26/05/2024
Quando Robert De Niro, Sergio Leone e Gabriel García Márquez si imbucarono alla cena di Gianni Minà e Muhammad Ali.
Robert De Niro, a Roma per girare C’era una volta in America, una sera chiamò Minà che conosceva da tempo e al quale aveva rilasciato ampie interviste.
«Che fai stasera?».
«Esco con Muhammad Ali».
«Ali? Allora vengo anch’io».
Poco dopo squillò nuovamente il telefono.
«Ma come? Io devo parlare con Bob di lavoro e lui dice che deve andare a cena con te e Ali. E a me nun me ce porti?».
Era Sergio Leone.
La tavola si allargò a quattro teste.
Ma il telefono di Minà doveva suonare ancora una volta.
«Gianni, tu dirai che io sono un hijo de p**a se ti chiamo solo oggi, ma sono alla mia ultima sera qui a Roma e dovevo vedermi con De Niro e Leone, ma sembra che siano occupati con Muhammad Ali. Sai chi lo porta?».
L'interlocutore era Gabriele García Márquez.
Minà sorrise: «Sì Gabo, io».
E così tavolo per cinque.
Fu Sergio Leone a proporre di prenderlo da “Checco er carrettiere”, la trattoria dove si era sempre sentito a casa. Checco e Leone – insieme a Ennio Morricone – si erano conosciuti alle elementari e avevano condiviso la loro infanzia trasteverina.
Gianni Minà, in quella vigilia dei Mondiali del 1982, era riuscito ad allestire una tavolata storica in un anno destinato a essere ricordato come cruciale per tutti i convitati. Leone stava per girare il suo ultimo film, insieme a De Niro, fresco di Oscar proprio per il più bel film sul pugilato: Toro scatenato. Márquez pochi mesi dopo avrebbe ricevuto il Nobel per la letteratura. Ma a rapire l'attenzione e gli sguardi di tutti, quella sera, fu l’uomo che da cinque mesi aveva appeso i guantoni e la gloria al chiodo: Mohammed Ali.
Finita la cena, Checco li mise in riga davanti a un muro del locale e scattò una foto che è diventa un pezzo di storia della cultura contemporanea.
Oggi Gianni Minà, gigante del giornalismo e uno dei pochi intellettuali degni di questo nome, avrebbe compiuto gli anni.