30/05/2024
LE NOTIZIE RELATIVE A FRANCESCO BOSCAINO E MATTEO GULESICH, RIPORTATE NELLA “GRANDE CRONACA DI CAMPORA” DI FRA ODORICO BADURINA
Oggi parleremo di un libro importantissimo, direi fondamentale per tutti quelli che vogliono approfondire le loro conoscenze sulla storia di Novaglia e sull’Isola di Pago. Il libro si intitola “La Grande Cronaca di Campora” (Velika Kamporska Kronika) ed è conservato come manoscritto nel monastero francescano di Campora (Kampor), sull’isola di Arbe (Rab). Il suo autore è fra Odorik Badurina.
Fra Odorico (Odorik) Badurina, cronista, bibliotecario e archivista, nacque il 31 luglio 1896, a Stanišće, sull'isola di Pago (Pag). Ha frequentato i licei francescani inferiori a Badia (Badija) e Cassione (Košljun), e quelli superiori a Zara (Zadar). Compì gli studi teologici a Ragusa (Dubrovnik). Entrò nell'ordine francescano nel 1914. Visse nei monasteri di Badia (Badija) dove insegnò italiano nell'istituto francescano, poi a Cassione (Košljun) sull'isola di Veglia (Krk), a Paese (Kraj) sull'isola di Pašman, a Campora (Kampor) sull'Arbe e infine a Ragusa (Dubrovnik). In ogni monastero dove soggiornò organizzò un archivio e una biblioteca, e gli fu affidato anche il compito di scrivere la cronaca del rispettivo monastero.
Oltre a copiare i documenti, padre Odorico ha aggiunto ai documenti anche le sue note marginali, i suoi giudizi, i suoi pensieri e le sue osservazioni, che lo rappresentano come una persona educata, sincera e spontanea. Utilizzava spesso anche le testimonianze di testimoni credibili contemporanei che hanno vissuto determinati eventi oppure conoscevano le persone coinvolte. Le opere più importanti di frate Odorico sono la “Cronaca del monastero di Badia”, la “Cronaca di Cassione”, la “Cronaca di Kraj sull'isola di Pašman”, la “Cronaca di Loni e Novaglia” (di cui parla questo post), e la “Cronaca di Ragusa”.
Fra Odorico arrivò sull'isola di Arbe, nel monastero di San Bernardino di Sienna a Campora, nel 1936, e durante il suo soggiorno ventennale sull'isola di Arbe scrisse diverse cronache del monastero francescano, e nel 1941 iniziò ad inserire i dati raccolti nella “Grande Cronaca di Campora”. Si tratta di un'opera storiografica articolata in sette libri alla quale furono aggiunti tre libri dell'Indice. Secondo la testimonianza dello stesso cronista, il materiale utilizzato durante la compilazione della Cronaca comprende almeno 315.000 pagine di fonti in latino, italiano e croato. La particolarità di quest'opera è che contiene descrizioni di fonti provenienti da diversi archivi, alcuni dei quali sono andati distrutti o persi nel tempo. La “Grande Cronaca di Campora” così è entrata perfino nell’immaginario culturale collettivo delle comunità locali di Arbe e Pago.
Immagine 1: Una pagina dalla “Grande Cronaca di Campora” di Fra Odorico Badurina
Il Comune di Novaglia, nell’anno 2023, sponsorizzò la pubblicazione del libro “Dokumentirana povijest Luna i Novalje – Knjiga 1” (La storia documentata di Loni e Novaglia – Vol 1.) che su più di 600 pagine di testo riporta tutte le notizie storiche prese dalla “Grande Cronaca di Campora” che riguardano l’Isola di di Pago, soprattutto le comunità di Loni e Novaglia.
