20/01/2025
LA PAURA DELLA MORTE
“Non conta quanti anni si viva ma quanta vita c’è in quegli anni… Non piangere perché è finito, sorridi perché c’è stato”….
Per talune persone, il cui pensiero è il protendere a una lunga esistenza, la clessidra ideale dei minuti, delle ore, dei mesi, degli anni, fa gocciolare tanti granelli in una trama vuota, simile a un pulviscolo. Per costoro la rappresentazione della vita è uno squarcio di luce che la morte rinchiude: un bagliore nella monotonia quando tutto alla fine si spegne.
Ma la cronologia da sola non è rilevante e gli antichi greci lo sapevano molto bene usando due vocaboli diversi per indicare il tempo: oltre all’ovvio chrónos quantitativo, scandito dall’orologio, importante è il kairós, che è appunto la vita qualitativa immessa in quegli anni cronologici.
In altri termini, possiamo dire che, se desidero che la mia vita abbia un senso per me, bisogna che abbia un senso anche negli altri e che la metta a disposizione di quel senso.
Poi c’è la seconda modalità di pensare alla propria vita con la paura che si spenga una gioia, che si concluda una tappa della vita, di perdere un affetto.
Si deve, invece, essere sereni di aver vissuto un’esperienza bella, di aver attraversato stagioni feconde, di aver realizzato un progetto, di aver seminato nel tentativo di cercare di imparare a stare al mondo.
Si può sopportare la fine delle cose se si è provato a viverle.
Senza la pretesa di insegnare alcunché a qualcuno, concludo con una frase che mi è capitato spesso di riferire ai miei pazienti che temono la morte - tratta dalle mie letture sul Bushido: “Vivere non è scampare la morte. Vivere è morire in battaglia”.