Dr Francesco Sansone

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14/11/2025
Ballando con la morteIl suicidio rappresenta uno dei temi più difficili da affrontare, non solo per la suadrammaticità, ...
12/11/2025

Ballando con la morte

Il suicidio rappresenta uno dei temi più difficili da affrontare, non solo per la sua
drammaticità, ma per la densità emotiva che evoca.
È un argomento spesso evitato, circondato da silenzi e paure, come se anche solo
pensarvi potesse risvegliarne la presenza. Riflettere sul suicidio significa addentrarsi
in un territorio in cui paura, angoscia e senso di colpa si intrecciano. È un tentativo di
esorcizzare esperienze passate o temute, ma anche di riconoscere i limiti del proprio
potere di comprensione e di aiuto.
Pensare il suicidio è, in un certo senso, farsi carico del ballare con la morte: accettare
la tensione tra il desiderio di vita e la consapevolezza della fine. Tuttavia, l’interesse
per la morte non nasce dal disprezzo della vita, bensì dal suo contrario: dal bisogno di
comprenderne il significato pieno, riconoscendo che la vita non può essere pensata
senza la morte.
La metafora del ballare con la morte descrive la dinamica oscillante con cui ci
rapportiamo alla finitudine. Come in una danza, ci avviciniamo e ci allontaniamo,
temiamo e accogliamo, resistiamo e ci abbandoniamo. Accettare questo movimento
significa riconoscere che vivere comporta un dialogo costante con la possibilità della
perdita. Come la risacca e l’alta marea si alternano sulla spiaggia, così nella vita
convivono momenti in cui la morte sembra distante e altri in cui ci sfiora la spalla. Il
compito non è “vincere il ballo”, ma impararne i passi: abitare la vulnerabilità senza
negarla. Chi si confronta con l’idea del suicidio non è necessariamente attratto dalla
morte, ma spesso è terrorizzato dal rischio di sprecare la vita. È colui che ha
percepito, anche solo per un istante, il vuoto sotto i piedi e ha deciso di continuare a
camminare. È chi intuisce che la morte dà contorno alla vita, come il silenzio dà
senso alla musica. Il termine Effetto Werther deriva dal romanzo di Goethe I dolori
del giovane Werther (1774), la cui pubblicazione fu seguita da un incremento dei
suicidi imitativi in Europa. La letteratura scientifica successiva ha confermato il
rischio di contagio suicidario: l’esposizione a rappresentazioni mediatiche del
suicidio può aumentare la probabilità di comportamenti suicidari nei soggetti
vulnerabili, soprattutto quando la vittima è percepita come simile, il gesto è narrato in
chiave romantica o vengono forniti dettagli sul metodo. A livello psicologico,
l’effetto Werther si associa a fenomeni di identificazione proiettiva con la vittima,
idealizzazione dell’eroe tragico, disregolazione emotiva, meccanismi dissociativi e
fantasie di rivalsa o riconoscimento postumo. La circolazione virale di contenuti
emotivi, la celebrazione di figure decedute sui social, le comunità online centrate sul
dolore e la replicabilità narrativa di immagini e citazioni contribuiscono oggi a
ridefinire l’effetto Werther in chiave digitale. In contrapposizione, il cosiddetto
Effetto Papageno descrive la riduzione dei comportamenti suicidari in seguito
all’esposizione a storie di superamento della crisi, accesso a risorse di supporto e
utilizzo di strategie di coping efficaci. Il nome deriva dal personaggio del Flauto
Magico di Mozart, che rinuncia al suicidio grazie all’intervento degli altri e alla
scoperta di alternative vitali. Parlare di suicidio significa attraversare un confine
simbolico che la cultura tende a evitare. Tuttavia, solo nominando l’ombra possiamo
restituirle forma e senso. Il suicidio non è un evento puramente individuale: riflette
una fragilità collettiva, le fratture sociali, culturali e relazionali della
contemporaneità. Dal punto di vista psicosociale, leader come Donald Trump,
Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu rappresentano figure che, attraverso politiche
aggressive, nazionaliste o belliciste, hanno contribuito a creare o mantenere climi di
tensione, insicurezza globale e disuguaglianze sociali. Le guerre, i conflitti e le crisi
economiche generano un clima di precarietà che alimenta ansia, paura del futuro e
senso di impotenza. La costante esposizione mediatica a immagini di violenza e
ingiustizia può produrre effetti traumatici indiretti (trauma vicario). Le sanzioni
economiche, i blocchi e le guerre commerciali possono aumentare povertà e
disuguaglianze, spingendo milioni di persone verso la marginalità o la fame. In
contesti di forte oppressione, perdita di speranza e deprivazione affettiva e materiale,
il rischio di suicidio o tentato suicidio può aumentare. Le politiche autoritarie e
violente possono distruggere il senso di coesione comunitaria, uno dei principali
fattori protettivi contro il suicidio. Non si può affermare in senso giuridico o clinico
che questi leader causino i suicidi, ma è legittimo riflettere sul ruolo sistemico e
strutturale delle loro azioni nel creare contesti di disagio psichico collettivo. In
definitiva, tali dinamiche geopolitiche contribuiscono a un abbassamento della qualità
della vita, all’aumento della precarietà e al diffondersi di sentimenti di disperazione.
Come ricordava Pier Paolo Pasolini:“Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché
l’umanità sarà divisa in padroni e servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione
di tutto il male del nostro tempo è qui.”

