Psicologia, benessere e salute

Psicologia, benessere e salute Spazio di incontro, condivisione e ascolto con sede ad Avellino e Napoli.

Studio di Psicologia e Psicoterapia della Dott.ssa Paola Dei Medici è uno spazio di incontro, condivisione e ascolto con sede ad Avellino e Napoli.

Parlo spesso col mio analista quando non sono con lui.Mi siedo davanti al suo sguardo e, come i bambini, rovescio a terr...
08/03/2025

Parlo spesso col mio analista quando non sono con lui.

Mi siedo davanti al suo sguardo e, come i bambini, rovescio a terra i miei giochi perché li possa vedere. Glieli mostro, così, uno per uno. Li ho scelti con cura, i miei giochi da grande. Alcuni, invece, mi hanno scelto – tanto che ancora non ne capisco le regole o il “perché proprio me”.

Mi siedo davanti al mio analista dopo un litigio, dopo una delusione, dopo un momento di cosiddetta stanchezza. Quando mi sento sopraffatto, parlo col mio analista – anche se il mio analista non c’è.

Il cielo stellato sopra di noi è forse disabitato, ma dentro siamo un piccolo popolo di voci. Ospitiamo l’altro nel nostro dialogo interno, compreso l’altro della cura. “Cosa ne penserebbe lui, lei, di tutto questo?”, possiamo chiederci. “Cosa mi direbbe?”.

“Importare” deriva dal latino e significa “portare dentro”. Portarsi dentro, continuare il dialogo. Così il clinico scopre dentro di sé i suoi pazienti – così i pazienti scoprono dentro di sé il clinico.
Come ho scritto qui una volta, la vera terapia inizia con la fine della seduta.

[S.Dell'Amico]
Illustrazione di E.Talentino.

Sarebbe un sottile movimento di aggressione verso la nostra esperienza immediata. Non dire mai a un cuore chiuso di apri...
11/08/2024

Sarebbe un sottile movimento di aggressione verso la nostra esperienza immediata. Non dire mai a un cuore chiuso di aprirsi; si chiuderà ancora di più per proteggersi, sentendo la nostra resistenza e disapprovazione. Un cuore si apre solo quando le condizioni sono giuste; la nostra domanda di apertura invita alla chiusura. Questa è la suprema intelligenza del cuore.

Piuttosto, inchiniamoci al cuore così com'è. Se è chiuso, lasciamolo fare. Se è chiuso, lasciamo che sia chiuso; santifichiamo la chiusura. Renderlo sicuro; sicuro anche di sentirsi insicuro.

Confidiamo che quando il cuore sarà pronto, e non un momento prima, si aprirà, come un fiore al calore del sole. Non c'è fretta per il cuore.

Confidiamo anche nell'apertura e nella chiusura, nell'espansione e nella contrazione; questo è il modo in cui il cuore respira: sicuro, insicuro, sicuro, insicuro, la bellissima fragilità dell'essere umano.

[Jeff Foster]

Mi sgomenta pensare alla quantità di cambiamento profondo che ho impedito o ritardato a causa del mio personale bisogno ...
27/05/2024

Mi sgomenta pensare alla quantità di cambiamento profondo che ho impedito o ritardato a causa del mio personale bisogno di interpretare. Se soltanto sappiamo aspettare, il paziente arriva a capire in maniera creativa e con gioia immensa, ed ora io godo di questa gioia più di quanto fossi solito godere della sensazione di essere stato intelligente.
È il paziente, e solo lui, a possedere le risposte. Noi possiamo o meno renderlo capace di avere un senso globale di ciò che sa o di accettare di divenirne consapevole.

[D.Winnicot]

Chiaro che siamo in guerra,ed è una guerra di accerchiamento,ognuno di noi assedia l’altro ed è assediato,vogliamo abbat...
03/05/2024

Chiaro che siamo in guerra,
ed è una guerra di accerchiamento,
ognuno di noi assedia l’altro ed è assediato,
vogliamo abbattere le mura dell’altro
e mantenere le nostre,
l’amore verrà quando non ci saranno più barriere,
l’amore è la fine dell’assedio.

[Josè Saramago “Storia dell'assedio di Lisbona"]

Ciò che entra nella stanza non riguarda solo i pazienti, ma anche noi terapeuti: “Ogni paziente”, dice Ferro, “ci parla ...
16/04/2024

Ciò che entra nella stanza non riguarda solo i pazienti, ma anche noi terapeuti: “Ogni paziente”, dice Ferro, “ci parla delle nostre lande sperdute e spesso mute”. Ogni anima vive il dolore a modo proprio e guarda il mondo con le lenti di una storia vissuta: ciò vale per entrambe le parti.
Per chi fa il mio lavoro, avere dimestichezza (per quanto possibile) con le proprie stanze, è l’unico modo per non perdersi e non con-fondersi più del necessario quando si accompagnano le persone a esplorare le loro. Da pazienti è comprensibile avere la fantasia di affidarsi a qualcuno immaginato come completamente risolto: richiama il bisogno di avere un genitore forte, abile a cacciar via i mostri che si muovono nel buio, capace di dare tutte le risposte. Ma nessuno può avere le risposte sulla vita altrui.

