Dott. Mauro Acierno, Psicologo - Psicoterapeuta Psicosomatista

Dott. Mauro Acierno, Psicologo - Psicoterapeuta Psicosomatista Ognuno di noi ha diritto a salvaguardare la salute ed è un diritto che dobbiamo imparare a concederci.

Terapeuta EMDR certificato
Esperto in Psicologia dell'Emergenza e Psicotraumatologia
Esperto in Management dei Servizi Sanitari

𝐌𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐢 𝐛𝐚𝐦𝐛𝐢𝐧𝐢 𝐚𝐥 𝐜𝐞𝐧𝐭𝐫𝐨, 𝐧𝐨𝐧 𝐥𝐚 𝐧𝐚𝐫𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞.La storia dei “bambini del bosco” è stata raccontata con toni romantici, ...
21/11/2025

𝐌𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐢 𝐛𝐚𝐦𝐛𝐢𝐧𝐢 𝐚𝐥 𝐜𝐞𝐧𝐭𝐫𝐨, 𝐧𝐨𝐧 𝐥𝐚 𝐧𝐚𝐫𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞.

La storia dei “bambini del bosco” è stata raccontata con toni romantici, ma quando si parla di minori non possiamo affidarci al romanticismo, bensì ai loro diritti. Nei commenti leggo paragoni che non hanno senso: campi rom, casi estremi di cronaca, genitori violenti. Questi confronti spostano l’attenzione e creano solo confusione. La domanda vera è una: l’ambiente garantiva ai bambini ciò che la legge e la scienza dello sviluppo indicano come necessario? Parliamo di istruzione regolare, igiene e sicurezza adeguate, socializzazione con i pari, protezione da rischi reali, routine e stabilità emotiva. Non basta voler bene ai figli. L’amore è fondamentale, ma non sostituisce i bisogni evolutivi. La crescita richiede un contesto che li sostenga sul piano affettivo, cognitivo e sociale. E se quell’ambiente, pur nato da ideali positivi, non assicura gli standard minimi di tutela, lo Stato ha il dovere di intervenire: non per punire uno stile di vita alternativo, ma per proteggere minori che non possono scegliere. È facile affezionarsi all’immagine poetica della famiglia nel bosco, ma chi lavora con l’infanzia sa che i bambini hanno bisogno anche di continuità, confini, sicurezza, cure adeguate e opportunità di sviluppo. Il giudizio non può basarsi su sensazioni o narrazioni idealizzate. Le decisioni sui minori devono restare ancorate alla realtà. E la realtà, in questo caso, dice che i bambini vanno messi al centro, anche quando la storia che li circonda è suggestiva.

I piccoli sono stati portati in una casa famiglia insieme alla madre in seguito al provvedimento del Tribunale per i minorenni dell’Aquila

20/11/2025

Oggi si celebra la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Un tema che, per me, è sempre stato centrale. Chi lavora con i minori lo sa: basta poco per farli sentire al sicuro, e basta poco per ferirli. In questo giorno voglio condividere una cosa a cui tengo moltissimo: sono stato nominato Giudice Onorario Minorile al Tribunale per i Minorenni di l’Aquila. Lo dico con gratitudine e con la consapevolezza del peso che porta con sé questo ruolo. È un compito delicato. Richiede sguardo pulito, ascolto vero, e la capacità di non dimenticare mai che dietro ogni decisione c’è la vita di un bambino o di un ragazzo. Continuerò a lavorare come psicoterapeuta, con la stessa dedizione di sempre. E allo stesso tempo cercherò di portare in questo nuovo incarico tutto ciò che ho imparato in questi anni: il rispetto per le storie, l’attenzione al dolore, la cura per chi non ha voce. Con prudenza, con rispetto, e con la consapevolezza che ogni decisione può segnare un pezzo importante della loro vita.

Ti è mai capitato di guardare la vita degli altri e sentire quella f***a allo stomaco? Quella sensazione di essere “indi...
20/11/2025

Ti è mai capitato di guardare la vita degli altri e sentire quella f***a allo stomaco? Quella sensazione di essere “indietro”, di non fare abbastanza, di non arrivare mai?

In questa puntata di Mente a pezzi (e come incollarla!) parlo proprio del confronto continuo che ci logora senza che ce ne accorgiamo. Di ciò che fa il cervello quando si paragona agli altri, di come questo meccanismo ci crea ansia… e di come possiamo tornare al nostro ritmo senza sentirci sempre in difetto.

È un episodio vero, semplice e molto umano. Per chi scrolla i social e si sente piccolo, per chi pensa di essere in ritardo, per chi ha bisogno di ricordarsi che la vita non è una gara.

🎧 “Il confronto che ci uccide: perché ci sentiamo sempre indietro”
Disponibile ora su Spotify.

https://open.spotify.com/episode/0rJUxOxHgTAGdaHbtJMDis?si=gNbIwbCRRCmKTXt_9slNKA

Mente a pezzi (e come incollarla!) · Episode

19/11/2025

Il lutto non ha scadenze. Non ha orari. Non segue le aspettative degli altri.