Gaslighting e Love Bombing: dinamiche manipolative della mente edel cuoreIl gaslighting è una sottile e potente forma di...
30/10/2025

Gaslighting e Love Bombing: dinamiche manipolative della mente e
del cuore

Il gaslighting è una sottile e potente forma di manipolazione psicologica
attraverso la quale una persona, l’abusatore, induce la vittima a dubitare della
propria percezione della realtà, dei propri ricordi e persino della propria sanità
mentale. Il termine trae origine dal film Gaslight (1944), in cui un marito
manipola la moglie fino a farle credere di essere f***e.
Questa strategia si fonda sulla distorsione sistematica dei fatti: l’abusatore nega
ciò che è accaduto, minimizza le emozioni altrui e invalida le esperienze della
vittima, che finisce col perdere fiducia nel proprio giudizio e nella propria
capacità di discernimento.
Accanto al gaslighting, un’altra tattica manipolativa ricorrente è il love
bombing (letteralmente, “bombardamento d’amore”). Si tratta di un’espressione
ingannevolmente romantica di un meccanismo di controllo: un’esplosione di
attenzioni, affetto e gesti grandiosi che mira a conquistare rapidamente la
fiducia e la dedizione della persona bersaglio.
All’inizio, il love bomber sommerge la vittima con messaggi, regali,
complimenti e dichiarazioni d’amore premature, frasi come “Sei l’anima
gemella che ho sempre cercato”, creando l’illusione di un legame unico e
predestinato. Tuttavia, dietro questa intensità apparente non vi è amore
autentico, ma la volontà di stabilire potere e dipendenza emotiva.
Una volta ottenuta la fiducia e l’attaccamento della vittima, il manipolatore
avvia una graduale fase di ritiro: l’affetto diminuisce, i contatti si fanno
intermittenti, e la vittima, disorientata e nostalgica dell’intensità iniziale,
comincia a dubitare di se stessa e a cercare disperatamente di “riconquistare”
ciò che in realtà non è mai stato reale.
Spesso, a questo punto, il love bombing si intreccia con il gaslighting: “Non
sono mai stato così affettuoso, ti stai confondendo”, “Sei tu che esageri”. Il
risultato è una profonda confusione emotiva, che lega la vittima al manipolatore
in un circolo vizioso di idealizzazione e svalutazione.
Questa dinamica è tipica del cosiddetto ciclo narcisistico o ciclo dell’abuso, un
pattern relazionale caratteristico delle personalità narcisistiche. Si compone di
tre fasi principali:
1. Idealizzazione: il narcisista eleva la vittima a un ruolo quasi salvifico,
riempiendola di attenzioni e promesse grandiose.
2. Devalorizzazione: l’ammirazione si trasforma in critica, freddezza e
disprezzo; ogni gesto della vittima diventa insufficiente.
3. Scarto: la vittima viene abbandonata o ignorata, spesso a favore di una
nuova “fonte di nutrimento narcisistico”.
Il passaggio continuo da calore a gelo, da fusione a rifiuto, produce nella
vittima un trauma bonding, ossia un legame traumatico paradossale: il dolore
alternato all’affetto genera una dipendenza emotiva simile a quella che si
osserva nella sindrome di Stoccolma.
Esempi tipici:

In una relazione sentimentale, un partner dichiara amore eterno dopo
pochi giorni, moltiplica attenzioni e regali, ma in breve tempo diventa freddo e
accusatorio: “Sei tu che mi soffochi”.