Immagine 2: “La storia documentata di Loni e Novaglia – Vol 1
Il libro comprende tantissime notizie molto interessanti che riguardano la storia di Novaglia e della parte settentrionale dell’isola di Pago. Tra tutte queste notizie, soprattutto quelle di cronaca, il nostro particolare interesse si è rivolto a quelle che menzionano due personaggi- Francesco Boscaino e Matteo Gulesich (e le loro famiglie) che abbiamo visto come protagonisti di due post di Terre di Novaglia (del 21.01. 2021. e 2.03.2021). Sono i post che parlavano del processo (dell’anno 1557) in quale questi due furono accusati, come abbiamo visto, di “practicar et tener amicitia cm Uschochi havendo cm essi intelligentia et famigliar conversatione”. Boscaino fu accusato da quasi tutti i testimoni d’accusa che nel mese di maggio 1557 “andette cm un’suo nepote ( Gulesich, N.B.) a ritrovar una barcha di Uschochi chi erano al numero di vintiquatro” e che, in questa occasione, “tra loro tutti insieme Uschochi et Boschaino fu de novo confirmata et fatta nova improba confederatione, amicitia et pace”. Quindi, per celebrare i loro patto Boscaino “in caxa sua fece carigar un’udro di bono et elletto vino et un’sacho di pane et altre vitualie sopra un somaro et le mandete a donar a ditti Uschochi”. Questo post si concludeva con le seguenti parole: “Non possiamo sapere quale fosse la sentenza finale, e quindi se Francesco Boscaino e suo nipote Matteo Gulesich fossero stati condannati o no, né quale fu il loro destino dopo il processo.” Ora, la “Cronaca di Campora” ci offre qualche breve indizio sul destino dei protagonisti e dei loro familiari. Cerchiamo di esaminarli in dettaglio.
La prima notizia, relativa al padre di Matteo Gulesich, porta la data di 9 marzo 1544 e ci dice che ad Arbe, Martin Buschainich detto Gules di Novalja e Ilija Hiliasich, rappresentanti di Novaglia, scelgono un avvocato presso il tribunale del Conte di Arbe per la controversia che hanno avuto con Don Colano Trisal. Perche riteniamo che il detto Martin Buschainich (la translitterazione del Boscaino in croato) sia il padre di Matteo? Il cognome Gulesich rappresenta il patronimico di Gules, e inoltre sappiamo che Matteo fu nipote di Francesco Boscaino, quindi un “Buschainich”.
C’è un’altra notizia, molto importante, datata 21.1. 1545. Cito testualmente dal libro di Odorico Badurina: “Ad Arbe, nella Cattedrale, Ser (signor) Francesco Buschain, un vecchio, fa testamento. Determina: se muore ad Arbe, che sia sepolto presso i francescani di S. Bernardino a Campora e lo seppelliranno vestito del loro saio (allora lo facevano in molti, pieni di devozione a San Francesco). Gli diranno Messe Gregoriane. Se muore a Novaglia, che sia sepolto nella chiesa di S. Maria davanti all'altare maggiore, e che depongano sulla sua tomba una lastra di pietra "con la sua insegna". Se muore a Pago, che sia sepolto nella chiesa di S. Francesco in abito francescano. Lascia la sua proprietà "in campo Novalia, chiamato Didina" alla moglie Magdalena. Si vede che era un nobile e viveva a Pago, Arbe e Novaglia.” Il testamento e quindi fatto nel 1545, cioè 12 anni prima del suo processo (1557), e già in quell’ occasione Boscaino viene definito come “un vecchio”. Ciò significa che nei tempi del processo fu in un’età notevolmente avanzata e sicuramente non un sessantenne, come abbiamo ipotizzato nel post che parla del suo processo.
Francesco viene ancora nominato in un’altra notizia, questa volta del 20.12.1549: "In Villa Novalea, ante loggiam" (nel villaggio di Novaglia, davanti alla loggia), di fronte ai testimoni... Il nobile di Pago Antonio Palcich vendette a F. Boscaino "unum jugerum cm dimidio, vulgo gognale terrae" (uno iugero e mezzo o, come si dice comunemente, un gognale di terra) "a Zaska" in una località chiamata Mala Carglienizza.” È da notare che questo atto di vendita precede di otto anni il suo processo. Per quanto riguarda lo stesso processo, nella “Cronaca di Campora” non esiste nemmeno un minimo cenno al processo a Boscaino e a Gulesich. NB. Un gognale (gonjaj in croato) indicava il terreno arabile in una giornata da una coppia di buoi attaccati allo stesso giogo (iugum).
