capre dal nostro gregge e le cucinarono. Nella casa di Domulich si prepararono la focaccia. Rimasero lì il giorno successivo fino alla sera. Mi mandarono a Novaglia per comperare loro un secchio di vino. Mi segui un uscocco. Lui rimase fuori dal paese per aspettarmi.”
Il giudice ha chiesto a Domulich: "Non sai che è severamente vietato trattare con gli uscocchi?"
Domulich si scusò, dicendo che avesse mandato immediatamente un pastore a riferire ad Arbe quando la tempesta si fosse calmata... che gli uscocchi erano venuti da noi più volte durante l'anno e avevano preso i nostri animali, formaggio e latte e che lo costrinsero a dar loro da mangiare e bere. E aggiunse: “Ecco perché adesso dormo in una prigione, dove ho quasi perso la mia vista. Ammetto che gli uscocchi sono venuti da me, 13 di loro, ma mi hanno preso con forza due capi di bestiame e del grano e miglio. Mi hanno costretto a mangiare con loro e hanno minacciato di uccidermi se non avessi fatto "a modo loro". Io, con i miei 3-4 pastori, non potevo affrontare i "tredici malfattori tutti armati".
Domulich è stato condannato a 1 mese di prigione.”
Volevo alla fine riportare qui un'altra notizia della Cronaca, relativa al verbale concordato da un mio antenato con il proprietario terriero di Arbe, Vincenzo de Dominis. Vincenzo fu fratello dell’arcidiacono Girolamo de Dominis, e loro due, nel 1703, acquistarono Novaglia con il suo territorio per 4000 ducati, insieme con i pascoli di Punta Loni e tutti i relativi diritti. Dell’arcidiacono de Dominis ho già scritto nel post di Terre di Novaglia del 12.12. 2020, adesso volevo presentarvi la suddetta notizia:
“Addi 18.06. 1724. ad Arbe i giudici di Novaglia Martino da Nona (Denona) e Antonio Malicich, rappresentanti del villaggio di Novaglia, depositano il verbale davanti al notaio insieme al dottor Vincenzo de Dominis. Dichiarano:
1. Quando un residente di Novaglia ha bisogno di costruire o ampliare una casa a Novaglia secondo le leggi ivi vigenti, non sarà obbligato a pagare le decime al proprietario del terreno (cioè, ai Dominis);
2. Il bosco a Gaj dovrebbe essere custodito dai residenti di Novaglia e dal patrono, perché il bosco viene utilizzato per gli animali.
3. Poiché c'è una causa contro gli eredi del defunto Antonio Maria Surian riguardante Krnelje (frazione di Novaglia Vecchia), ora si sta risolvendo la questione con un accordo.”
Spesso i rapporti del passato, tra i proprietari e gli affittuari dei terreni, vengono presentati come conflittuali e più delle volte sbilanciati a danno dei mezzadri. Da questo documento risulta che non fu sempre così: il proprietario non può riscuotere le tasse se la legge non lo prevede. Per intenderci: qui non si tratta delle leggi vigenti sul tutto il territorio della Serenissima settecentesca, ma della legge locale tradizionale, forse addirittura risalente ai tempi della comunità libera medievale di Kessa (ecco da dove viene la frase “leggi ivi vigenti”). Questa legge esclude che il proprietario abbia diritto alle decime nel caso di costruzione o ristrutturazione delle case dei contadini nel villaggio di suo possedimento, e il proprietario non poteva fare niente contro questa legge, anche se forse la considerava obsoleta e contraria alle altre leggi. Anche il secondo paragrafo va in questa direzione: i proprietari e gli affittuari dei terreni devono insieme impegnarsi per il bene comune, cioè per il mantenimento dei boschi comunali, minacciati dall’uso dei boschi come terreni di pascolo. Questa imparzialità (almeno formale) da parte della legge è continuata fino alla metà dell’Ottocento, quando il cambiamento delle condizioni di vita e il desiderio da parte degli affittuari di liberarsi dalle imposizioni sfavorevoli di colonato ha gradualmente alterato l’ordine sociale ed ha preannunciato l’arrivo del Novecento con il suo fardello di guerre e di rivoluzioni.
Immagine 3: Il Monastero di Campora, sull’isola di Arbe

