25/05/2020
Ad oggi, sono due settimane esatte che siamo tornati operativi in studio.
La sera prima di lunedì 11 Maggio ero emozionata. Perché io, in questa quarantena, mi sono sentita impotente. Mi spiego. Domandavate un aiuto e la sensazione era quella di ''avere le mani legate''.
Perché l'osteopatia si fa con le mani. Sono l'unico strumento di cui siamo dotati e che ci rende tali, una componente afferenziale importante. Affinate negli anni, addestrate a sentire, a lavorare non sui tessuti, ma coi tessuti. Comunicando con loro. L'accordo palpatorio, silenzioso, non un semplice toccare. Per partecipare alla promozione della salute, senza avere la pretesa di guarire nulla, ma creandone le condizioni.
Adesso il respiro è faticoso certo, i guanti danno fastidio e sono ''strani'' indossati per tutta la durata della seduta. Manca il contatto diretto con la pelle, ma sono fortunata perché con la mia professione rompo le distanze e torno ad usare quelle mani che fin da quando si è bambini si usano per scoprire il mondo. Se ci pensate, per alcune persone le mani sono un vero e proprio linguaggio.
Si sa, gli osteopati sono un po' eccentrici. Sono fissati con l'embriologia. Questa serve per comprendere il significato dell'ontogenesi umana, i movimenti di crescita e i diversi rapporti strutturali, fisiologici, funzionali e non, che stanno alla base dello sviluppo. Lo strato più superficiale della cute deriva dall'ectoderma, cioè la parte di quell'insieme di strutture che mantengono i contatti col mondo esterno, lo stesso da cui deriva anche il sistema nervoso.
La pelle, che è tra gli organi più estesi del corpo, e pure quello più esposto, è soggetta ad un continuo scambio di informazioni, in comunicazione con tutti i sistemi corporei, emozioni comprese. Che finiscono nei tessuti, là dove siamo attirati, dal nostro tocco gentile.