In un contesto lavorativo, un collega adula e sostiene un nuovo arrivato
per guadagnarne la fiducia, solo per sfruttarne le capacità e poi ignorarlo del
tutto.
Riconoscere questi meccanismi è essenziale per interrompere il ciclo
dell’abuso. La confusione, l’isolamento e il dubbio verso se stessi sono
campanelli d’allarme che non vanno ignorati.
La via d’uscita passa dal riconoscimento della manipolazione, dal ripristino del
contatto con la propria realtà interiore e, se necessario, dal sostegno
psicologico. Recuperare la fiducia nelle proprie percezioni significa, in ultima
analisi, riprendere possesso della propria libertà emotiva.
Love Bombing narcisista: quando si rompe la luna di miele
Generalmente, dopo una prima fase idilliaca, il narcisista cambia umore e
atteggiamento, si mostra improvvisamente arrabbiato o freddo/cinico e si farà
sempre più insistente nel chiedere alla vittima di isolarsi da famiglia e amici.
Spesso compaiono altre donne (magari delle ex) con cui la donna attuale viene
accompagnata ad entrare in competizione (“triangolazione narcisistica”).
Somministrano silenzi punitivi, negano cose dette o fatte, confondono la verità
con la bugia portando la vittima a dubitare di sé (“gaslighting”). Possono
iniziare anche atteggiamenti svalutanti e denigratori, alternati a momenti di
riconciliazione fatti di grandi promesse, e sperimentati ogni volta come una
nuova “luna di miele”. Nel subire questa svalutazione, ci si sente costantemente
criticati e umiliati e si prova confusione per le informazioni incoerenti e
ambigue ricevute. Allo stesso tempo si avrà paura di rimanere soli, di non
riuscire più a provare emozioni e sentimenti così intensi. Ci si può sentire
svuotate e ancora più vulnerabili, con sentimenti di ansia e di profonda
tristezza. Può essere una fase molto penosa. Spesso si sviluppa una vera e
propria dipendenza affettiva: un circolo vizioso in cui separarsi è impossibile,
ma rimanere nel legame è ancora più doloroso.

A Gaza i bambini nascono già orfaniLungo la storia dell’uomo, l’esperienza della guerra è sempre stata presente. Iltraum...
15/10/2025

