06/03/2024
Gli eventi della vita portano doni di coscienza
Quando una relazione è tossica è necessaria la distanza.
Una relazione tossica può generarsi anche nella più stretta parentela, la famiglia di origine non garantisce relazioni sane, queste vanno costruite nel tempo e coltivate come il più prezioso dei doni.
Non sempre è possibile, quando un componente della famiglia è completamente annebbiato dal suo corpo di dolore rischia di fagogitare anche gli altri, in modo del tutto inconsapevole e non volontario, generando altro dolore.
Quindi abbandoniamo il concetto di colpa e prendiamo in mano quello di consapevolezza.
Può essere aiutata questa persona?
Se è tuo figlio la risposta è : in parte sì. Iniziando ad occuparti dei TUOI sospesi con i tuoi genitori o con te stesso, con la tua infanzia, con i partner presenti/passati, con il denaro, con la vita eccetera. Occupandoti di TE aiuti tuo figlio a fare altrettanto offrendo un esempio di percorso verso l'amor proprio, l'amore per la vita e la consapevolezza.
Poi ci vuole una buona dose di assunzione di responsabilità e di compassione per sé stessi.
Ed una buona dose di fiducia per il percorso che quel figlio ha scelto di intraprendere.
Io sostengo fortemente che, se pensiamo di mandare nostro figlio a fare terapia, dovremmo prima aprire noi (genitori) la pista.
Se è un tuo genitore la risposta è NO.
I figli non possono guarire i genitori, possono comprendere, perdonare, avere coscienza che chi soffre è il bambino che quel genitore è stato e che non è stato visto. Ma non è compito dei figli mettere "a posto" le sofferenze del genitore. Ed è sbagliato pretendere che un figlio arrivi a questo modo con il ruolo del risolutore.
Egli in questo modo viene sottratto alla vita, viene agganciato e trattenuto da un dolore che non gli appartiene e da un compito che non gli è dato svolgere.
Ogni genitore che affida al figlio questo ruolo lo sta condannando alla sofferenza ,che può esprimersi in vari settori della sua vita.
È giusto allora che il figlio, se diventa cosciente di questo meccanismo, trovi la giusta distanza dalla quale può continuare ad amare e rispettare chi gli ha dato la vita, al contempo liberandosi; diventa una questione di sopravvivenza.
Può un figlio PRETENDERE che il genitore guarisca se stesso?
No, nel modo più assoluto.
Ciò che può fare è riconoscere le parti ferite comuni, provare com.passione e bene-dire. Dopodiché proseguire con la propria vita.
Spesso i figli agganciati dal senso di colpa si auto-impongono il ruolo del soccorritore, mettendosi in questo modo accanto al genitore (se non addirittura "più in alto") creando un disequilibrio nella vita di entrambi.
Per quanto la società osanni il sacrificio, questo tipo di sacrificio dal quale proviene la nomea "è proprio un bravo figliolo", non è sempre espressione di sana relazione.
Un altro modo di rimanere agganciati è la rabbia verso l'altro, che cela la pretesa che questo cambi, che diventi come noi lo desideriamo (questa pretesa non funziona per nessuna relazione, meglio comprendere subito che le persone non cambiano perché glielo chiediamo o perché ci arrabbiamo, ma solo se e quando una loro evoluzione interna glielo consente, evoluzione che non spetta a noi sapere come, se e quando può avvenire)
Só che queste parole possono risultare dure ad alcuni eppure è necessario riconoscere che ognuno è artefice del proprio cammino e tutto ciò che possiamo fare è cercare di non farci lo sgambetto a vicenda nel percorrere e/o costruirci la via.
Certo possiamo porgere una mano ma l'altro ha tutto il diritto di non coglierla, se questo è ciò che la sua anima ha scelto per evolvere.
E merita un inchino e il nostro rispetto.
Nessuno ha un piedistallo su cui ergersi, ed è già tanto se riusciamo a prenderci cura di noi stessi.
A volte non siamo davvero preoccupati di come sta l'altro ma di come il suo stare ci fa stare.
Questa simbiosi non è sana e alla lunga porta il suo conto.
Quando nei comandamenti leggiamo "onora il padre e la madre" , quando nei vari percorsi scopriamo di dover ricucire una rottura avvenuta nell'infanzia, non necessariamente significa frequentarsi, stare fisicamente insieme, dimenticare, essere ciechi o sordi, o diventare martiri e buoni samaritani.
Significa riconoscere con gioia e gratitudine che se siamo al mondo è grazie a chi lo ha permesso e che questa gratitudine la riversiamo onorando la vita, rendendola degna e glorificandola.
Che siamo SIMILI (questa è la parte più ostica) ,simili su certi dolori ereditati e lavorare su noi stessi per guarirli con l'amore necessario. Non per essere "diversi da" ma per "guarire da".
Significa abbandonare la colpevolezza da una parte e dall'altra, riconoscere la sofferenza che ancora alberga nel cuore e portarvi più coscienza e compassione possibile.
Ma tutto questo non sempre evolve nel pranzo della domenica, a volte si, a volte non è proprio possibile per svariate ragioni e va bene così.
Mantenendo coscienza del fatto che siamo parte di una storia antica che chiede nient'altro che Amore.
Maria Rosa
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