E per quanto riguarda il nipote di Francesco, Matteo Gulesich, nella Cronaca ci sono pervenute un paio di notizie in base alle quali si potrebbe intuire il suo destino dopo il processo. La prima notizia è del 9.4.1559. (quindi due anni dopo il processo), dove Matteo, insieme con otto altre persone, tutti di Novaglia, nominano “un procuratore” che dovrebbe a Venezia riscuotere un debito da un certo Andrea Schanayatta per la merce che gli hanno consegnato. Notizia per sé risulta significativa nel senso che, nel 1559, Matteo era in libertà già da un bel po’ di mesi, visto che commerciava liberamente con le persone anche lontano da Novaglia. Quindi, la condanna per lui, premesso che fu decisa ed effettuata, non fu molto pesante.
La seconda notizia riguarda il suo testamento ed è del 7.10.1580 "In villa Novagia". Dichiara il notaio Fabiani: “Mentre ero a Novaglia, è venuta da me la moglie del defunto Matteo Boscaino e ha portato il testamento del suo defunto marito. È scritto in croato ("in sclavo"). Il notaio lo tradusse "in volgar italiano" e ne diede una copia alla donna.... Il defunto Matteo nomina suo cugino Giacomo Mersich come esecutore testamentario. Lasciò a Giacomo "saline 10, quali son in Prosicha.” Lascia anche la casa del bisnonno ("bisaro") Ratco Bratcovich. Gli lascia anche la proprietà “apresso Scopagl”. Inoltre, lascia i possedimenti "In Slatina et Cascha" al suo erede Francesco. Ai Frati di S. Antonio lascia a Pago "4 saline che si trovano nel recinto di Bratcovizza”, ma ogni anno devono cantare la messa per il suo defunto padre. Alle monache di St. Giustina lascia il suo magazzino, che è "sotto il fontigo di nobili", ad Arbe. Il suo bosco deve essere venduto ad Arbe. (NB Si vede che da Arbe si è trasferito a Novaglia). Lascia al fratello alcuni giardini e mura a Novaglia, "eccetto quello che è presso il castello".
La data del testamento ci indica che Matteo morì non molto tempo prima di questo giorno, e quindi visse ancora circa 23 anni dopo il suo processo. In questo periodo accumulò un patrimonio notevole, tra l’altro anche quattordici saline. (Una salina, “cavedina”, a Pago fruttava al proprietario intorno a 60 staia di sale annualmente in quell’epoca). Il fatto che qui il suo cognome viene citato come Boscaino invece di Gulesich non deve sorprendere: come abbiamo già detto, Gulesich rappresenta il patronimico di Gules, il sopranome di suo padre. Il cognome Boscaino, invece, si riferiva alla sua famiglia, e quindi lo condivideva con suo zio.
Un altro personaggio che abbiamo incontrato già negli atti del processo a Boscaino fu Marinco Marianich, visconte di Novaglia. Malgrado il suo titolo altisonante, Marinco non fu un nobile: i visconti (o viceconti) di Novaglia erano i funzionari che nominava il comune di Arbe per gestire Novaglia e il suo territorio. Infatti, ancora prima di diventare il visconte, Marianich fu il “bravaro” (il capo dei pastori) al pascolo chiamato Ospedal di Novaglia. Grazie alle notizie riportate dalla “Cronaca di Campora”, possiamo ricostruire certi eventi della sua vita. Marinco già faceva il ruolo di pastore all’Ospedal quando, nel 1555, comprò una piccola nave di tipo brazzera da Simone de Marinellis, nobile di Arbe. Con questa nave pure guadagnò parecchi soldi trasportando le merci e le persone sulle rotte dell’Adriatico. Questo si potrebbe intuire dalla notizia della causa che gli fecero, nel 1562, cinque persone di Novaglia, tutte donne (e tra di loro una certa Nicoletta Boscaino, probabile parente di Francesco e Matteo Boscaino), ma non si conoscono i motivi precisi di questa causa tranne che Marianich avrebbe dovuto portare queste signore alla fiera che si teneva a Fiume. Quello che è certo: alla fine, le parti in causa si misero d’accordo.