A Gaza i bambini nascono già orfani

Lungo la storia dell’uomo, l’esperienza della guerra è sempre stata presente. Il
trauma in infanzia può essere descritto come l’impatto mentale e psicologico di
un evento esterno e improvviso o di una serie di eventi altamente stressanti che
provocano una sensazione di impotenza nel bambino e che determinano una
rottura delle abituali capacità di coping (reazione) da lui messe in atto. Per
spiegare il concetto di vulnerabiltà e suscettibilità dei bambini si pensi
all’immagine delle “tre bambole”. Una di vetro, la seconda di plastica e la terza
di acciaio. Se cadono, probabilmente la prima bambola si rompe, la seconda si
potrebbe danneggiare con un graffio mentre la terza potrebbe restare illesa.
Questa metafora pone l’accento sul concetto di vulnerabilità intrinseca
all’individuo in base ai fattori personali e alla fase di sviluppo in cui si trova.
L’infanzia infatti è un periodo critico in cui livelli di rischio psicopatologico –
che variano nelle diverse fasi di vita – possono essere più elevati. Uno o più
eventi traumatici precoci possono andare ad impattare in modo massiccio sulla
probabilità di sviluppare sintomi o disturbi, non solo nell’immediato, ma anche
in seguito, durante l’adolescenza o l’età adulta. Restando all’interno della
metafora descritta, il danno della bambola dipende però anche da altre variabili:
la superficie su cui si infrange e l’altezza della caduta. Se consideriamo quindi
questa immagine come una metafora dell’impatto del trauma, possiamo
comprendere come i sintomi psicologici dopo un evento altamente stressante
dipendono dall’interazione di una serie di variabili: la vulnerabilità intrinseca
del bambino o del ragazzo (materiale della bambola), i fattori socio-familiari
che potrebbero attutire la caduta (la superficie), le circostanze legate all’evento
traumatico (altezza e forza dell’impatto). A queste variabili se ne aggiungono
anche altre quali la possibilità di accesso precoce alle cure dopo il trauma o il
modo in cui l’evento viene considerato all’interno della cultura dell’individuo
coinvolto. Le reazioni di un bambino esposto ad un evento o una serie di eventi
altamente stressanti, sono diverse, a seconda della loro età evolutiva e
dell’importanza emotiva dell’evento. I bambini in genere hanno difficoltà a
verbalizzare le loro emozioni ed i vissuti si manifestano spesso attraverso il
comportamento non verbale. Nei bambini le reazioni ad esperienze traumatiche
spesso includono sogni e difficoltà nell’addormentamento. Nei bambini più
piccoli di frequente emergono timori abbandonici o altre paure come
quella del buio. Mentre nei bambini più grandi più spesso si rilevano difficoltà
di concentrazione ed ipervigilanza. Nel caso particolare in cui l’evento
traumatico sia un conflitto o una guerra, i bambini possono aver sperimentato la
perdita dei genitori ed altre figure significative. Possono avere veri e propri
disturbi dell’attaccamento con a comportamenti meno evoluti in termini di
sviluppo: in particolare, alcuni bambini riducono l’esplorazione e perdono
autonomie, perdita di interessi adeguati per età. Si possono anche manifestare
vissuti tipici della sindrome del sopravvissuto, quando i bambini sopravvivono
al conflitto mentre amici e familiari ne sono rimasti vittime. Sviluppano sensi di
colpa e sentimenti di profonda indegnità o pensieri di non meritare di essere
felici. Per i bambini, eredi invisibili delle guerre, gli effetti sono devastanti:
cinismo verso il futuro, difficoltà relazionali e un'identità segnata
dall'instabilità. Questi segni possono manifestarsi gradualmente, spesso senza
che la persona se ne accorga, portando a un "ciclo cumulativo" di
deterioramento. In contesti bellici, come le guerre non siano solo fisiche, ma
"psichiche"- l'empatia è una forza doppia: può ferire, ma anche guarire, se
gestita con cura. Le guerre non dividono solo territori, ma anche opinioni
pubbliche. Le immagini di bombardamenti, vittime civili e distruzioni circolano
senza sosta. La psiche umana diventa così campo di battaglia invisibile, dove si
giocano gli effetti collaterali della geopolitica contemporanea. Ma non è
possibile nelle attuali condizioni di sicurezza e umanitarie. Prima di concludere,
vorrei aggiungere solo una cosa. Questi bambini non hanno nulla a che fare con
questo conflitto. Eppure stanno soffrendo come nessun bambino dovrebbe mai
soffrire. Nessun bambino, indipendentemente dalla religione, dalla nazionalità,
dalla lingua, dalla razza, nessun bambino dovrebbe mai essere esposto ad un
simile livello di violenza, o al livello di violenza a cui abbiamo assistito sino ad
ora. Nessun bambino dovrebbe mai conoscere la guerra. Nessuno dovrebbe
nascere già orfano. Nessun bambino, indipendentemente da religione,
nazionalità o lingua, dovrebbe mai vedere il mondo crollare prima ancora di
imparare a camminare. Ogni bomba che cade su Gaza non distrugge solo una
città: colpisce l’infanzia del mondo. E ferisce la nostra stessa umanità. Nessuno
dovrebbe nascere già orfano.

