11/09/2025
Riflessioni di una collega psichiatra 🙏🏼🌷
“Non è stato il giorno in cui ho ricevuto il mio diploma di specializzazione che sono diventata .
L’ho capito una notte di alcuni anni fa, in una stanza senza orologi, in un pronto soccorso grigio di un ospedale di periferia, con una donna seduta davanti a me che tremava come se la sua pelle non fosse più un posto sicuro.
Non c’era nessun divano elegante e comodo, zero arredi di design, nessuna luce calda ed accogliente. Solo due sedie, un silenzio spesso e il coraggio disperato di chiedere aiuto.
Non avevo strumenti miracolosi, avevo solo la mia presenza. E ho scoperto che, a volte, è più che abbastanza.
Non è stato il giorno in cui ho ricevuto il mio diploma di specializzazione che sono diventata .
È stato il giorno in cui ho smesso di voler “aggiustare” le persone per imparare a stare con loro, anche quando non c’era nulla da fare se non restare.
La "vera" , la che amo è nata così: in stanze piccole, con la paura che si poteva toccare con mano, e con la fiducia che qualcuno ti concede solo quando gli dimostri che non scapperai.
Spesso i protocolli standardizzati servono a poco ( eccezion fatta per quanto riguarda la terapia ) . Ma in primis, quello che conta è sapere che, quando il mondo dell’altro sta crollando, tu sei lì.
Durante gli anni della specializzazione, dei tirocini, dei convegni, nessuno ti dice che ci saranno momenti in cui l’unica cosa che potrai offrire sarà un fazzoletto, o il permesso di piangere senza sentirsi sbagliati.
Nessuno ti dice che ti porterai a casa frammenti delle storie che ascolti: frasi, sguardi, respiri interrotti… e che a volte ti sveglierai di notte pensando a come sta quella persona.
Ho un armadietto pieno di piccoli oggetti che i pazienti mi hanno lasciato. Non hanno valore per il mondo, ma per me sono il promemoria che ogni storia che ho ascoltato ha lasciato un segno.
E che anche se non puoi salvare tutti, puoi provare. Sempre.
La verità è che nessuna università ti prepara al momento in cui un paziente ti guarda e ti dice: “Non ce la faccio più”.
Nessuno ti spiega come restare in quella frase senza riempirla di consigli prematuri, come sopportare il peso di una pausa che sembra infinita.
Eppure è lì, in quell’istante sospeso, che capisci di essere nel posto giusto: presente, umana, viva.
Perché fare questo mestiere significa onorare il dolore dei tuoi pazienti, restare loro accanto mentre imparano a respirare di nuovo, credere in loro anche quando non ci riescono più.
È sapere che, quando usciranno da quella porta, forse non sarà cambiato tutto… ma qualcosa sì.
Non puoi guarire ogni ferita.
Ma puoi fare in modo che nessuno debba affrontarla da solo.
E questo, per me, vale più di qualunque cosa.”
Dr.Alessia Giuffrida