14/08/2025
❗😉Rispondo a un messaggio privato che mi offre uno spunto per riflettere su una tematica sociale in espansione: la spinta a voler appartenere a un gruppo “vincente”, anche quando al suo interno ci sono dinamiche "ostili". Vi ringrazio per la vostra partecipazione sempre molto gradita.
👉 Quando entrare nel “gruppo dei vincenti” non è come speravamo
Entrare in un gruppo che dall’esterno ci appare prestigioso può sembrare il coronamento di un grande sforzo. Ci impegniamo, resistiamo alle difficoltà, costruiamo strategie per riuscirci. Immaginiamo che, una volta dentro, saremo ascoltati, riconosciuti, finalmente “tra i vincenti”.
Eppure, a volte, il sogno si incrina. Ad esempio:
🔸 Il nostro valore personale sembra diminuire quando non riceviamo il riconoscimento sperato.
🔸 Scopriamo che il gruppo non riflette i nostri valori e funziona in modi diversi da come lo avevamo idealizzato.
🔸 Non sentirci ascoltati ci porta a percepirlo come “prepotente” o “arrogante”.
Il conflitto è forte: restare per mantenere lo status o andarcene per non sentirci svalutati?
📍 Perché accade
Spesso dietro queste esperienze ci sono messaggi appresi nell’infanzia:
“Sei bravo, ma non il migliore”,
“Devi essere il migliore, altrimenti non vali nulla”,
“Non sei abbastanza”.
Queste frasi, esplicite o implicite, possono spingerci a cercare persone o contesti “superiori” per sentirci migliori a nostra volta. L’illusione è che stando accanto ai “migliori” una parte di quello status ricada anche su di noi.
A volte, inseguendo questa idea di “essere tra i migliori”, finiamo per legarci a persone o entrare in contesti che non ci permettono nemmeno di capire cosa vogliamo davvero o cosa sentiamo vicino ai nostri valori. Seguiamo una spinta alimentata dalla paura di non essere abbastanza e questo ci impedisce di fermarci in uno stato riflessivo autentico, quello che ci aiuterebbe a conoscerci a fondo. Così diventa più facile provare insoddisfazione e la sensazione di non essere mai nel posto giusto.
🔥 Il paradosso
Il risultato è che questa scelta ci colloca in una posizione implicita di inferiorità: se l’altro è “il migliore”, allora io non lo sono. Inizia così una competizione silenziosa in cui il successo altrui diventa la misura del nostro “non essere abbastanza”. Nello sforzo di essere considerati vincenti, ci ritroviamo accompagnati da paura, ansia e rabbia, emozioni che, a intensità elevate, possono influenzare negativamente le nostre prestazioni. Inoltre, il desiderio di ottenere riconoscimento immediato si scontra spesso con le difficoltà legate ai naturali processi di inserimento in un nuovo gruppo, alimentando stati emotivi spiacevoli e una continua autovalutazione critica.
✔️ Il nodo centrale
Il nostro valore non dipende da chi ci circonda o da quanti successi raggiungiamo.
Se la motivazione principale è ottenere riconoscimento scegliendo contesti “top”, rischiamo di allontanarci da ciò che davvero amiamo e dai nostri valori.
Il rischio è restare intrappolati in dinamiche ambivalenti: da un lato vogliamo restare per dimostrare il nostro valore, dall’altro soffriamo perché ci sentiamo svalutati o estranei alle logiche del gruppo.
Si crea così un ciclo in cui il valore che cerchiamo non arriva mai, alimentando rabbia, invidia e tristezza, e confermando quella vecchia voce interiore: “non sei abbastanza”.