Quando perdi qualcuno, il mondo ti lascia un attimo per respirare e poi ti chiede di tornare “a posto”. Ma il dolore non funziona così.

Un giorno ti senti stabile, il giorno dopo basta un suono, un odore, un ricordo qualunque e ti ritrovi a terra. Non è debolezza. È il modo in cui il cuore prova a rimettersi insieme.

Non devi smettere di sentire per andare avanti. Si cammina anche con l’assenza accanto. Il lutto non si supera, si trasforma. E non c’è nessuno che possa dirti quando, né come.

Solo tu conosci il ritmo del tuo dolore. E va rispettato. Sempre.

18/11/2025

Ci sono persone che non vivono le relazioni, le inseguono. Stanno bene solo se l’altro c’è, risponde, rassicura. Quando questo non accade, il corpo va in allarme: tachicardia, nodo allo stomaco, pensieri che corrono. Non è “troppo amore”. È paura. Paura di essere lasciati, sostituiti, dimenticati. La mente legge ogni dettaglio come un segnale di rischio: un messaggio letto e non risposto diventa rifiuto, un silenzio diventa disinteresse, un bisogno dell’altro diventa colpa. In terapia vedo quanto questa paura nasce da lontano: relazioni instabili, figure affettive poco presenti, esperienze di perdita o trascuratezza. Il corpo memorizza l’idea che “se non controllo, perdo”. E così le relazioni diventano faticose, a volte soffocanti, per tutti. Il lavoro psicologico serve a ricostruire sicurezza interna, a rinegoziare il passato nel corpo, non solo con le parole. Serve a imparare che non bisogna rincorrere per non essere abbandonati. Serve sentirsi abbastanza anche quando l’altro non c’è. La cura non toglie la sensibilità. La rende abitabile.

Capita spesso, in studio, di incontrare persone svuotate e confuse. Non capiscono più come ci siano finite: una relazion...
15/11/2025

Capita spesso, in studio, di incontrare persone svuotate e confuse. Non capiscono più come ci siano finite: una relazione che all’inizio sembrava intensa, quasi salvifica, e poi un lento scivolare in un terreno dove si perde sicurezza, lucidità, fiducia in sé. Oggi tutto viene chiamato “narcisismo”, ma ciò che conta davvero è capire il funzionamento, non l’etichetta. Il punto centrale è un valore di sé costruito quasi solo sullo sguardo degli altri. Dietro c’è spesso una vergogna profonda, una paura di non valere. Per non sentirla, la persona costruisce un’immagine impeccabile, e quando questa immagine vacilla, reagisce con freddezza, rabbia o svalutazione. All’inizio la relazione può sembrare unica: attenzioni forti, coinvolgimento rapido, quella sensazione di essere finalmente visti. Ma spesso non è un vedere reale: è un’immagine ideale che serve a reggere un vuoto interno. Con il tempo la tua presenza deve confermare quell’immagine. Se esprimi un bisogno, se non sei d’accordo, qualcosa si incrina. E da un giorno all’altro puoi ritrovarti svalutato, criticato, paragonato ad altri. Qui molte persone iniziano a dubitare di se stesse. Non perché siano fragili, ma perché la dinamica erode la percezione. È gaslighting: la sensazione di non potersi fidare dei propri ricordi, delle proprie emozioni, del proprio corpo. E quando il corpo non sa più se fidarsi di ciò che sente, si disorganizza. Questa disorganizzazione è uno dei punti più importanti da capire: l’alternanza idealizzazione–svalutazione crea picchi e crolli che attivano i circuiti dopaminici della ricompensa. È lo stesso meccanismo delle dipendenze. Per questo è così difficile lasciare la relazione: non è una questione di carattere, è neurobiologia. A questo si aggiunge spesso una dissociazione sottile. La persona, senza accorgersene, inizia a separarsi dalle proprie sensazioni per non sentire troppo dolore, troppa confusione, troppa paura di perdere “quel momento” in cui veniva idealizzata. Si allontana da sé stessa per sopravvivere alla relazione. E quando ci si allontana da sé, è inevitabile perdere orientamento. Poi c’è il sistema di attaccamento. Chi resta a lungo in queste relazioni di solito porta una storia di legami instabili, di paure profonde, di antiche ferite che fanno credere che per essere amati bisogna impegnarsi, correggersi, adattarsi. Il narcisismo, purtroppo, trova terreno fertile proprio lì: ti aggancia dove sei più vulnerabile. Uscire da queste relazioni non è “avere più forza”. È capire cosa è successo dentro di te. È rimettere a fuoco la realtà dopo mesi di confusione, restituire voce ai tuoi pensieri, ricostruire confini, tornare ad ascoltare il corpo che hai dovuto zittire. In terapia si lavora così: si validano gli eventi, si rimettono insieme i pezzi, si ripara l’immagine di sé che è stata erosa. E spesso si lavora anche sul passato, sulle ferite che hanno reso quella relazione così agganciante. Non si demonizza chi ha un funzionamento narcisistico: anche lì ci sono storie di fratture profonde. Ma questo non può cancellare la sofferenza di chi oggi porta addosso il peso di questa dinamica. Se ti riconosci, sappi che non è colpa tua. Non te la sei cercata. Sei entrato in un sistema relazionale che confonde la mente, attiva dipendenze, disorganizza il corpo e logora il Sé. E da questo sistema si esce. Si torna interi. Si torna presenti. Si torna vivi.