Cos'è la voce interiore: la mosca sul muroLa voce interiore è spesso più frammentaria e condensata rispetto al parlare a...
01/10/2025

Cos'è la voce interiore: la mosca sul muro

La voce interiore è spesso più frammentaria e condensata rispetto al parlare ad alta
voce, con una sintassi semplificata. Può essere intenzionale (ad esempio, per contare
o memorizzare) o spontanea, legandosi al "vagabondaggio mentale" e all’attività
cerebrale di base. Il picco di attività di queste aree si raggiunge, poi, quando
pensiamo a noi stessi svolgendo una specifica funzione nell’elaborazione del proprio
Sé, ovvero della propria identità e storia personale. Mai fatto caso a quella voce
dentro di noi, più o meno sottile, che parla a noi stessi? Ma chi è che parla, e a chi?
Le voci interiori non sono del tutto sovrapponibili ai semplici pensieri, per la loro
peculiare caratteristica di assumere la forma di veri e propri monologhi o dialoghi.
Ma la voce interiore ci tiene insieme, parlandoci della nostra vita passata,
esaminandola e giudicandola. Fa talmente parte dell’esperienza umana che è stato
stimato che rappresenti circa un quarto di tutta la vita interiore cosciente. Può
presentarsi sotto forma di dialogo interiore a due, come accade quando viene usata
per esplorare possibilità alternative, ad esempio quando si è impegnati nel fare delle
scelte che prevedono possibili posizioni diverse; talora è invece un monologo, che
utilizza il nostro punto di vista o talvolta quello che apparterrebbe a un’altra persona,
della quale viene assunto il punto di vista. Ad ascoltare ovviamente siamo sempre e
soltanto noi stessi. Ma più spesso è invece un fenomeno che si attiva spontaneamente,
e allora tende ad assumere la forma del vagabondaggio mentale, caratterizzato da una
certa evanescenza: la voce perde in parte le sue caratteristiche più auditive e si fa
sottile e poco percettibile. Leggere è forse la più semplice modalità per rendersi conto
della propria voce interiore. L'espressione "mosca sul muro" (traduzione letterale
dell'inglese fly-on-the-wall) ha un significato molto specifico che è strettamente
correlato alla comunicazione non verbale. L'obiettivo è cogliere i comportamenti e le
interazioni spontanee e autentiche dei soggetti, minimizzando il cosiddetto "effetto
osservatore" (il fatto che le persone modifichino il loro comportamento quando sanno
di essere osservate). La comunicazione non verbale (gesti, espressioni facciali,
postura, distanza interpersonale) è spesso inconsapevole e meno controllata rispetto al
linguaggio verbale. Se un soggetto sa di essere osservato, è più facile che controlli ciò
che dice (verbale), ma è molto più difficile che riesca a sopprimere completamente le
espressioni non verbali autentiche (ad esempio, micro-espressioni, posture di
chiusura). L'osservazione "mosca sul muro" cerca di cogliere questi segnali non
verbali nella loro forma più pura e non filtrata. La validità dell'osservazione non
verbale è massima quando avviene nel contesto di vita o interazione abituale dei
soggetti, l'espressione viene usata come metafora per incoraggiare il paziente a
praticare l’autodistanziamento. Quando riviviamo un evento stressante (come un
conflitto o una lite) non in prima persona, ma come se fosse una "mosca sul muro"
che guarda la scena dall'esterno. Osservare i propri schemi comportamentali come e
la Mosca, quando irrompe all’interno della casa e ronza assiduamente attorno alle
orecchie, invita a chiedersi cosa non stiamo ascoltando nella nostra esistenza. Quando
si posa su un oggetto, può indicare abbondanza in arrivo e, al contempo, esorta a non
sviluppare avidità e bramosia. Sollecita a non attaccarsi morbosamente alla
materialità e ad essere sempre pronti ad una trasformazione, esattamente come
avviene per lei in natura (dapprima uova, poi larva, pupa e infine insetto adulto). In
base al proprio atteggiamento, l’essere umano, può deporre “le uova”, dunque le
proprie radici, nel posto sbagliato, trascurando la vera parte di sè . È fondamentale,
quindi, capire in quale direzione spiegare le proprie ali, pronti sempre a virare al
momento opportuno in modo più lucido e meno giudicante. In
sintesi, la "mosca sul muro" è una modalità di osservazione il cui valore è
inestimabile La psicologia della "mosca sul muro" si riferisce a un approccio
osservativo in cui si analizzano comportamenti e dinamiche, come la comunicazione
non verbale, in modo distaccato, come se si fosse un osservatore invisibile. La
comunicazione non verbale (CNV) comprende gesti, espressioni facciali, postura,
tono di voce, contatto visivo e altri segnali che trasmettono messaggi senza parole.
Ecco una panoramica basata su concetti psicologici: Immagina di osservare una
discussione di gruppo come "mosca sul muro". Noti che una persona parla poco ma si
tocca spesso i capelli e distoglie lo sguardo. Questo potrebbe indicare ansia o
insicurezza, anche se le sue parole sembrano sicure. Un’altra persona, invece,
mantiene una postura eretta e usa gesti ampi, suggerendo fiducia o dominanza. Come
mosca sul muro, silente e leggera, osserva il tumulto con occhi di stella. Senza
giudizio, nel quieto respiro, trova la pace che il cuore dipinge.