Marinco svolgeva già la funzione di visconte di Novaglia nei tempi del processo a Francesco e Matteo Boscaino, nel 1557, e nel frattempo continuava a fare “bravaro”, tenendo conto che, secondo la Cronaca, smise di fare pastore solo nel 1562. I soldi, malgrado quei tempi furono pieni di guerre e di carestie, ne ha visti tanti, grazie soprattutto alla sua funzione di visconte. Così riuscì anche ad avere molte amicizie e si creò notevoli debiti, come, ad esempio, quando Giovanni de Dominis, comandante della galea di Arbe e veterano della battaglia di Lepanto, nel 1574, gli prestò 120 lire veneziane. Le varie attività nelle quali si impegnava non furono prive di certi rischi, così subì diversi processi. Uno viene segnalato nel 1576, quando "In cancellaria pretoria" (nell'ufficio del conte), Marianich scelse come procuratore Colane Segota per difenderlo in tribunale. Insomma, da tutte le notizie ne esce fuori il quadro di una persona sveglia ed intraprendente, ma soprattutto astuta. Non posso, a questo punto, saltare quell’episodio “epico”, descritto nel post dedicato al processo a Francesco Boscaino, quando Marianich si scontrò con gli uscocchi vicino a Novaglia. Impressiona la sua capacità di cavarsela anche nelle situazioni più pericolose, come accade in questo scontro con 24 uscocchi:
“Marianich raccontò che lui, con il nipote di Boscaino, Matteo Gulesich, andò a vedere chi sono le persone arrivate con una barca nelle vicinanze di Novaglia. Videro uscire da una grotta “homini cm capelletti rossi et schiomati in forma… et come li vedesemo ditto Mathio se ne andete per fiancho… et io che ero piu in avanti fuy atorndezato da ditti uschochi et mi fu schargato contra un’archibugi di volta. Et io contra loro scarghetti el mio schiopo, et subito mi furno tutti intorno, et non pote fugire. Et uno contra di me disse ‘bodulo (il nome di scherno per gli isolani) te basta l’animo trazer cm schiopo verso de noy?’Et io vedendomi a male li dissi ‘mi credevo che foste li Turchi che l’altro giorno vi tolseno una barcha’. Et se altramente li havessi ditto mi havriano amazato.”
Marianich viene nominato nella Cronaca per l’ultima volta in data 18.8.1577. e la notizia dice testualmente "...a Novaglia, vicino alla casa del defunto Marianco Marianich". Quindi, in questa data risulta ormai scomparso questo insolito personaggio, che sicuramente fu ricordato a lungo tra gli abitanti di Novaglia della sua epoca.
E, a proposito degli uscocchi, leggendo le notizie che riporta la Cronaca ci si accorge che il processo a Francesco Boschaino non fu l’unica volta quando qualcuno degli abitanti di Novaglia dovette subire accuse dei rapporti con gli uscocchi. Riporto testualmente:
“Addi 22.7. 1581., Matteo Domulich, l'ex capo dei pastori a Mandra Grande vicino a Novaglia, fu citato in giudizio davanti al Conte di Rab per aver accettato nella sua casa diversi uscocchi di Segna (Senj) contro il divieto del doge veneziano e dei proclami pubblici. Un testimone dice: “Gli uscocchi sono arrivati sabato mattina durante una grande sciroccata, in una brazzera sotto la Mandra Grande. Quattro degli uscocchi rimasero in brazzera, gli altri vennero alla casa di Domulich. Tirarono fuori la nave fino alla spiaggia e la coprirono con i rovi, in modo che se ci fosse passata una galea veneziana, la nave non sarebbe stata avvistata. Dalla nave scaricarono tutte le armi, le corde... Misero tutto sotto un albero dove lasciarono la guardia. Poi presero due capre dal nostro gregge e le cucinarono. Nella casa di Domulich si prepararono la focaccia. Rimasero lì il giorno successivo fino alla sera. Mi mandarono a Novaglia per comperare loro un secchio di vino. Mi segui un uscocco. Lui rimase fuori dal paese per aspettarmi.”
