16/11/2022
"La boxe è lo sport più duro e solitario del mondo"
Lui è stato un pugile, uno di quelli veri, un campione del mondo. Ma non solo questo, Frank Bruno MBE è stato molto di più per il popolo inglese, come testimonia ancora oggi una popolarità immensa, l'essere stato nominato membro dell’Eccellentissimo Ordine dell’Impero Britannico.
Lui diventò idolo a Londra, quella multietnica che rinasceva e faceva il dito medio all'oscurantismo della Thatcher. Come per molti altri gladiatori del ring, la boxe lo salvò dal diventare un criminale, La conobbe nel riformatorio di Oak Hall, appena uscito diventò pugile dilettante.
1 metro e 91, aveva due spalle da toro, muscoli che parevano scolpiti e poi quella voce cavernosa, potente, la personalità ironica ed esuberante. Aveva tutto per diventare chi è diventato: il più giovane Campione Amatoriale Britannico di sempre a soli 18 anni, pro a 21. Frank è disciplinato, ama allenarsi, ama la battaglia sul ring, non si risparmia mai sul ring. Ed anche per questo, ci mette davvero poco a diventare un eroe in patria, dove ormai da decenni si cerca l’erede del grande Sir Henry Cooper OBE. L sua storia di riscatto, di orgoglio, è un balsamo per la disastrata gioventù britannica di quegli anni.
Bruno mette Ko chiunque, nei primi 21 match, nessuno dei suoi avversari riesce a resistere. I media gli puntano i riflettori addosso, è un pugile che migliora di match in match, ha delle mani che colpiscono come mattoni, è implacabile, sempre all’offensiva, anche per questo piace. Poi però si trova sulla sua strada l’afroamericano James Bonecrusher Smith, di otto anni più vecchio, una ex guardia penitenziaria dura come l’acciaio, non un pugile raffinatissimo, ma tosto, che non si tira mai indietro.
Frank domina per quasi tutte e dieci le riprese, ma a pochi secondi dalla fine viene travolto da una selva di pugni, perde amaramente per Ko. Riparte, il pubblico lo sostiene, e il 1° ottobre 1985, a Wembley strappa con un Ko spettacolare la cintura di Campione Europeo allo svedese Eklund. La sua stella spicca il volo, diventa una celebrità in patria, il nuovo divo di un paese dove comunque il credo arrivista yuppie ha fecondato. Frank punta al mondiale, si guadagna la sua chance battendo il roccioso sud-africano Gerrie Coetzee, ora lo aspetta il campione, l’americano Whiterspoon
Sono entrambi due ragazzi venuti fuori dalla strada, salvatisi con la boxe, Whiterspoon ha raggiunto la corona dopo tanti tentativi, e quella sera del 19 luglio 1986, viene sovente bombardato da Frank, ma non cede, risponde colpo su colpo.
Poi quando manca poco alla fine, Bruno si trova senza più fiato, finisce la benzina, diventa facile preda per i colpi del Campione in carica, che lo abbatte all’11° round. In patria la delusione è enorme, perdere in casa poi, fa davvero male. Qualcuno comincia a definirlo con quel termine che oltreoceano già gli è stato affibbiato: sopravvalutato. Come sempre, dicono i media americani, gli inglesi creano fenomeni dove non vi è nulla di spettacolare.
Bruno per tutta risposta, si guadagna un’altra chance mondiale, contro un uomo che tutto il mondo teme con ferale terrore: Iron Mike Tyson. Mike non ha mai perso, è il terrore del ring che sommerge di pugni ogni ostacolo, una macchina di distruzione che ha appena riunificato le cinture spazzando via Michael Spinks.
Bruno però sente quello che si mormora in giro, che Mike non è più Mike, che il ragazzo ormai non si allena più bene, pensa solo alle ragazze, alle feste, che senza Rooney non è più la stessa cosa.
Con Mike vi è stima, simpatia a pelle, Bruno risponde piccato ai giornalisti che gli chiedono che vorrà fare una volta perso il match. “Sono qui per vincere” la lapidaria risposta. La sera del 25 febbraio 1989, all’Hilton di Las Vegas, Bruno guarda fisso negli occhi senza tremare un pugile che ha sempre atterrito ogni rivale. Mike non si muove come al solito, è chiaro che ormai ha perso il fuoco. Pagherà caro contro Douglas, ma quella sera si salva. Nel primo round atterra il rivale, Frank va giù ma si rialza subito, non trema, si getta subito sul Campione, lo martella incessantemente, usa il clinch per negargli gli scambi. Nel secondo round continua a colpire, subisce per alcuni istanti il ritorno di Mike, barcolla ma non cede. Si aggiudica il terzo e il quarto round, ma perde l’attimo. E paga. Nel quinto round Tyson si ricorda di essere Tyson e Bruno viene centrato da una raffica di ganci e montanti spaventosa, finisce alle corde. Mike lo inquadra, soppesa il colpo, poi fa partire la sua combinazione preferita: gancio al corpo-montante. La testa di Frank schizza verso l’alto come un razzo, non reagisce più ai colpi. ’arbitro si butta in mezzo, è finita.
Bruno ha perso. Di nuovo. Ma ha perso con onore. Mai prima di allora Mike era sembrato così debole, così a rischio.
Il match esalta ancor più la sua immagine in patria, diventa un divo, firma contratti con sponsor importanti, Ma questo gli mette contro qualcuno che lo chiama “Zio Tom”, nero arricchito ed imborghesito, che non lotta per la dignità dei suoi fratelli, angariati ed emarginati. Lui nicchia, continua ad essere il personaggio di punta della boxe inglese, il suo umorismo, la sua battuta pronta, sono apprezzati, così come la sua eleganza, il modo di fare a metà tra farci ed esserci. Assiste attonito a Mike Tyson che perde contro lo sconosciuto James "Buster" Douglas e pensa che in fondo ora ci sia più possibilità anche per lui. In un derby tutto casalingo, da tutti ritenuto il futuro asso della boxe mondiale: Lennox Lewis.