La Rabbia che Cura: Dall'Impulso alla Consapevolezza La rabbia è un'emozione naturale e potente, capace di manifestarsi ...
17/09/2025

La Rabbia che Cura: Dall'Impulso alla Consapevolezza

La rabbia è un'emozione naturale e potente, capace di manifestarsi in modi diversi: come forza distruttiva, se espressa in modo impulsivo, o come energia trasformativa, se gestita con consapevolezza. Lungi dall'essere "sbagliata", la rabbia diventa problematica solo quando sfugge al controllo, diventando impulsiva o cronica. La mindfulness, ovvero l'attenzione consapevole al momento presente, rappresenta uno strumento efficace per riconoscerla precocemente, modularla e trasformarla, evitando reazioni automatiche che possono danneggiare sé stessi o gli altri. Questo approccio non reprime l'emozione, ma invita a osservarla senza giudizio, creando uno spazio tra stimolo e risposta per agire in modo più saggio. La rabbia si manifesta in tre forme principali, ciascuna con caratteristiche, espressioni e impatti distinti. Rabbia Implosiva: È una rabbia repressa, trattenuta all’interno, che non trova espressione diretta. Come nuvole dense che si accumulano silenziose nel cielo della mente, crea pressione interna, danneggiando principalmente chi la prova. Spesso nasce dalla paura di esprimere l'emozione per evitare conflitti o giudizi. Gestione: Tecniche come la comunicazione assertiva, la scrittura espressiva o la terapia aiutano a riconoscere e verbalizzare i sentimenti in modo sano. Rabbia Esplosiva: Si manifesta in modo impulsivo e intenso, attraverso scatti d'ira, urla o comportamenti distruttivi. È come un temporale improvviso, con fulmini e tuoni che si scatenano all'esterno, lasciando a volte danni nelle relazioni. Gestione: Strategie come la respirazione profonda, il time-out o la mindfulness possono calmare l'impulsività, permettendo di rispondere invece di reagire. Rabbia Espansiva: Quando canalizzata consapevolmente, la rabbia diventa una forza costruttiva. Espressa in modo assertivo, senza aggressività, può trasformarsi in un motore per il cambiamento personale o sociale, promuovendo azioni positive e trasformative. La rabbia spesso scaturisce da aspettative irrealistiche o da un senso di ingiustizia. Il perfezionismo, ad esempio, può generare rabbia autodiretta quando non soddisfiamo i nostri standard elevati, o rabbia verso gli altri quando li percepiamo come "imperfetti" rispetto ai nostri valori. Allo stesso modo, l'imperfezione del mondo - ingiustizie sociali, fallimenti personali o errori altrui - può accendere la rabbia come reazione a ciò che riteniamo inaccettabile. La mindfulness invita a interrompere il "pilota automatico" delle reazioni emotive, osservando la rabbia senza lasciarsi travolgere. Questo approccio si basa su tre principi fondamentali: Osservazione senza giudizio: Riconoscere la rabbia come un'emozione transitoria, senza etichettarla come positiva o negativa. Distinzione tra emozione, pensiero e azione: Comprendere che la rabbia è un segnale, non un'azione obbligatoria: Creazione di uno spazio di consapevolezza: Questo spazio permette di scegliere come rispondere, anziché reagire impulsivamente. Ad esempio, tecniche come la respirazione consapevole o la meditazione guidata possono aiutare a calmare il corpo e la mente, mentre la scrittura espressiva può facilitare l'elaborazione delle emozioni represse. In Italia, la rabbia e l'imperfezione umana sono temi ricorrenti nella letteratura e nell'arte. Nella Divina Commedia di Dante, l'ira è uno dei peccati capitali, spesso legata all'incapacità di accettare i limiti umani o divini. Nel Rinascimento, Pico della Mirandola celebra l'uomo come essere magnifico ma intrinsecamente limitato, un dualismo che si riflette nella tensione tra aspirazione e imperfezione. In epoca moderna, i film di Federico Fellini esplorano l'umanità con un misto di ironia e critica, spesso mostrando rabbia verso le convenzioni sociali che soffocano l'autenticità. Come suggerisce il filosofo Osho, né l'espressione né la repressione rappresentano soluzioni efficaci per gestire la rabbia. L'espressione può innescare una catena di conflitti, alimentando abitudini reattive, mentre la repressione accumula un veleno interiore che rischia di esplodere in modi distruttivi. La terza via, quella dell'osservazione consapevole, invita a sedersi in silenzio e osservare la rabbia come una nuvola che attraversa il cielo interiore. "Questa è rabbia", si può notare, senza agirla né sopprimerla. Una persona che vive momento per momento, accettando rabbia, gioia o tristezza senza trattenerle, non accumula emozioni represse e resta libera da catene emotive. La rabbia non è solo un'emozione distruttiva, ma anche un segnale vitale che afferma la nostra esistenza e il nostro desiderio di cambiamento. Se accolta e compresa attraverso la mindfulness, può trasformarsi da impulso caotico a forza curativa, capace di promuovere una riorganizzazione autentica del Sé. Come un temporale che purifica l'aria, la rabbia, quando gestita con consapevolezza, può lasciare spazio a una maggiore chiarezza e armonia interiore.