26/04/2024
Oggi, dopo una pausa di otto anni, è ripartita la campagna di scavi archeologici sul monte Castiglione vicino a Novaglia...
20/09/2023

Oggi, dopo una pausa di otto anni, è ripartita la campagna di scavi archeologici sul monte Castiglione vicino a Novaglia (Immagine 4). Monte Castiglione (Košljun) è uno dei siti archeologici più importanti nelle vicinanze di Novaglia. Già 171 anni fa, Mijat Sabljar, del Museo nazionale di Zagabria, aveva ispezionato la località di Castiglione, di cui aveva tracciato schizzi comprendenti 5 cisterne e i resti di un mosaico. Era il 1852 e i disegni, comprese brevi annotazioni, erano stati archiviati e conservati nel Museo (Immagine 3). Nel periodo 2012-2015, un team del Museo archeologico di Zara, guidato da Smiljan Gluščević, ha fatto una serie di esplorazioni sul sito e ha scoperto, tra l’altro, un bel mosaico (Immagine 1) e una parte dell’impluvium (Immagine 2) che facevano parte di un edificio prestigioso costruito in cima al monte. Oggi, l’obiettivo del gruppo guidato da Timka Alihodžić, custode del Museo archeologico di Zara, non è solo di acquisire ulteriori conoscenze che riguardano il monte Castiglione, ma anche di conservare tutte le scoperte e prepararle per la futura presentazione al pubblico. Dalla parte nostra, non possiamo che augurare, a Timka e ai suoi collaboratori, tante importanti scoperte che ci faranno sicuramente piacere.

CALPURNIA DI CISSA COME ANTIGONE?INTRODUZIONENel saggio “Alla ricerca della villa scomparsa” (Vedi “Terre di Novaglia” d...
25/06/2023

CALPURNIA DI CISSA COME ANTIGONE?

INTRODUZIONE
Nel saggio “Alla ricerca della villa scomparsa” (Vedi “Terre di Novaglia” del 2. Giugno 2020) ho raccontato brevemente la storia della famiglia romana Calpurnii Pisones e la relazione di certi suoi membri con Caska, ovvero Cissa come veniva conosciuta durante l’antichità. Una delle persone appartenenti a questa famiglia, di cui presenza a Cissa è confermata dai ritrovamenti archeologici, si chiamava Calpurnia, figlia di Lucio Calpurnio Pisone Augure, console romano dell’ anno 1 a.C. e nipote di Gneo Calpurnio Pisone, console romano del 23 a.C. Durante il soggiorno di Calpurnia a Caska, la sua famiglia stava passando un periodo difficile: lo zio, accusato nel 19 d.C. dell’omicidio di Germanico (nipote dell’imperatore Tiberio e fratello dell’imperatore Claudio), si suicidò nel 20 d.C., mentre il processo era ancora in corso. Anche il padre di Calpurnia fu accusato del crimine di “maiestas” nei confronti dell’imperatore Tiberio, e morì, secondo lo storico Tacito, prima della fine del processo. Nel saggio sopraindicato ho accennato che Calpurnia fece erigere tre altari a Cissa per onorare la memoria di suo padre e suo zio. Ma il caso, come succede spesso nelle ricerche archeologiche, ci ha regalato una grande e bellissima sorpresa. Due anni fa fu ritrovato un altro altare sacrificale a Caska, eretto sempre da Calpurnia e dedicato a quattro divinità egizie: Iside, Serapide, Osiride e Anubi. La dedica, scolpita sull’altare, viene letta in modo seguente (Vedi immagine 1):
ISIDI MYRIONIMO VICTRICI TERRAE MARISQ(UE) DOMINATRICI SERAPI OSIRI ANVBI INVENTORI ET CVSTODI SACRORVM CALPVRNIA L(UCI) PISONIS F(ILIA) CN(AEI) PISONIS NEPTIS D(ONUM) D(EDIT)
Tradotto in italiano:
“All’Iside di moltissimi nomi, vincitrice, dominatrice di terra e di mare, al Serapide, Osiride, Anubi inventore e custode di sacralità, Calpurnia figlia di Lucio Pisone e nipote di Gneo Pisone dedica il dono”.
Il ritrovamento del quarto altare eretto a Cissa da Calpurnia ebbe, come conseguenza, la revisione delle letture di altri tre altari sacrificali, in particolare del terzo altare, ancora esistente a Caska. Come descritto nell’articolo del gruppo degli studiosi croati (Grisonic et al. VAMZ_55_2022), il terzo altare, invece di essere dedito alla Dea italica Bona Dea e la Dea liburnica Heia (come sostenevano prima certi storici), con la nuova lettura risulta dedito, seppure in modo criptico, alla Dea Iside. Su questa dedica “criptica” torneremo più tardi, adesso cerchiamo di approfondire perché una illustre matrona romana come Calpurnia fece innalzare quattro altari a Cissa e li dedicò proprio alla Dea Iside.