Il giudice ha chiesto a Domulich: "Non sai che è severamente vietato trattare con gli uscocchi?"
Domulich si scusò, dicendo che avesse mandato immediatamente un pastore a riferire ad Arbe quando la tempesta si fosse calmata... che gli uscocchi erano venuti da noi più volte durante l'anno e avevano preso i nostri animali, formaggio e latte e che lo costrinsero a dar loro da mangiare e bere. E aggiunse: “Ecco perché adesso dormo in una prigione, dove ho quasi perso la mia vista. Ammetto che gli uscocchi sono venuti da me, 13 di loro, ma mi hanno preso con forza due capi di bestiame e del grano e miglio. Mi hanno costretto a mangiare con loro e hanno minacciato di uccidermi se non avessi fatto "a modo loro". Io, con i miei 3-4 pastori, non potevo affrontare i "tredici malfattori tutti armati".
Domulich è stato condannato a 1 mese di prigione.”
Volevo alla fine riportare qui un'altra notizia della Cronaca, relativa al verbale concordato da un mio antenato con il proprietario terriero di Arbe, Vincenzo de Dominis. Vincenzo fu fratello dell’arcidiacono Girolamo de Dominis, e loro due, nel 1703, acquistarono Novaglia con il suo territorio per 4000 ducati, insieme con i pascoli di Punta Loni e tutti i relativi diritti. Dell’arcidiacono de Dominis ho già scritto nel post di Terre di Novaglia del 12.12. 2020, adesso volevo presentarvi la suddetta notizia:
“Addi 18.06. 1724. ad Arbe i giudici di Novaglia Martino da Nona (Denona) e Antonio Malicich, rappresentanti del villaggio di Novaglia, depositano il verbale davanti al notaio insieme al dottor Vincenzo de Dominis. Dichiarano:
1. Quando un residente di Novaglia ha bisogno di costruire o ampliare una casa a Novaglia secondo le leggi ivi vigenti, non sarà obbligato a pagare le decime al proprietario del terreno (cioè, ai Dominis);
2. Il bosco a Gaj dovrebbe essere custodito dai residenti di Novaglia e dal patrono, perché il bosco viene utilizzato per gli animali.
3. Poiché c'è una causa contro gli eredi del defunto Antonio Maria Surian riguardante Krnelje (frazione di Novaglia Vecchia), ora si sta risolvendo la questione con un accordo.”
Spesso i rapporti del passato, tra i proprietari e gli affittuari dei terreni, vengono presentati come conflittuali e più delle volte sbilanciati a danno dei mezzadri. Da questo documento risulta che non fu sempre così: il proprietario non può riscuotere le tasse se la legge non lo prevede. Per intenderci: qui non si tratta delle leggi vigenti sul tutto il territorio della Serenissima settecentesca, ma della legge locale tradizionale, forse addirittura risalente ai tempi della comunità libera medievale di Kessa (ecco da dove viene la frase “leggi ivi vigenti”). Questa legge esclude che il proprietario abbia diritto alle decime nel caso di costruzione o ristrutturazione delle case dei contadini nel villaggio di suo possedimento, e il proprietario non poteva fare niente contro questa legge, anche se forse la considerava obsoleta e contraria alle altre leggi. Anche il secondo paragrafo va in questa direzione: i proprietari e gli affittuari dei terreni devono insieme impegnarsi per il bene comune, cioè per il mantenimento dei boschi comunali, minacciati dall’uso dei boschi come terreni di pascolo. Questa imparzialità (almeno formale) da parte della legge è continuata fino alla metà dell’Ottocento, quando il cambiamento delle condizioni di vita e il desiderio da parte degli affittuari di liberarsi dalle imposizioni sfavorevoli di colonato ha gradualmente alterato l’ordine sociale ed ha preannunciato l’arrivo del Novecento con il suo fardello di guerre e di rivoluzioni.
Immagine 3: Il Monastero di Campora, sull’isola di Arbe