Dott.ssa Elisa Miosi Psicologa e Psicoterapeuta

Dott.ssa Elisa Miosi  Psicologa e Psicoterapeuta Psicoterapueta funzionale corporea, mi occupo di consulenza, diagnosi e cura, a cui si affiancano interventi di prevenzione e promozione del benessere

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17/05/2025

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Oggi si celebra la Giornata Internazionale contro l’Omofobia, la Lesbofobia, la Bifobia e la Transfobia, istituita nel 2004 per ricordare la derubricazione dell’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, avvenuta il 17 maggio 1990.
È una data simbolica che non rappresenta un punto di arrivo, ma l’avvio di una necessaria riflessione sul legame tra discriminazione e salute mentale.
Ad oggi sappiamo che le persone LGBTQIA+ possono essere soggette, in maniera continuativa e a vari livelli (personale, relazionale, sociale e istituzionale), a forme di discriminazione e aggressioni, questo comporta un carico di stress che può diventare cronico, dovuto proprio allo stigma, all’esclusione sociale e all’assenza di diritti.
Anche la nostra categoria professionale non è immune da bias culturali, stereotipi e pregiudizi che possono orientare all’utilizzo di un approccio patologizzante, che risulta lesivo del benessere delle persone.
Riconoscere questi meccanismi è una responsabilità professionale e deontologica di ciascunə psicologə, che, a partire da una riflessione personale e dall’aggiornamento formativo, dovrebbe promuovere la salute biopsicosociale basata sull’autodeterminazione delle persone per quanto riguarda il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere.
Il contrasto all’omolesbobitransfobia, di cui l’Ordine degli Psicologi della Regione Siciliana si fa promotore da anni, passa anche attraverso un lavoro critico ed un impegno a livello scientifico, politico e culturale dentro la nostra stessa professione.

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Resistere o fare resistenza?Star fermi o muoversi?Rimanere coerenti a chi pensiamo d'essere o mutare?"All’inizio credevo...
29/04/2025

Resistere o fare resistenza?
Star fermi o muoversi?
Rimanere coerenti a chi pensiamo d'essere o mutare?

"All’inizio credevo che resistere volesse dire restare fermo.
Non cedere. Stringere i denti. Tenere duro.
Sopportare.
Mi sembrava un valore, una virtù. Resistevo sempre, specialmente quando stavo male.
Irrimediabilmente condizionato da decine di eroi giapponesi vagamente greci mi sono convinto molto presto che le persone forti non si lamentano, le persone forti ce la fanno da sole. Magari si beccano una carrettata di legnate sulle scale di un tempio dorico, ma alla fine trionfano. E se non trionfano non rompono.
Così st'idea ha fatto il nido: se tengo botta, se mi spremo dentro le ambizioni, se mi incastro nelle aspettative, se persisto, se continuo, se reggo nella forma che si aspettano da me, prima o poi le cose andranno al loro posto.
“Stai fermo, stai zitto, non far casini. Resisti”.
Quindi ho cominciato a stare fermo. Fermo nelle idee, fermo nei ruoli, fermo dentro relazioni aspettando che si presentasse l'amore o il reflusso gastrico.
Attorno al concetto di resistenza, ho tirato su una versione di me costruita per sopravvivere, non per vivere. Una pianta grassa, un'ombra controvento, un tizio convinto che subire e crescere fossero sinonimi.
Per anni ho difeso luoghi, persone, lavori, identità che non mi assomigliavano, che mi ammazzavano a rate. Continuavo a dire: “Io sono fatto così”. E intanto mi facevo a pezzi per starci dentro, mi tagliavo per non cambiare taglia. E quando sentivo che stavo per essere schiacciato, mi schiacciavo io. Preventivamente.
Poi ho avuto la fortuna di imparare cos'è la resistenza. Anzi, cos'è la Resistenza. La Resistenza non è stare fermi, non è incassare, subire, la Resistenza è agire, è prendere una posizione nuova, è disobbedire, anche a sé stessi.
Fare la Resistenza è il contrario di resistere, è lottare per cambiare, è non accontentarsi più di quello che c'è, di quello che si è. È dire un “no”, quando sarebbe più conveniente un “sì”.
La Resistenza, quella maiuscola, non è facile. Richiede di rischiare molto, certe volte tutto.
Di stracciare il copione, di far spazio per domande nuove, di abbandonare pezzi di sé e affrontare le parti più nere che ci abitano scoprendo come anche loro abbiano contribuito a definire tutto quello che sta sotto la spaventosa parola “noi”.
C'è chi proverà a convincervi che la Resistenza può essere indolore, insapore, che può o dovrebbe essere sobria. Cazzate, non si resiste con sobrietà, non si resiste in silenzio. Fare la Resistenza richiede fatica, coraggio, perché richiede di mettere in discussione tutto quanto. Fare la Resistenza è insorgere, è chiedere aiuto, è battersi attivamente contro tutto ciò che ti dice di restare immobile.
A tanti la Resistenza non piace, perché la Resistenza mette in discussione pure loro. E a nessuno piace essere messo in discussione. Veniamo educati alla più spietata coerenza, a essere ciò che siamo, fedeli a noi stessi, e abbandonare un modo di essere è quasi sempre visto come un tradimento.
Ma l'identità non è un contratto a tempo indeterminato. Il vero tradimento è restare fedeli a un’immagine che ci spegne. A un ruolo che ci consuma. A una definizione che ci riduce. Inchiodandoci a quello che siamo stati.
Fare la Resistenza è avere il coraggio di ribellarsi alla parte di noi che non ci rappresenta più. È capire che certe abitudini erano prigioni, che certi ambienti erano tossici, che certe relazioni erano dipendenza.
Che vivevamo sotto la dittatura di noi. E continuare a viverci era una resa quotidiana.
Allora basta arrendersi, basta resistere. Meglio cambiare, meglio combattere.
Meglio fare la Resistenza."