LA DEA ISIDE – LE ORIGINI
“Dea dalle molte facoltà, onore del sesso femminile.
Amabile, che fa regnare la dolcezza nelle comunità,
nemica dell'odio.
Tu regni nel Sublime e nell'Infinito.
Tu trionfi facilmente sui despoti con i tuoi consigli leali.
Sei tu che, da sola, hai ritrovato tuo fratello (Osiride),
che hai ben governato la barca, e gli hai dato
una sepoltura degna di lui.
Tu vuoi che le donne si uniscano agli uomini.
Sei tu la Signora della Terra
Tu hai reso il potere delle donne uguale a quello degli uomini!”
Iside o Isis (Vedi immagine 2), originaria del Delta, fu la Dea egizia della maternità e della fertilità. Divinità in origine celeste, fu figlia di Nut, Dea del cielo, e Geb, dio della terra, sorella di Nefti, Seth ed Osiride, con cui si unì quando ancora erano nel ventre materno, generando Horus.
Regnarono felici sull'Egitto finché Seth, geloso perché sua moglie Nefti si era innamorata di Osiride, con un inganno fece entrare durante un banchetto Osiride in un bara che fece sigillare e gettare nel Nilo.

Iside, disperata, si mise, accompagnata da Anubis, a cercare e ritrovò la bara, ma Seth gliela rubò e smembrò il corpo di Osiride seminando i pezzi in diverse città sulle coste del Nilo. Con l'aiuto della sorella Nefti, Iside cercò e assemblò le parti del corpo di Osiride, riportandolo in vita attraverso la sua acqua sacra. Solo il membro virile non fu trovato e Iside lo sostituì con un fallo d'oro.

Comunque Osiride, vendicato dal figlio Horus e resuscitato da Iside, finì con dominare sul regno dei morti. Per la sua capacità di riportare dalla morte alla vita, Iside era considerata una divinità associata alla magia e all'oltretomba. Aiutò Osiride a migliorare il mondo, ed inventò il sistro, l'agricoltura, il tessere e il ricamare, e istituì il matrimonio.

Plutarco scrisse: “Tra le statue dell’Iside, quelle con le corna sono rappresentazioni della sua luna crescente, mentre quelle vestite di nero i modi occulti e nascosti in cui essa segue il Sole, Osiride, e brama di unirsi con lui. In conseguenza a ciò esse invocano la luna per le questioni amorose e si dice che Iside regna sull’amore.”

IL VOLTO MISTICO DELLA DEA ISIDE

Iside Regina - Apuleio, Metamorfosi:

Io sono la genitrice dell'universo,
la sovrana di tutti gli elementi,
l'origine prima dei secoli,
la totalità dei poteri divini,
la regina degli spiriti,
la prima dei celesti;
l'immagine unica
di tutte le divinità maschili e femminili:
sono io che governo
col cenno del capo
le vette luminose della volta celeste,
i salutiferi venti del mare,
i desolati silenzi degli inferi.
Indivisibile è la mia essenza,
ma nel mondo io sono venerata ovunque
sotto molteplici forme,
con riti diversi, sotto differenti nomi.
Il riferimento all’Iside come “Myrionima” (di "moltissimi nomi" o "10.000 nomi"), presente sull’altare di Calpurnia, alle persone non abituate a questo tipo di venerazione probabilmente sembrerebbe un tantino esagerato. Ma consideriamo per un attimo solo un parziale elenco di tutti questi nomi, messi in fila:
• L'Immortale
• L'Ineffabile Governatrice
• Creatrice del flusso del Nilo
• L'Inventrice (di tutte le cose)
• Raggio di sole
• Madre di Dio
• Colei che tutto cura
• Colei che tutto riceve
• Isis-Aphrodite
• Isis-Astarte
• Isis-Pelagia
• Isis-Euploia
• Isis-Fortuna
• Isis-Hathor
• Isis-Ceres
• Isis-Athena
• Isis-Hera
• Isis-Hestia
• Isis-Hecate
• Isis Ammantata di Nero
• Vascello di salvezza
• Regina del Cielo
• Signora delle due terre
• Colei che Abbraccia la Terra
• Africa
• Distruttrice delle Anime degli Uomini
• Colei che tutto vede
• Agape
• Albula
• La Dea ex Machina
• La Figlia di Nut
• L'Allattante di Horus
• Dictynian Diana
• Amenti (La nascosta)
• La Figlia di Ra
• Il Destino
• L'Ankhet (Donatrice di Vita)
• Anquet (Che Abbraccia la Terra e rende Fertili le Acque)
• La Dinamica
• Arbitro in Questioni di Amore Sessuale
• Aut (suo titolo a Denderah)
• Base del più Bel Triangolo
• Benefattrice del Tuat (Inferi)
• La Figlia di Nut
• Conquistatrice dei Cuori
• Dikaiosyne (giustizia)
• Cornucopia di Tutti i Nostri Dei
• Creatrice della Corona di Ra-Heru
• Figlia di Geb Figlia di Seb
• Figlia di Thoth
• Diadema di Vita
• Sventatrice di Attacchi
• Madre Divina
• L'Una Divana
• Combattente in Netru
• La Dinastia
• La Terra
• Prima Sorgente del Tempo
• Epekoos (Colei che tutti guarisce)
• L'Una Segreta
• Euploia (Datrice di buoni commerci)
• Occhio di Ra
• Horus Femmina
• Femmina Principio di Natura
• Ra Femmina
• Amante del Fuoco
• Prima tra le Muse in Hermopolis
• Libertà
• Fresca Trapunta
• La Fruttifica
• Galactotrouphousa (colei che elargisce il latte di vita)
• La Gentile
• Datrice di Vita
• Dea Gloriosa
• Quindicesima Dea
• Dea di Tutti gli Dei
• Dea dell'Amore e della Magia
• Grande Scrofa Bianca di Eliopolis
• Dea delle Misture
• Dea del Romanzo
• Dea dei Crocicchi
• Dea dell'Alba
• Dea-Madre
• La più Grande degli Dei
• La Grande Pr******ta
• La Grande Dea del Sottosuolo
• Grande Maga che Cura
• Grande Vergine
• Dea Verde
• La Guardiana
• La Guida
• Ascoltatrice di Preghiere
• Hent (Regina)
• Heqet (Grande Maga)
A me personalmente, più che l’elenco stesso, fa impressione la profonda ammirazione da parte dei fedeli verso la figura della Dea, capace di suscitare dei sentimenti a noi sicuramente sconosciuti.

LA DEA ISIDE NELLA RELIGIONE DI ROMA IMPERIALE
Iside, la cui originaria associazione col Dio Osiride fu sostituita dalla Dinastia tolemaica con quella del Dio Serapide, fu dall'epoca tolemaica venerata come simbolo di sposa e madre e protettrice dei naviganti, diffondendosi nel mondo ellenistico, fino a Roma. Grande impulso le dette Cleopatra quando giunse a Roma con Cesare vittorioso che le concesse di edificare vari templi. In breve, il culto conquistò molta gente (Vedi immagini 3 e 4)
A Roma, verso l'88 a.C., era già in funzione un collegio di pastophori: una confraternita di sacerdoti che portavano nelle processioni piccole edicole con le immagini divine della Dea.
Il culto di Iside fu infatti introdotto a Roma nel I secolo a.C., assimilandola talvolta con molte divinità femminili locali, quali Cibele, Demetra e Cerere, e molti templi furono innalzati in suo onore. Il più famoso fu quello di File, l'ultimo tempio pagano ad essere chiuso nel VI sec. Durante il suo sviluppo nell'Impero il culto di Iside si contraddistinse per processioni e feste allegre e ricche, e perché i fedeli potevano entrare e pregare nel tempio, che era infatti molto più grande e ornato all'interno, a differenza degli altri templi pagani. Il culto disponeva di parecchi sacerdoti e sacerdotesse, anche perché diffondevano il culto attraverso la predicazione, pratica in seguito imitata dal cristianesimo.