Lavorando insieme si scopre che il valore dell’altro non sta nell’essere infallibile e imperturbabile, ma nell'aver fatto il viaggio di conoscenza della sofferenza e dei limiti (i propri innanzitutto), avendo appreso le logiche, gli strumenti tecnici e un linguaggio per entrarci in contatto senza troppo timore.

Come scrive Cooper: “Con tutto il dovuto rispetto per la difficoltà intrinseca alla condizione dell’analista, è molto più difficile essere paziente che analista” e questo possiamo averlo in mente solo se abbiamo avuto il coraggio di sederci per un certo tempo sull’altra poltrona. Allora nella stanza la differenza non è tra chi è rotto e chi è intero, ma sta nelle diverse responsabilità che si hanno nel percorso, cosa che per il terapeuta implica avere per le mani qualcosa di simile a una mappa, la cui destinazione non sta certo a lui decidere a priori quale sia.
Un bravo psicoterapeuta, scrive Jesurum, è uno che tiene in una sorta di salottino interiore tutte le sue sfighe psichiche sedute in consesso e ormai ci sta quasi in buoni rapporti, le interroga, ci dà da bere, le redarguisce e si fa aiutare in certe situazioni professionali.

[Dal post di Daniela Bernardo]

Quando mi sono vergognata la prima volta non sapevo cosa fosse la vergogna, conoscevo solo quella sensazione di calore s...
27/09/2023

Quando mi sono vergognata la prima volta non sapevo cosa fosse la vergogna, conoscevo solo quella sensazione di calore sul viso, di cuore che esce dal petto, quello sprofondare in se stessi fino al centro della terra. Se della vergogna si potesse parlare, se non fosse un sentimento tanto aleatorio, forse si direbbe che è l’essenza della perdita d’amore.

La vergogna tocca un nucleo che si trova ad una latitudine specifica, quella del proprio narcisismo, cioè del buon amore per sé, e che ruota attorno a un asse imprescindibile, quello della relazione con l’altro.

Qual è la cosa, l’unica in fondo, quella di cui più di tutto abbiamo bisogno per credere all’idea di essere amabili? La sensazione che ciò che siamo, esattamente quello, quel nostro sé immenso, è riconosciuto per intero, in tutte le sue parti, senza condizioni. È questo il presupposto per poter godere di un legame buono, cioè libero, vitale, reale.

Vorrei smantellare questa idea per cui gli psicoterapeuti incolpano i genitori di ogni male: non ci interessa la colpa, ci interessa la verità degli esseri umani che sbagliano, con le loro storie, le loro fatiche, le loro cadute. Dunque può capitare a chiunque, di incappare in un legame a condizione che. Nel legame a condizione che, vengono riconosciute solo alcune parti di quel sé che vorrebbe essere intero. Alcune hanno diritto di asilo, altre restano chiuse fuori, o in qualche soffitta, o cantina, o rifugio, ricoperte dal mantello della vergogna. Nel frattempo perdiamo di vista il fatto che quel posto “altro”, altro non è che un luogo dentro di noi che non ha diritto di vita o, in molti casi, trova la via di una vita fuggiasca.

Sarebbe bello aiutare queste parti a riunirsi. Per farlo serve riparare il legame. Il senso del legame. Serve sfidare la minaccia della distruzione e credere che se scegliamo di aprire i nostri rifugi, nonostante il terrore di quell’antico rifiuto, troveremo qualcuno che, con lo stesso coraggio, ci porterà a conoscere i suoi.
[Marta Torelli]

In questi giorni, a fronte di una richiesta istituzionale insistente, ho pensato a quanto può essere difficile dire di n...
21/09/2023

In questi giorni, a fronte di una richiesta istituzionale insistente, ho pensato a quanto può essere difficile dire di no, ancor di più quando l’altro non ascolta.

Su internet si trovano addirittura delle istruzioni per “imparare a dire di no” e come sempre mi chiedo se davvero si possa strizzare il mondo interno in un piccolo, seppur volenteroso, elenco di passi.

Il no è faccenda di un certo spessore perché è il canale grazie al quale nasce la differenziazione, quello che ci permette di iniziare a dire: “Io sono io e tu sei tu. Abbiamo contorni separati, possiamo volere o pensare cose diverse”. Ma volere e pensare cose diverse non hanno la stessa valenza in ogni storia. Per disegnare i propri confini occorre fare esperienza di una buona vicinanza e sentire che a un certo punto, crescendo, per l’altro è possibile e giusto lasciarci andare.

Spesso invece ci portiamo dentro un’idea di relazione per cui se davvero vogliamo bene all’altro o se vogliamo essere amati, dobbiamo esserci sempre e comunque. “Se mi ami, dovresti”.

Il no viene associato al rifiuto, all’abbandono, al senso di colpa e il destino della singola richiesta diventa in potenza il destino dell’intera relazione o di un’immagine di sé che delude o non ama abbastanza. Ma la disponibilità incondizionata verso i bisogni degli altri implica sovente il parallelo disconoscimento dei propri, cosa che può generare un silenzioso risentimento che si accumula in qualche dove e rosicchia, rosicchia.