Dalla Culla alla Tomba: la gelosiaLa gelosia, definita come il sentimento di sospetto o paura di perdere un legameaffett...
03/09/2025

Dalla Culla alla Tomba: la gelosia

La gelosia, definita come il sentimento di sospetto o paura di perdere un legame
affettivo a favore di un rivale, può assumere forme molto diverse. Mentre una sua
versione "sana" può essere una reazione transitoria e proporzionata, quella patologica
è un labirinto psicologico caratterizzato da pensieri intrusivi, ansia persistente e
comportamenti ossessivi, spesso in assenza di una minaccia reale. Questo rapporto si
propone di superare le semplici definizioni per tracciare una mappa concettuale che
illustri le intricate connessioni tra cinque costrutti psicologici fondamentali all’origine
di questo stato: la gelosia retrospettiva, la gelosia introspettiva, l'ansia, l'autostima e
l'attaccamento. La gelosia retrospettiva, o sindrome di Rebecca, è un'ossessione
rivolta al passato sentimentale e sessuale del partner. A differenza della gelosia
tradizionale, si nutre di fantasmi e ricordi, manifestandosi anche quando gli ex
partner non rappresentano più una minaccia concreta. Si sostanzia nella paura di
essere sostituiti o di non essere "all'altezza". Le sue manifestazioni sono ossessive
(pensieri intrusivi sotto forma di "film mentali") e compulsive (ricerche di
rassicurazione, interrogatori, controlli sui social media), attuate nel vano tentativo di
alleviare un'ansia profonda .Accanto ad essa, il concetto di "gelosia introspettiva"
descrive la dimensione interna e auto-riflessiva del fenomeno. Qui, il focus non è sul
passato del partner in sé, ma sul confronto paralizzante che la persona instaura con
quel passato. È una tortura psicologica basata su un senso di inadeguatezza, dove
l'individuo si sente "non abbastanza" e si pone domande auto-critiche e dolorose
come "Sono più bella/o o intelligente di lei/lui?". È il motore che spinge a vivere la
propria vita come una gara impossibile verso una perfezione inesistente. In primo
luogo, la gelosia è spesso il riflesso di un attaccamento insicuro, in particolare di tipo
ansioso-ambivalente. Chi ha sviluppato questo modello relazionale porta dentro di sé
un grande desiderio di intimità che convive con una profonda paura dell'abbandono.
Esperienze precoci di separazione o trascuratezza emotiva si riattivano, spingendo a
percepire il partner come una fonte di sicurezza da controllare costantemente. Il
bisogno quasi insaziabile di rassicurazione e i comportamenti gelosi diventano una
strategia disfunzionale per mantenere la vicinanza e prevenire una perdita temuta. In
secondo luogo, la bassa autostima è una delle radici più significative. La percezione
di avere meno valore diminuisce il senso di sicurezza, portando a vedere segnali di
pericolo dove non esistono. La distinzione tra autostima di "stato" (temporanea e
fluttuante) e di "tratto" (stabile e duratura) è cruciale. Una gelosia persistente e
pervasiva è spesso radicata in una bassa autostima di tratto, modellata da esperienze