14/11/2025

La rabbia quasi mai è solo rabbia.
È dolore che non sai più dove mettere.
Arriva quando vivi troppo tempo trattenuto.
Quando hai detto “va bene” per non perdere nessuno.
Quando hai fatto finta di non sentire.
Non è un difetto.
È il tuo limite che ti chiama.
Sotto la rabbia c’è paura, solitudine, bisogno di essere visto.
E finché non la ascolti, ti scoppia in mano.
Guardarla fa paura.
Ma è l’unico modo per riprendere il controllo.

Il senso di colpa è una delle emozioni più silenziose e più pesanti che esistano. Ci fa pensare di poter rimediare al pa...
12/11/2025

Il senso di colpa è una delle emozioni più silenziose e più pesanti che esistano. Ci fa pensare di poter rimediare al passato, ma spesso ci tiene fermi nel presente.

Nella nuova puntata di Mente a pezzi (e come incollarla!) parlo proprio di questo: di come nasce la colpa, cosa succede nel cervello e nel corpo quando la sentiamo, e di come possiamo imparare a riconoscerla, usarla e — quando serve — lasciarla andare.

🎧 “Il peso della colpa (e come alleggerirlo)” è su Spotify. Un episodio per chi si sente costantemente “in debito” con qualcuno… anche con se stesso.

Mente a pezzi (e come incollarla!) · Episode

07/11/2025

A volte quello che sentiamo non è solo nostro.
Lo portiamo addosso, senza sapere da dove viene.
A volte è un’eredità silenziosa:
un dolore che non ci appartiene,
ma che abbiamo imparato a portare per amore, o per abitudine.
Molti dei nostri genitori non hanno potuto fare diversamente.
Hanno subito, taciuto, resistito.
E senza saperlo ci hanno consegnato quel peso,
come se fosse parte del nostro nome.
Spezzare la catena non è un atto di ribellione.
È un atto d’amore.
Significa dire: “questa sofferenza finisce qui”.
Darle un posto, darle voce,
così che non debba più passare attraverso di noi.
Non c’è guarigione senza verità.
E la verità, a volte,
è che stiamo solo portando ciò che non è mai stato nostro.

Una società traumatizzata non è fatta solo di violenza e rabbia.È fatta di assenze: di ascolto, di adulti presenti, di e...
05/11/2025

Una società traumatizzata non è fatta solo di violenza e rabbia.
È fatta di assenze: di ascolto, di adulti presenti, di educazione emotiva.
In questo nuovo episodio di “Mente a pezzi (e come incollarla!)” parlo di ciò che stiamo diventando e di come possiamo ricominciare a sentirci parte di qualcosa.
🎧 Disponibile ora su Spotify.

Mente a pezzi (e come incollarla!) · Episode

Cosa fare quando la persona che ami è depressa ma non vuole aiuto? È una domanda che ricevo spesso, ed è anche una delle...
29/10/2025

Cosa fare quando la persona che ami è depressa ma non vuole aiuto? È una domanda che ricevo spesso, ed è anche una delle più difficili. Perché ci mette davanti al confine tra l’amore e l’impotenza.

In questa nuova puntata del mio podcast parlo proprio di questo: di come si può stare accanto a un partner depresso senza “salvarlo”, di come evitare di farsi trascinare giù, e di come la presenza — calma, umana, costante — possa diventare una vera forma di cura.

Non è un episodio triste. È un episodio onesto.
Parla di amore, neuroscienze e piccole scelte quotidiane che fanno la differenza. 👇🏼👇🏼👇🏼

Mente a pezzi (e come incollarla!) · Episode

27/10/2025

Sul volo di ritorno da Cagliari un bambino che avrà avuto tre anni ha pianto per tutto il tempo.
La madre, al telefono, impassibile.
Non è solo una scena triste.
È lo specchio di una società dove tanti adulti non sanno più “esserci”.
Un bambino che piange non ha bisogno di silenzio, ma di qualcuno che lo contenga.
E quando non lo trova, impara presto che le emozioni non servono a nulla.
Bowlby, padre della teoria dell’attaccamento, lo diceva chiaramente: la sicurezza nasce dallo sguardo di chi c’è, non dalle parole.
Un bambino che si sente visto e calmato, diventa un adulto capace di reggere la vita.
Alle nuove generazioni di genitori direi questo: non servono manuali perfetti, serve presenza.
Lasciate il telefono, guardateli negli occhi. È da lì che comincia tutto.

Indirizzo

Via Lago Di Lesina 8B
Avezzano
67051

Orario di apertura

Lunedì 15:00 - 20:00
Martedì 09:00 - 20:00
Mercoledì 09:00 - 20:00
Giovedì 09:00 - 20:00
Venerdì 09:00 - 20:00

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