Il testo è di Nicolò Targhetta e la grafica di Amandine Delclos.

Buona continuazione a tutti noi, perché la vita è il solo modo per...
01/01/2025

Buona continuazione a tutti noi, perché la vita è il solo modo per...

02/11/2024

“Ci sono veleni che assumi ogni giorno: a volte si chiamano mamma, a volte papà, a volte nonno e nonna. Ci sono veleni che, spesso, non sanno di essere veleni, ma hanno un effetto tossico su di noi. Il «non si può dire,» il «non sta bene», il «non adesso», il «non puoi capire». Questi veleni ci vengono iniettati giorno dopo giorno con l'educazione, con il ricatto, con la paura.
Ci sono veleni che fanno così tanto parte di te che non li riconosci per quello che che sono. Si chiamano inadeguatezza, il non sentirsi mai abbastanza, il senso di colpa, la paura dell'abbandono, l'amore da meritarsi, il dover essere diversi perché quel che si è non va mai bene. Ci sono veleni che non sappiamo di iniettare, perché non siamo consapevoli del loro potenziale tossico. E ci sono veleni che pensiamo di dover passare per forza, perché li hanno passati a noi.
E poi ci sono persone che sono antidoto e, per fortuna, anche queste a volte si chiamano mamma, papà, nonno o nonna. A volte si chiamano marito, moglie, fidanzato, amico, maestra, psicologo.... A volte non sappiamo neanche come chiamarli, ma sappiamo soltanto una cosa: che ci fanno stare bene. Sono queste le persone di cui dovremmo circondarci. E sono sempre queste le persone che dovremmo diventare”.

(Carl Gustav Jung)

https://www.facebook.com/100064554017705/posts/874043091424150/
03/07/2024

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Si è parlato di “psicopandemia” per dar conto delle ricadute sul piano psicologico del periodo pandemico: ma la pandemia ha solo amplificato e accelerato un processo che veniva avanti da molti anni, non compreso e senza risposte.

Il più grande studio epidemiologico, basato su oltre un miliardo di valutazioni fatte dal 2006 al 2019 negli USA sui soggetti tra 12 e 24, ha mostrato un raddoppio dei disturbi psicologici e delle prescrizioni di psicofarmaci tra il 2006 e il 2019.

Dopo la pandemia si stima che il 30% di adolescenti e giovani soffra di ansia o depressione, oltre uno su tre è in una condizione di disagio, mentre un soggetto su due nella fascia 18-25 è interessato a problemi di disagio psicologico. Dati di per sé eclatanti che ci dicono che la pandemia ha portato a galla una situazione di malessere diffusa oltre che creare nuovi problemi.

È interessante notare la diversa percezione dei ragazzi e dei genitori che emerge in un’altra indagine (“Mi vedete?”): 7 ragazzi su 10 evidenziano situazioni di disagio ma i genitori ne percepiscono meno della metà (3 su 10).

Maggiori problemi psichici significa riduzione delle capacità di apprendimento, di gestione delle emozioni, di relazione, e di adattamento alla vita, sviluppo condizionato negativamente, maggiore vulnerabilità allo stress e quindi maggiore rischio di patologie psichiche e fisiche.

Il punto è però sull’evidente ritardo nel prendere contromisure. Serve un sistema che sia consapevole del problema e agisca in modo non improvvisato, né frammentato e tanto meno ideologico.

Tutte le Agenzie internazionali raccomandano una strategia integrata basata su prevenzione, ascolto e promozione. Se non si costruiscono argini al dilagare di questa “pandemia del disagio psicologico”, magari sviluppando la resilienza, tra breve i numeri ed i costi diventeranno insostenibili: basta vedere il trend degli accessi ai Pronto Soccorso per situazioni che sfociano in attacchi di ansia o crisi acute di malessere, situazioni che avrebbero dovuto essere intercettate ben prima di arrivare ad un Pronto Soccorso.

Per approfondire 👇🏻
https://www.huffingtonpost.it/blog/2024/07/02/news/non_chiamiamola_psicopandemia-16347415/

Bonus psicologo. Di nuovo al via la possibilità di richiedere il contributo Inps.
31/03/2024

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Che sia il momento delle scelte e del cambiamento!
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Sii qualcuno che ti rende felice. Autore del graffito sconosciuto
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