10/11/2025
IL BAMBINO FERITO E LA TRAPPOLA DEL RANCORE.
Chi ha letto Alice Miller sa quanto sia liberatorio riconoscere finalmente il dolore del proprio bambino interiore. Dare un nome alle ferite, sentire la rabbia, il dolore e la tristezza negate, smettere di idealizzare genitori che in realtà ci hanno feriti: tutto questo è un passaggio necessario, vitale, sacrosanto.
Eppure, a volte, può accadere qualcosa di sottile ma pericoloso: ci si ferma lì.
La rabbia ristagna nel risentimento, ci si attarda nel rancore, nel livore, come se rimanere nella collera fosse l’unico modo per restare fedeli al bambino ferito.
Come se il dolore diventasse una casa dove si abita per sempre, anziché un luogo da attraversare.
Ma il messaggio più profondo di Alice Miller non è “rimanere vittime per sempre”. È piuttosto ascoltare il bambino interiore per poi prenderlo per mano, assumendoci la responsabilità di offrirgli, da adulti, ciò che un tempo non ha ricevuto: protezione, fiducia, tenerezza, possibilità di vivere.
La rabbia è giusta, è un segnale di verità.
Ma se ristagna, diventa veleno.
Non ci libera, ci incatena.
E questo non significa “perdonare i genitori” o “minimizzare ciò che hanno fatto”.
Il punto non è quello.
Il punto è che, ad un certo momento del cammino, i genitori smettono di essere il centro del lavoro.
Perché il focus torna dove deve stare: sul bambino interiore, sulla sua cura, sui suoi bisogni, sulla sua rinascita.
All’inizio è naturale che emergano emozioni forti verso i genitori: è il segno di una verità che finalmente trova voce.
Ma poi, proseguendo, la domanda cambia: “Cosa posso fare io, oggi, per il mio bambino interiore?”
Perché se i genitori non hanno potuto o voluto accogliere quel bambino, non saranno loro — decenni dopo — a poterlo guarire.
Questo compito spetta a noi, adulti di oggi.
Siamo chiamati ad assumerci la responsabilità di consolare, abbracciare il bambino interiore, riscoprendo le sue parti vitali e giocose ed agendo anche in modo concreto: “fare da genitore a se stessi” può magari significare iscriversi davvero a quel corso di acquarello che allora ci era stato proibito, o concedersi una giornata al mare solo per il piacere di esserci.
E a volte significa anche rassicurare quel bambino quando la paura si riaccende, quando una situazione presente fa risuonare antiche ferite.
Allora l’adulto può dirgli con dolce fermezza: “Adesso ci sono io. Non sei più solo. Possiamo provare, un passo alla volta.”
Assumersi la responsabilità del proprio bambino interiore vuol dire anche questo: incoraggiarlo con benevolenza a compiere piccoli passi nuovi, ad affrontare con fiducia ciò che un tempo lo spaventava, sapendo che oggi non è più in balia di nessuno.
Sono gesti semplici, ma in essi il bambino interiore scopre che finalmente c’è qualcuno — noi stessi — che lo ascolta e lo accompagna nella vita reale, concreta e quotidiana di oggi.
Dr. Marco Puricelli, psicoterapeuta psicodinamico milleriano - EMDR