precoci come traumi o delusioni passate. Questo spiega perché la soluzione non può
essere un semplice aggiustamento situazionale, ma richiede un lavoro profondo di
ricostruzione del proprio valore. L'ansia agisce come il catalizzatore e il carburante di
questo sistema. Generata dalla minaccia percepita, è il motore che spinge la persona
ad agire mettendo in atto le compulsioni (controlli, interrogatori) per trovare un
sollievo immediato, seppur temporaneo. Ed è qui che il tentativo di proteggere la
relazione si trasforma in autosabotaggio. L'interazione tra bassa autostima e gelosia
introspettiva è circolare e auto-confermante: la gelosia, con i suoi continui confronti,
danneggia ulteriormente l'autostima. Allo stesso modo, i comportamenti controllanti e
le richieste ossessive spesso irritano il partner, portandolo a reagire con
distanziamento o irritazione. Questa reazione viene immediatamente interpretata dalla
persona gelosa come una conferma delle proprie paure più profonde ("Vedi? Non
sono degno d'amore, si sta allontanando!"), alimentando ancor di più l'ansia e la paura
dell'abbandono. Si instaura così un circolo vizioso in cui la strategia disfunzionale (la
gelosia), messa in atto per gestire una paura, finisce per avverarla, rinforzando le
vulnerabilità iniziali e perpetuando il malessere. La gelosia patologica assume
connotazioni specifiche a seconda del disturbo di personalità sottostante, con
differenze sia quantitative (più intensa, frequente e pervasiva) che qualitative (natura
diversa della causa). Disturbo Paranoide di Personalità: La gelosia è parte di una
sospettosità pervasiva. È una convinzione rigida, quasi delirante, che il partner sia
intrinsecamente sleale.Il controllo è una strategia per confermare un pregiudizio
preesistente. Disturbo Borderline di Personalità (DBP): La gelosia è alimentata dalla
paura dell'abbandono e dall'instabilità emotiva. Le accuse sono reattive, impulsive e
spesso seguite da scatti d'ira o comportamenti autolesivi. La relazione è vista in
termini di "tutto o nulla". Disturbo Dipendente di Personalità: La gelosia nasce da
un'estrema insicurezza e dalla percezione del partner come unica fonte di sostegno. Il
sospetto è una paura persistente di non essere "abbastanza" per trattenerlo. I
comportamenti di controllo sono finalizzati a mantenere una dipendenza vitale. Parlo
della gelosia che svuota le vene all’idea che l’essere amato penetri un corpo altrui, la
gelosia che piega le gambe, toglie il sonno, distrugge il fegato, arrovella i pensieri, la
gelosia che avvelena l’intelligenza con interrogativi sospetti, paure, e mortifica la
dignità con indagini, lamenti, tranelli facendoti sentire derubato
(Oriana Fallaci)

Indirizzo

Via Rettifilo 44
Avellino
83012

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 17:00
Martedì 09:00 - 17:00
Mercoledì 09:00 - 17:00
Giovedì 09:00 - 17:00
Venerdì 09:00 - 17:00
Sabato 08:00 - 17:00

Telefono

+393333050949

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