Apuleio - l’Asino d’oro: alla Grande Madre Iside

"Tu sei santa,
tu sei in ogni tempo salvatrice dell’umana specie,
tu, nella tua generosità, porgi sempre aiuto ai mortali,
tu offri ai miseri in travaglio il dolce affetto che può avere una madre.
Né giorno né notte, per attimo alcuno, per breve che sia,
passa senza che tu lo colmi dei tuoi benefici:
tu per mare e per terra proteggi gli uomini,
allontani le tempeste della vita
e porgi con la tua destra la salvezza,
tu sempre con la mano sciogli le fila
che il destino aggroviglia in nodi inestricabili,
tu calmi le bufere della Fortuna
e poni un freno alle funeste rivoluzioni delle stelle.
Te onorano gli dei del cielo e rispettano quelli dell’Inferno,
tu fai ruotare la terra, dai la luce al sole,
governi l’universo, calchi col tuo piede il Tartaro.
A te obbediscono le stelle, per te ritornano le stagioni,
di te si allegrano i numi, a te servono gli elementi.
Al tuo cenno spirano i venti, offrono il nutrimento le nubi,
germogliano i semi, crescono le primizie.
La tua maestà temono gli uccelli vaganti nel cielo,
le fiere erranti pei monti,
i rettili celantisi nel terreno,
i mostri nuotanti nel mare.
Povero è il mio ingegno nel cantare le tue lodi,
scarso il mio patrimonio nell’offrirti sacrifici,
la mia voce non ha sufficiente ricchezza
per esprimere i sentimenti che m’ispira la tua maestà;
e non riuscirei neppure se avessi mille bocche e altrettante lingue,
neppure se potessi parlare senza stancarmi per tutta l’eternità.
Perciò quel poco che può un tuo fedele ma povero seguace,
io cercherò di farlo: le tue divine sembianze e la santissima tua volontà,
ora che le ho accolte nell’intimo segreto del mio cuore,
le custodirò in eterno e sempre le contemplerò nell’animo mio"

ISIDE E LA VERGINE

Esistono tratti comuni nell'iconografia relativa a queste due figure, ed è ragionevole supporre che già l'arte paleocristiana si sia ispirata alla raffigurazione classica di Iside per rappresentare la figura di Maria. La comunanza in vari dipinti si ritrova per esempio nei tratti delicati ed eterei, nel tenere entrambe in braccio un infante, che è Gesù Bambino nel caso della Madonna ed Horus per Iside. Poi, con affermarsi del Cristianesimo nell’Impero Romano, sotto imperatori come Costantino e Teodosio e con il conseguente rifiuto e persecuzione delle altre religioni a Roma e nei domini, i vari templi consacrati ad Iside siano stati riadattati e consacrati come basiliche dedicate alla Vergine, così come a volte modificati i dipinti e le opere raffiguranti la Dea egiziana. Questo ha sicuramente aiutato l'accomunarsi delle due figure a livello iconografico (Vedi immagine 5)

CALPURNIA DI CISSA E IL SUO RAPPORTO CON LA DEA ISIDE

Si è detto prima che a Roma il culto conquistò molta gente, soprattutto le matrone. Ed ecco, proprio come tante altre, anche Calpurnia fu una fedele adoratrice della Dea. Forse diventò, addirittura, una delle sacerdotesse della Dea, e questo si potrebbe desumere da certe indicazioni presenti nella dedica dell’altare di Cissa. Perché siamo arrivati a questa conclusione?
Partiamo anzitutto dalle descrizioni che si riferiscono a queste sacerdotesse:

“Le sacerdotesse della Dea vestivano solitamente in bianco e si adornavano di fiori; a Roma, probabilmente come conseguenza dell'influenza del culto autoctono di Vesta, dedicavano talvolta la loro castità alla Dea Iside. Sull'Appia antica c'è un sarcofago con quattro effigi: sopra quella dei genitori, sotto quella della prima sacerdotessa di Iside, ma al suo fianco non ha una figura maschile, bensì l'umbone solare, il simbolo del maschile interiore ritrovato, dunque casta e senza marito, ma completa del suo maschile in sé stessa.”
E proprio qui, in questa descrizione, troviamo l’evidenza che Calpurnia poteva essere la sacerdotessa: lei non fu sposata. A tale conclusione sono arrivati gli autori del sopracitato articolo VAMZ_55_2022. La loro argomentazione consiste nel fatto che l’iscrizione riporta solo la sua filiazione: L. Pisonis (auguris) filia, Cn. Pisonis neptis. Se fosse stata sposata, ci sarebbe la possibilità che fosse “in manu” a suo marito, che non le avrebbe dato il diritto di possedere nessuna proprietà. Tuttavia, l'assenza del nome del marito chiaramente indica che Calpurnia non era sposata e viveva sotto il potestas del padre.

Come viene spiegata la differente dedica sui due altari (terzo e quarto) eretti a Cissa da Calpurnia? Mentre il quarto altare riporta una chiara dedica alla Dea Iside, il terzo altare contiene una dedica che gli autori dell’articolo definiscono “criptica”, però la associano sempre alla stessa Dea. La ragione perché la dedica fu fatta in modo incomprensibile loro vedono nel fatto che nell’anno 19 d.C. l’imperatore Tiberio proibì i culti egiziani, fece demolire il tempio di Iside e fece gettare nel Tevere la statua della Dea. L’intervento di Tiberio fu drastico verso i sacerdoti, condannati alla crocifissione. Calpurnia, forse fuggita a Cissa proprio a causa di queste persecuzioni, per non correre ulteriori rischi fece questa dedica criptica. Però, quando l’imperatore Tiberio morì, il culto della Dea fu di nuovo legalizzato e sull’altare si poteva scolpire il vero nome della Dea.

CALPURNIA E ANTIGONE

Leggendo l’articolo con la storia di Calpurnia, mi è apparso evidente un fatto straordinario: la sua somiglianza con la protagonista della famosa tragedia di Sofocle. Sia Antigone che Calpurnia si confrontano con il potere politico e le leggi dello stato: Antigone con il potere e gli ordini di Creonte, Calpurnia con quelle dell’imperatore Tiberio. Tutte due hanno subito le conseguenze delle condanne pronunciate contro i loro familiari: ad Antigone fu proibito di seppellire il corpo di suo fratello ucciso in guerra, mentre Calpurnia fu costretta a fuggire da Roma e nascondersi in un luogo lontano e sperduto come Cissa anche a causa delle accuse contro suo padre e suo zio. Ciò nonostante, queste donne tenaci non rinunciarono ai loro principi etici e religiosi, e soprattutto alle loro libere scelte, e così facendo difesero le leggi divine contro le leggi umane. Antigone seppellisce suo fratello e viene condannata da Creonte, Calpurnia fa erigere gli altari con i nomi dei suoi familiari sfidando la possibile “damnatio memoriae” dell’imperatore e anche dedicando i suoi altari alla Dea che lo stesso imperatore ha cercato di sradicare dal suolo romano. Ma, in accordo con il panegirico alla Dea che abbiamo riportato all’inizio, Iside, che “trionfa facilmente sui despoti” pare che abbia aiutato Calpurnia di ripristinare il suo culto, almeno nella sua villa a Caska. Ciò è testimoniato, come abbiamo visto, dalla dedica alla Dea, non più criptica ma chiara ed evidente, che Calpurnia fece scolpire sul quarto altare sacrificale.
Esiste anche una differenza importante tra Antigone e Calpurnia. Antigone, “nata per condividere non l'odio, ma l'amore”, non riesce ad accettare le regole di un mondo fatto dagli uomini e si suicida. Calpurnia, memore del tragico destino di suo padre e suo zio, decide di salvarsi e sfuggire ai pericoli, ma non rinuncia ai suoi principi etici e religiosi, onora la memoria dei suoi familiari perseguitati dal potere e dalle leggi e non ripudia la sua religione. Forse la forza di resistere a Calpurnia viene data proprio dalla Dea Iside, dalla convinzione che la Dea riesce ad offrire “ai miseri in travaglio il dolce affetto che può avere una madre.” Quell’aiuto, insomma, che mancava ad Antigone, “abbandonata dagli uomini e dai Dei”. La storia di Calpurnia poteva finire in una tragedia, ma il destino, e la Dea, hanno deciso diversamente.

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