27/10/2024
NON È UNA CHIACCHIERATA! LO PSICOLOGO COMPLESSATO.
Doc, buongiorno, volevo un appuntamento per fare una chiacchierata, mi da un appuntamento?
Non è raro sentirsi chiedere un appuntamento in questo modo o, come direbbe Dante in persona, in tal guisa. E, sempre Dante, descriverebbe i volti dei giovani psicologi, ma anche quelli dei meno giovani, come i volti di un San Sebastiano trafitto da cento frecce, o di Giordano Bruno sul rogo che, morente, guarda gli astanti come a dire…: “Beati voi che non capite un caz…!”
Si oggi vi parlo del complesso dello Psicologo verso gli Psicoterapeuti e degli Psicoterapeuti verso i medici Psichiatri, insomma dei complessi che la nostra categoria ha verso il mondo intero.
Si, perché, in fondo, c’è una profonda verità nel fatto che quello che diciamo noi psicologi lo può dire anche il mio barbiere a soli 20 o 25 euro e in più ti taglia pure i capelli.
Allora quando ci viene chiesto di fare una chiacchierata, noi, i paladini dell’anima, coloro che hanno sfiorato le alte vette della coscienza e dello spirito, coloro che hanno visitato gli inferi, lì dove solo Ercole, Ade o Mercurio hanno avuto il piglio di andare, noi, gli Psicologi, sentiamo svilite le nostre vite a meri allevatori di galline.
E già, le chiacchiere rimandano allo scoppiettìo e allo schiamazzo delle galline che chiocchiano, e questo strepitìo ha poco a che fare con le alte vette delle onorevoli professioni sanitarie.
Eppure? (Sapevate che ci sarebbe stato un eppure vero?) Eppure le chiacchiere etimologicamente rimandano anche al lamento, probabilmente proprio quello delle galline che fanno l’Uovo e lo covano. Niente di più insomma di ciò che avviene in terapia.
Nella stanza d’analisi, infatti, è il lamento che giunge per primo, è la chiacchiera che chiocca perché è ora di fare l’Uovo, e soprattutto è giunto il momento di dedicarsi alla cova affinché il pulcino cresca, e lo faccia fino al punto di avere la forza per rompere il guscio. Allora la chiacchiera è il lamento di chi ancora non ha questa forza? Di chi non riesce a rompere il guscio?
Tutto qui, insomma, ma la confessione non è questa, la confessione oggi ha a che fare col fatto che io stesso, nel tempo in cui ero un paziente sofferente, un tempo che ancora oggi si fa presente non di rado, telefonai al terapeuta con la speranza che quella cova faticosa si rivelasse solo una chiacchiera.
Si, lo confesso, dissi qualcosa del tipo "sento il bisogno di fare due chiacchiere", e lo dissi perché l’aura che ammantava la figura dello Psicologo era per me un grande e pericoloso impedimento, poiché strizzava l’occhio ad una grandiosità a cui dovevo rinunciare.
La mia analisi mi ha riportato a sentirmi terra e cenere, semplice porzione materica di un cosmo in decomposizione. La mia analisi mi ha liberato da quelle grandiosità che continuano ad ammantare la figura dello psicologo e di cui, vi confesso anche questo, ancora mi nutro facendo il terapeuta.
Di cui mi nutro anche scrivendo qui ora, queste righe di condanna di me che, terza confessione di oggi, alla fine sono solo un elogio mascherato di me stesso professionista.
Insomma siamo pieni di complessi, e questo ci spinge a dire che siamo indispensabili. E lo diciamo specialmente a inizio terapia, quando il nostro studio è vuoto e la nostra voce diventa un eco che rimbalza sulle pareti assordandoci.
Cavolo! Ma quale chiacchierata! La terapia è una cosa seria!
Si ok, lo so, è così. Ma voi sapete perché ho detto e in molti dicono chiacchierata? Volete la quarta confessione di oggi? Ecco! Semplicemente me la facevo sotto!
Ero terrorizzato, tremavo e fantasticavo di capitolare tra identità sessuali estranee o istinti omicidi o altro da film thriller psicologico dove io ero l’assassino. La mia mente in 25 anni di vita, questa la vita vissuta prima di iniziare una terapia, aveva vagato attraversando tutte le peggiori identità in catalogo.
Quindi, cari colleghi, lo dico spesso in supervisione, il vostro ego non è nel menù. Se un paziente chiama chiedendo una chiacchierata, non solo sta etimologicamente riassumendo la terapia, ma soprattutto sta dicendo che ha paura e non che voi non valete il loro barbiere.
E se voi, oggi, vestiti di tuniche a forma di camici, quelle sole con cui si può entrare nei templi delle professioni sanitarie, vi sentite sminuiti da Psichiatri, medici o barbieri sappiate che loro, non vi cagano, sappiate che quel diminuirvi è azione che compiete da soli e, questa è la cosa buffa, è l’azione più auto-terapeutica che ci sia. sminuirsi.
Quelle tuniche, in vero, ci chiamano ad una enorme responsabilità, ossia di prenderci cura dei pazienti. Ci chiamano a smetterla noi di chiacchierare e lamentarci, proprio allo stesso modo con cui un cardiologo con un extrasistole non chiede sostegno dal suo paziente che si sottopone a una cardioversione.
Quindi, che siate pazienti o terapeuti, non indignatevi se qualcuno vi chiede di fare due chiacchiere, c’è un mondo dietro, quello che potete svelare se siete a tavola con un amico chiacchierando a vostra volta, un mondo che terrete in disparte se state lavorando.
Insomma, quando un terapeuta dimentica di essere nato paziente finisce per perdere la pazienza e chiacchierare per sfuggire dalle chiacchiere. E non accogliendo le paure e i complessi dei pazienti, riesce a coltivare i suoi.
Buona terapia e buona chiacchierata
Luca Urbano Blasetti ai