Anche Lewis è di origini giamaicane, è nato in Canada, Ontario, è un gigante anche più di Bruno con i suoi 196 cm, mossi da un talento e da una classe impressionanti. Se Bruno è un gladiatore del ring, Lewis appare un tecnico, ha quattro anni in meno, ma soprattutto ha molte meno battaglie sul groppone, onde per cui è dato per favorito. Eppure, quella sera a Cardiff, Lewis per sette round soffre, Bruno sfodera la sua miglior prestazione fino a quel momento, ingabbia la boxe di Lewis. Poi mette all'angolo il rivale ma si fa sorprendere da un gancio sinistro terribile. Poco dopo l’arbitro è costretto a interrompere.
Per la terza volta fallisce l’assalto alla corona mondiale, ma non molla, decide di provarci un’ultima volta. Gli si offre di andare contro il “nuovo Tyson”: Oliver McCall detto “il Toro Atomico”. Un toro Oliver lo è sul serio. 188 cm ma per oltre 100 kg di muscoli. Ha una mascella d’acciaio, è un pugile pericoloso, duro, cattivo, ed è l’uomo che ha strappato la cintura proprio a Lewis con un KO folgorante pochi mesi dopo la sua vittoria contro Frank. Corsi, ricorsi, incroci della boxe. McCall è anche l’ex sparring partner di Tyson, ma psicologicamente è anche più complicato di Frank, è uno che ha problemi di tossicodipendenza, spesso fatica a motivarsi. Frank lo sa, sale sul ring il 2 settembre 1995 deciso a vincere o morire. McCall non se lo aspetta, commette l’errore di partire lento, Bruno invece usa ogni oncia della sua esperienza, fa un match sporco, intenso, lega spesso, colpisce di rimessa, non concede al più fresco avversario di fare la sua boxe. Stavolta non molla, non si fa sorprendere, e finalmente vince, diventa Campione del mondo, si accoda con la sua vittoria celebratissima in patria, al clima della "Cool Britannia".
Si perché Frank Bruno, londinese, solare, simbolo della società arcobaleno, vincente, comunicativo, lui con quell’umorismo british e la spacconeria, assieme a Prince Naseem Hamed, a Chris Eubank Snr ed altri gladiatori del ring, diventa il simbolo del pugilato moderno britannico che conquista il mondo, si aggiunge ai club della Premier League, alle Spice Girls e Take That come monumento di un paese che è la nuova Babilonia. Ma sei mesi dopo è a Las Vegas a difendere la cintura per una lauta ricompensa, che però lo obbliga a combattere il redivivo Tyson. Mike è appena uscito di galera, ha bisogno di vincere, riemerge in lui l’antico orgoglio, la disciplina. Sarà solo per un istante, ma basta per distruggere Frank. Un Frank che si fa il segno della croce prima di entrare sul ring, e quando lo vede, il promoter Frank Warren si rende conto che qualcosa non va. Ha ferite che non ha recuperato dai match precedenti, è logoro da anni di battaglie. Tyson lo ferma in tre round. Un massacro. Subito dopo Frank annuncia il suo ritiro “ringrazio tutti, ma è finita, non posso più combattere, non ho più nulla da dare”. In quel momento per Frank, comincia l’incubo.
Nel giro di pochi mesi la depressione, la disperazione, il non sapere che fare nella vita, lo travolgono. Comincia a fumare crack, a usare cocaina, a 34 anni Frank non sa che fare della sua vita per la prima volta da quando è ragazzino. La boxe lo aveva sempre guidato, le giornate sono vuote, lente, monotone. Prova con la tv e il teatro ma son palliativi. Dopo 16 anni di fidanzamento e 7 di matrimonio divorzia, si comporta in modo strano. Frank non è un Tyson o un Monzon, non lo è mai stato. Si capisce che qualcosa non va, gli viene infine diagnosticato un disturbo bipolare. Si avventura in un reality inglese dove atterrito il pubblico lo vede andare letteralmente fuori di testa. Il 2002 è "l’annus horribilis" per Frank, medita il suicidio, si droga, beve. Nella sua villa non va nessuno, vive da solo, non dorme a letto ma sul ring, ci sono montagne di rifiuti per tutte le stanze, non risponde quasi mai al telefono.
La casa diventa una sorta di Luna Park per ladri, falsi amici e sanguisughe, trafugano trofei, auto, tutto quello che trovano. Alla fine ci pensa le legge a metterlo al sicuro da sé stesso, quel 22 settembre 2003.
Dopo 28 giorni però vince la sua battaglia, ritrova una routine con cui tenere sotto controllo il lato oscuro della sua anima, si allena, segue lezioni di cucina, prende le sue medicine, a modo suo è diventato un simbolo della lotta a quella depressione, che nel Regno Unito colpisce due persone su dieci, nel silenzio più totale.
Frank parla spesso in tv di quel periodo. Si è rifatto una vita, partecipa ad eventi benefici, pubblica libri, fa beneficenza, si è trasferito a Glasgow e ha imparato a tenere a bada i suoi demoni.
Oggi che compie 61 anni, è giusto onorarne perseveranza e vittorie. Non tanto quelle sul ring, quanto piuttosto quella contro i demoni della sua anima. In molti ne sono rimasti inghiottiti, ma lui, a dispetto di tutto ne è venuto fuori, si è rialzato. Perché rialzarsi non è importante, è l’unica cosa che conta.
Tanti Auguri Frank.
Quello che si è rialzato.