29/04/2025
Resistere o fare resistenza?
Star fermi o muoversi?
Rimanere coerenti a chi pensiamo d'essere o mutare?
"All’inizio credevo che resistere volesse dire restare fermo.
Non cedere. Stringere i denti. Tenere duro.
Sopportare.
Mi sembrava un valore, una virtù. Resistevo sempre, specialmente quando stavo male.
Irrimediabilmente condizionato da decine di eroi giapponesi vagamente greci mi sono convinto molto presto che le persone forti non si lamentano, le persone forti ce la fanno da sole. Magari si beccano una carrettata di legnate sulle scale di un tempio dorico, ma alla fine trionfano. E se non trionfano non rompono.
Così st'idea ha fatto il nido: se tengo botta, se mi spremo dentro le ambizioni, se mi incastro nelle aspettative, se persisto, se continuo, se reggo nella forma che si aspettano da me, prima o poi le cose andranno al loro posto.
“Stai fermo, stai zitto, non far casini. Resisti”.
Quindi ho cominciato a stare fermo. Fermo nelle idee, fermo nei ruoli, fermo dentro relazioni aspettando che si presentasse l'amore o il reflusso gastrico.
Attorno al concetto di resistenza, ho tirato su una versione di me costruita per sopravvivere, non per vivere. Una pianta grassa, un'ombra controvento, un tizio convinto che subire e crescere fossero sinonimi.
Per anni ho difeso luoghi, persone, lavori, identità che non mi assomigliavano, che mi ammazzavano a rate. Continuavo a dire: “Io sono fatto così”. E intanto mi facevo a pezzi per starci dentro, mi tagliavo per non cambiare taglia. E quando sentivo che stavo per essere schiacciato, mi schiacciavo io. Preventivamente.
Poi ho avuto la fortuna di imparare cos'è la resistenza. Anzi, cos'è la Resistenza. La Resistenza non è stare fermi, non è incassare, subire, la Resistenza è agire, è prendere una posizione nuova, è disobbedire, anche a sé stessi.
Fare la Resistenza è il contrario di resistere, è lottare per cambiare, è non accontentarsi più di quello che c'è, di quello che si è. È dire un “no”, quando sarebbe più conveniente un “sì”.
La Resistenza, quella maiuscola, non è facile. Richiede di rischiare molto, certe volte tutto.
Di stracciare il copione, di far spazio per domande nuove, di abbandonare pezzi di sé e affrontare le parti più nere che ci abitano scoprendo come anche loro abbiano contribuito a definire tutto quello che sta sotto la spaventosa parola “noi”.
C'è chi proverà a convincervi che la Resistenza può essere indolore, insapore, che può o dovrebbe essere sobria. Cazzate, non si resiste con sobrietà, non si resiste in silenzio. Fare la Resistenza richiede fatica, coraggio, perché richiede di mettere in discussione tutto quanto. Fare la Resistenza è insorgere, è chiedere aiuto, è battersi attivamente contro tutto ciò che ti dice di restare immobile.
A tanti la Resistenza non piace, perché la Resistenza mette in discussione pure loro. E a nessuno piace essere messo in discussione. Veniamo educati alla più spietata coerenza, a essere ciò che siamo, fedeli a noi stessi, e abbandonare un modo di essere è quasi sempre visto come un tradimento.
Ma l'identità non è un contratto a tempo indeterminato. Il vero tradimento è restare fedeli a un’immagine che ci spegne. A un ruolo che ci consuma. A una definizione che ci riduce. Inchiodandoci a quello che siamo stati.
Fare la Resistenza è avere il coraggio di ribellarsi alla parte di noi che non ci rappresenta più. È capire che certe abitudini erano prigioni, che certi ambienti erano tossici, che certe relazioni erano dipendenza.
Che vivevamo sotto la dittatura di noi. E continuare a viverci era una resa quotidiana.
Allora basta arrendersi, basta resistere. Meglio cambiare, meglio combattere.
Meglio fare la Resistenza."
Il testo è di Nicolò Targhetta e la grafica di Amandine Delclos.