13/10/2025
Recensione di "Serial Killer. I volti del male" di Gianluca Zanella (Diarkos, 2025) a cura di Elena Varotto.
C’è una linea sottile che separa la curiosità dall’orrore: “Serial Killer. I volti del male” di Gianluca Zanella la percorre con equilibrio e lucidità.
L’autore, noto per le sue inchieste giornalistiche sul crimine e per il suo approccio razionale ai fatti di cronaca, fondatore del format di informazione indipendente DarkSide - Storia Segreta d'Italia, firma un saggio che si legge come un lungo racconto.
Nonostante il tema oscuro, il libro non è affatto pesante né macabro: è un viaggio lucido e appassionante nel cuore dell’uomo, raccontato con l’occhio del giornalista e la sensibilità del divulgatore. Zanella riesce in un’impresa complessa: trasformare una materia drammatica in un racconto che si legge d’un fiato, con la serietà del saggio ed il ritmo del romanzo.
Sin dalle prime pagine, la prefazione del criminologo Federico Carbone ci prepara a un testo che va in profondità, senza fronzoli. Il libro prende le mosse, nella sua introduzione, da una breve descrizione delle prime figure di assassini seriali nella storia, ad esempio, il caso delle avvelenatrici di Roma antica descritte da Tito Livio. Da qui, Zanella costruisce una genealogia del male che attraversa i secoli e muta con le società: dall’aristocratica crudeltà di Elizabeth Báthory al mistero urbano di Jack lo Squartatore, per arrivare, poi, alla trattazione dei più importanti serial killer contemporanei americani come Albert Fish, Richard Ramirez, Zodiac e Jeffrey Dahmer, divenuti, ormai, tristemente “iconici”.
Ma la vera forza del libro sta soprattutto nell’aver riportato l’attenzione sul nostro Paese, perché se è vero che nell’immaginario collettivo i grandi serial killer sono noti soprattutto in America, Zanella dimostra che anche l’Italia ha avuto, nel silenzio della propria provincia, assassini seriali di spietata ferocia. Da Leonarda Cianciulli, la Saponificatrice di Correggio, al Mostro di Firenze e Marco Furlan, fino a Donato Bilancia, l’autore scava nelle cronache e nelle menti di chi ha terrorizzato il Paese, protagonisti di pagine oscure della cronaca nera, mostrando come la violenza seriale non sia un’esportazione americana, ma un fenomeno umano, radicato ovunque. Ogni capitolo è una tappa in cui il delitto diventa specchio del suo tempo, riflesso delle sue paure e delle sue ossessioni.
Ciò che emerge, più che la cronaca dei fatti, è un filo rosso (anzi, nero) antropologico e culturale: il serial killer diviene prodotto della civiltà che lo genera. L’autore mostra come la violenza seriale, lungi dall’essere un’anomalia, sia una costante nella storia umana, variando soltanto nel contesto e nel linguaggio. Dove un tempo agivano la superstizione e la caccia alle streghe, oggi operano i mass media e la spettacolarizzazione del crimine.
Zanella intreccia storie individuali e contesti sociali, con il rigore del cronista e la misura dello scrittore. Ogni caso è raccontato senza enfasi, con linguaggio chiaro e preciso, restituendo la dimensione umana – disturbante ma reale – dei protagonisti. Accanto alla cronaca c’è l’analisi: le infanzie spezzate, i traumi, i legami di attaccamento mancati, la linea sottile che separa il disagio dalla follia.
Di particolare interesse le pagine dedicate al ruolo dei media: come la televisione, i giornali e oggi i social abbiano trasformato il crimine in intrattenimento, amplificando la fascinazione collettiva verso chi uccide. “L’orrore vende”, scrive Zanella, ma la responsabilità di chi racconta è distinguere la conoscenza dalla spettacolarizzazione. Pur affrontando storie terribili, il libro non cede mai alla retorica o all’effetto shock.
La scrittura resta limpida, tesa, asciutta, giornalistica: si avverte l’intento di restituire dignità all’informazione e complessità al tema, con i toni da giornalista di inchiesta che contraddistinguono la sua cifra stilistica, con un ritmo serrato ma agevole, anche nei passaggi più tecnici. Si percepisce l’intento divulgativo, ma anche la volontà di restituire dignità di analisi a un tema spesso banalizzato.
Come sottolinea nella prefazione Federico Carbone, “leggere queste pagine è un esercizio di memoria. Un atto politico contro l’indifferenza. È un pugno allo stomaco per chi crede ancora che il male sia un incidente, un errore statistico. Il male, qui, è sistema”.
Lo sguardo resta sempre lontano tanto dal sensazionalismo quanto dalla freddezza clinica: il male viene indagato come fenomeno umano, non come mostruosità aliena. Zanella non indulge nella morbosità, non cerca l’effetto shock: preferisce spiegare, collegare, contestualizzare. Nel capitolo finale, l’autore si interroga su un punto cruciale: perché il pubblico continua ad essere attratto dai serial killer? La risposta, suggerisce, non è solo nella curiosità morbosa, ma nel bisogno di capire dove finisce la normalità e comincia la devianza.
Ed è forse questo il messaggio più importante che traspare da quest’opera: mostrare che studiare il male non significa celebrarlo, ma riconoscerlo per difendersi da esso. “Cosa distingue lui da me?” è la domanda che Zanella ci pone e su cui dobbiamo sempre interrogarci.
In tempi in cui il crimine diventa spesso intrattenimento, “Serial Killer. I volti del male” è un chiaro esempio di divulgazione intelligente, un invito a guardare con occhi razionali ciò che ci spaventa, e a scoprire, dietro i volti del male, qualcosa che parla anche di noi.
Diarkos - Storia Segreta d'Italia