12/02/2024
𝑭𝒊𝒏𝒆 𝒗𝒊𝒕𝒂 - 𝑵𝒆𝒔𝒔𝒖𝒏𝒐 𝒔𝒊𝒂 𝒍𝒂𝒔𝒄𝒊𝒂𝒕𝒐 𝒔𝒐𝒍𝒐
Le linee guida inviate dalla Regione Emilia Romagna alle Ausl hanno lo scopo di colmare, seppure per via amministrativa, un vuoto legislativo che ormai si trascina da anni, cioè dai tempi della sentenza della Corte Costituzionale del 2019.
La sentenza, in estrema sintesi, sancisce il diritto al suicidio assistito, cioè all’autosomministrazione di un farmaco letale, ove siano presenti determinate condizioni: che il malato sia affetto da malattia irreversibile, che causi allo stesso sofferenze intollerabili, che il paziente sia in grado di fare scelte libere e consapevoli ed in ultimo, che sia dipendente da trattamenti salvavita.
In questo solco si muovono le linee guida regionali che definiscono modalità e tempistiche in cui si debba svolgere il percorso che inizia con la richiesta di suicidio assistito di un paziente, richiesta che deve essere inviata alla direzione sanitaria dell’Ausl.
L’iter rappresentato dalla regione passa attraverso l’istruttoria di una prima commissione ed un parere, necessario ma non vincolante, del Comitato regionale per l’etica. Se al termine delle istruttorie, valutato che tutte le opportunità di cura alternative sono state proposte al paziente che le rifiuta, verrà dato il via libera, e sarà compito dell’Ausl, garantendo la gratuità dell’intervento, individuare il personale adeguato che, su base volontaria, accompagnerà il paziente in quest’ultima fase di un devastante percorso di malattia; percorso che termina con l’autosomministrazione di una pastiglia o di una fiala di farmaco letale.
Ora, io penso che prima di alzare i toni sulla contrapposizione politica, sia opportuno fermarsi un momento a riflettere, con la maggior empatia possibile, cosa significhi per una persona, pervenire ad una richiesta di suicidio assistito. Significa aver convissuto per lungo tempo con un percorso di malattia che giorno per giorno richiede capacità di sopportazione e adattamento continuo, sempre al ribasso, in un’esercizio di mediazione continua anche con il dolore, oltre che con la propria dignità.
Significa, fare i conti ognuno con il proprio sentire, con la propria etica, con la propria fede e arrivare a dire, con certezza e determinazione “Io così no”, con la consapevolezza di cosa si lascia, ma con la certezza di aver superato il proprio limite umano.
Significa rivendicare il diritto ad andarsene in pace ed avvalersi del senso umano che è contenuto nell’affermazione “Nessuno deve essere lasciato solo nella sofferenza, mai”.
La Sanità pubblica deve fare un ulteriore sforzo: dopo la cura della malattia, quando se n’è sancita l’inguaribilità, devono essere garantite le cure palliative, fino alla fine, fino alla sedazione profonda, per non dover subire gli effetti di un dolore insopportabile come il senso di annegamento e di soffocamento, ma quando questo al paziente non basta più, bisogna trovare la forza di garantire alla persona un accompagnamento dignitoso al fine vita.
Il fine vita, penso non sia un tema nè di destra nè di sinistra, ma senza dubbio è un tema urgente per chi vive sulla sua pelle una situazione di dolore intollerabile, per cui ben venga l’applicazione regionale operativa delle indicazioni cogenti della Consulta, ma è anche, e soprattutto, la capacità di uno Stato di normare, affinchè si lascino libere le persone di decidere del loro destino, senza abbandonarle o peggio punirle, ma anzi sostenendo che andarsene in pace è un diritto umano, e dalla comunità umana questo va compreso, nella sua dolorosa profondità.