29/06/2025
“E’ possibile lavorare sulla psicosi con questo modello? O gli stati psicotici della mente?”. Grazie a C. per aver sollevato questo tema durante il nostro incontro di sabato.
Questa domanda non riguarda solo l’ISTDP ma ogni tipo di psicoterapia. Se esistesse un modello/panacea per ogni malattia non ci sarebbe più psicopatologia. La realtà ci mostra che le cose non stanno così.
E' possibile affinare il nostro pensiero clinico e questo ci permetterà di avere maggiore chiarezza su come rispondere efficacemente a ciò che vediamo. Se capiamo quello che succede poi possiamo pensare a come intervenire.
È utile differenziare tra psicosi e stati psicotici. Per psicosi intendiamo una serie di sintomi positivi o negativi (allucinazioni, deliri, etc..) e una compromissione permanente dell’esame della realtà. In questa condizione una psicoterapia non può funzionare perché il paziente non è in relazione alla realtà e quindi neanche al terapeuta è in relazione alle distorsioni causate delle proprie difese regressive . Generalmente la sola psicoterapia in questa condizione aumenta i sintomi e le difese regressive quali la scissione e la proiezione. Qui è indispensabile, e talvolta non sufficiente, che ci sia un trattamento farmacologico che permetta di ristabilire almeno transitoriamente qualche legame con la realtà.
Per stati psicotici invece ci riferiamo a stati transitori della mente dovuti a diversi fattori. Escludiamo, per semplificare, i fattori dovuti all’uso di sostanze o conseguenti a condizioni organiche (demenza, tumori, etc..) per circoscrivere la riflessione agli aspetti emotivi e conflittuali.
L’espressione nuclei psicotici invece si riferisce più specificamente a stati profondi disorganizzati che non sono direttamente visibili, che restano latenti e possono emergere durante il lavoro clinico in pazienti apparentemente più solidi.
Da una reale situazione clinica di un paziente tossicodipendente (non in uso attivo della sostanza) con un’organizzazione borderline che ha capacità di essere in contatto con la realtà ma questo contatto è debole e va aiutato nella costruzione di capacità dell'Io:
P: “Non posso prendere psicofarmaci perché se prendo farmaci muoio, una volta che ho preso degli psicofarmaci mi sono dato fuoco” [Il paziente non ha consapevolezza della causalità psichica e attribuisce ai farmaci la causa di un comportamento autolesivo]
T: “Hai verificato attraverso delle analisi specifiche?” [Invito a fare un esame di realtà]
P: “No, è così, l’ho vissuto, non serve” [La scissione e il diniego sono presenti]
T: “Hai l’idea di avere un allergia a farmaci che di cui hai bisogno e non seve verificare se hai un allergia” [Mostro l’aspetto che diniega]
P: “ Ehm (confuso), detto così suona strano ma no non mi serve” [Qualcosa si muove rispetto al suo diniego, la sua ansia aumenta nel sistema cognitivo percettivo creando uno stato di confusione e subito dopo riutilizza il meccanismo regressivo del diniego]
T: “ Qualcosa a proposito del verificare se puoi dare a te stesso le medicine di cui hai bisogno ti ha reso confuso, questo è un segnale d’ansia. Sei consapevole di sentirti in ansia in questo momento? Come senti il tuo pensiero ora?” [Mostro la causalità psichica e lo aiuto a regolare l’ansia prima che inizi nuovamente a scindere e denegare].
Durante questo colloquio il paziente arriverà a spiegare che non erano stati i farmaci a dargli la sensazione di malessere insopportabile ma una voce che gli ha detto “Devi darti fuoco”. In questo caso quando il paziente prova a fare qualcosa di autoprotettivo, di buono per se stesso, un potente meccanismo autopunitivo interviene sotto forma di voce.
Questo è un esempio di un paziente con esperienze traumatiche che ha una struttura Borderline con sintomi psicotici. Aiutato durante la seduta riesce a recuperare l’esame di realtà. Oggi questo paziente prende i farmaci e sta molto meglio e non ha più avuto episodi allucinatori o voci o episodi autolesivi.
Ma se alla stessa osservazione “Hai verificato…” avesse risposto
P: “Voi volete controllarmi la mente, sapevo che mi avrebbe fatto questa domanda perché volete che io mi dia fuoco”. [L’invito all’esame di realtà ha aggravato il diniego e attraverso la proiezione ha posto questo meccanismo persecutorio sul terapeuta]. In questo caso avremo elementi diagnostici che ci spostano verso la gravità dell’organizzazione psichica che va valutata momento per momento. Generalmente in questi casi è possibile lavorare con questi pazienti solo una stabilizzazione farmacologica o dopo un ricovero.
Diversa la situazione di un paziente Nevrotico che ha “nuclei psicotici o di fragilità”. Questi emergeranno mano a mano che l’esperienza emotiva diventa più intensa e più vera nella relazione terapeutica ed emergeranno specificamente rispetto ai propri vissuti traumatici dell’esperienza di attaccamento.
E’ importante in questi casi, come dice Jon Frederickson, “costruire una scala mentre la stiamo salendo”, ovvero costruire, step by step, la capacità di contenere internamente l’esperienza emotiva che altrimenti deve essere scissa, proiettata, denegata.