
18/02/2025
Se potessimo identificare un principio alla base dell’intervento psicologico ci sarebbe: il soggetto agisce sempre secondo la propria “mappa interna” (quindi a seconda del proprio quadro interno di riferimento). Questo ci ricorda quanto sia importante la corretta impostazione del rapporto tra medico e paziente (o psicoterapeuta e cliente), in quanto si tratta di due realtà separate e diverse che trasportano indicazioni di cammino differenti, in diverse posizioni nell’ambito della relazione.
Ecco perché il primo passo verso un rapporto ed una comunicazione efficace (e terapeutica) è sempre responsabilità del terapeuta che deve essere in grado di creare un contesto empatico per poter utilizzare il sistema di credenze dell’altro e, successivamente, guidarlo verso il cambiamento.
Ma in caso di “non compliance”?
Se etichettiamo il comportamento “non collaborativo” come una resistenza, anziché messaggio inviatoci nello sforzo di aiutarci a trovare la soluzione al problema, rischiamo l’abbandono del percorso di cura. Quando il nostro paziente difende le sue idee la prima cosa da evitare è cercare di costringerlo a cambiare la sua ideazione, ma occorre rispettarla e creare delle situazioni in cui il paziente stesso sia propenso a modificare il proprio modo di pensare. Potremmo dire che è indispensabile passare dalla complice alla concordante: ossia chi prescrive la terapia ed il paziente dovrebbero raggiungere un accordo sul regime che il cliente assumerà.
Occorre accettare il sistema di credenza della persona ed andargli incontro, all’interno del suo modello del mondo e considerare il ruolo che il sintomo assume nel momento presente all’interno del sistema familiare, personale o sociale, per trovare nuove associazioni e nuove soluzioni.
Ecco che dunque il rapport diviene fondamentale per poter entrare con educazione e rispetto, nel mondo del paziente, che deve essere sempre considerato come dotato di capacità alle quali la terapia non aggiungere nulla se non la possibilità di utilizzarle differentemente.