Davanti a tanta complessità allora, mi sa che non bastano le istruzioni.

Jung diceva che: “Non esiste una ricetta di vita che vada bene per tutti”. Forse in realtà non esistono proprio le ricette, [esistono le persone].

[Daniela Bernardo]

Portare dentro l'altro – ecco uno degli effetti della terapia. Ospitare in sé i suoi sguardi, i suoi silenzi, i suoi com...
19/09/2023

Portare dentro l'altro – ecco uno degli effetti della terapia. Ospitare in sé i suoi sguardi, i suoi silenzi, i suoi commenti. «Bene», dice lo psicoterapeuta guardando l'orologio. «Per oggi abbiamo finito».

Eppure no, non abbiamo finito. La vera terapia comincia con la fine della seduta. Il dialogo continua anche durante la settimana, e s'intreccia col lavoro del paziente, con i suoi amori, con i suoi svaghi.

È l'Io che scopre un Tu. Il terapista in carne ed ossa si confonde con il proprio “terapista interiore”, alla cui presenza si impara a stare. Sì: la terapia è anche una scuola per abitare la solitudine senza subirla.

La cura è, allora, un processo di incorporazione – di convivenza pacifica con l'altro divenuto una parte di noi.

[S.Dell'Amico]

Tutti scoprono, più o meno presto, nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi invece si soff...
16/09/2023

Tutti scoprono, più o meno presto, nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi invece si soffermano sulla considerazione opposta: che è tale anche un infelicità perfetta.
I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i due stati limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito.
Vi si oppone la nostra sempre insufficiente conoscenza del futuro; e questo si chiama, in un caso, speranza, e nell'altro, incertezza del domani.

[Primo Levi, Se questo è un uomo]

Puoi conoscere tutte le teorie, dominare tutte le tecniche, ma per toccare un'anima umana devi semplicemente essere un'a...
13/09/2023

Puoi conoscere tutte le teorie, dominare tutte le tecniche, ma per toccare un'anima umana devi semplicemente essere un'altra anima umana.

[Carl Gustav Jung]

Quando, come succede durante un percorso di psicoterapia, una persona è stata incoraggiata a vivere, sostenuta, quando s...
10/09/2023

Quando, come succede durante un percorso di psicoterapia, una persona è stata incoraggiata a vivere, sostenuta, quando si è resa conto di come potrebbe essere vivere, l'ha per così dire assaporato, assaggiato, annusato, masticato, toccato; un bel giorno, quella persona, decide di vivere. Cioè di correre dei rischi. A questo punto torna semplicemente dov'era, riprende la vita da dove l'aveva lasciata. Qualcuno lo trova insopportabile, altri hanno accumulato negli anni capacità, conoscenza, esperienza che li rendono in grado di tollerare la fatica. Ma in ogni caso si riprende a vivere lì dove si era smesso, si ritrovano problemi e frustrazioni. Una persona viva è una persona, a volte, con grossi e dolorosi conflitti ma è in contatto con questi conflitti; è una persona con insopportabili frustrazioni ed è in contatto con queste frustrazioni, che non sono piu di intralcio. È una persona in qualche misura disperata, però consapevole di questa disperazione, che può maneggiarla e portarla nella propria vita. Una persona che ha smesso, per la prima volta, da quando è su questo pianeta, di migliorarsi, cambiarsi, falsarsi, adeguarsi ad un io ideale o al modello culturale. Per la prima volta si è arresa alla realtà ed è diventata quello che è: non più un bambino ferito, ma una persona capace di assumersi la responsabilita di quel bambino, un adulto.
Come ha scritto B.Simmons, il terapeuta partorisce di continuo figli che se ne vanno.

Basterà essere (semplicemente) ciò che siamo per essere sufficienti. Basterà che i nostri figli siano (semplicemente) ci...
14/05/2023

Basterà essere (semplicemente) ciò che siamo per essere sufficienti. Basterà che i nostri figli siano (semplicemente) ciò che sono per essere sufficienti.

Indirizzo

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Avellino
83100

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In bellezza, con cautela e oscillando

Quando mi chiedono che cosa faccia nel mio lavoro, talvolta dico che mi occupo di prendere in mano, insieme con la persona, i pezzi della coperta della sua vita per provare a ricucirli in modo diverso, più comodo e confortevole.

Nel mio studio ri-narriamo storie, a volte troviamo nuove strade, leggiamo insieme la favola che la persona porta custodita dentro di sé, ma che non riesce, in quel momento, a leggere da sola. Insieme ripariamo ricordi, per costruirne di nuovi; insieme impariamo a convivere con la storia che ti ha reso quello che sei, oggi.

Con cautela, cerchiamo il filo che ti sembra di aver perso e ne creiamo di nuovi, se serve.

Tra oscillazioni e nuove scoperte, come compagni di viaggio avventurosi, impariamo che ci sono tanti modi di essere sé, sta solo a noi la scelta di quale vestito mettere al me stesso che mi porto dentro.