Dott.ssa Ada Aversano - Psicologa

Dott.ssa Ada Aversano - Psicologa Psicologa esperta in orientamento, sviluppo e benessere. Lavoro in presenza a Bologna e online.

Una riflessione sulla noia e sull’importanza del tempo vuoto Abbiamo un brutto rapporto con la noia, eppure è un’emozion...
15/05/2025

Una riflessione sulla noia e sull’importanza del tempo vuoto

Abbiamo un brutto rapporto con la noia, eppure è un’emozione che ci permetterebbe tanto, se imparassimo a conviverci. Una convivenza scomoda, certo, ma il cui contatto ci è necessario per creare.

La creatività è un motore che si allena con la capacità di stare nel vuoto che non ci affrettiamo a riempire. Ma stare nel vuoto, stare fermi, per molti significa stare scomodi: questo perché ci siamo abituati alla fretta della corsa e non al passo lento del cammino, che invece serve ad entrare in sintonia con quello che accade dentro piuttosto che fuori, e quindi anche a centrare cos’è che vogliamo davvero.

Vale nell’arte così come nel lavoro: non ci prendiamo cura del nostro essere disorientati perché ci hanno in qualche modo insegnato che per fare bene bisogna fare presto. Invece credo che abbiamo bisogno di riportare il focus sulla lentezza, sul farsi domande, sul trovare un posto nel quale sostare e re-imparare a respirare.

Come possiamo essere in sintonia con i desideri se siamo sempre chiamati a rispondere di un bisogno?

Il desiderio si muove su altri sentieri, quelli dell’osservazione, del silenzio e delle pause. Il bisogno nasce da un movimento urgente. Ma se è sempre tutto urgente, come facciamo a capire cos’è che è importante?

Dovremmo tutti ritagliarci un momento di fermo, per mettere a fuoco nel mirino il significato di ciò che accade, dentro e fuori di noi, per imparare davvero com’è che si fa a guardare. Per vederci davvero, e per vedere davvero l’altro.

Quante volte riesci a fermarti per darti ascolto?

Non siamo tutti pazienti. Non tutti abbiamo la necessità o la voglia di toccare con mano ciò che ci fa male. Non tutti, ...
10/10/2024

Non siamo tutti pazienti. Non tutti abbiamo la necessità o la voglia di toccare con mano ciò che ci fa male. Non tutti, in sintesi, possono entrare in contatto con quello che spaventa di sé, quello che ci da fastidio o ci fa arrabbiare.

Quando con molta fatica arriviamo al punto di non poter più ignorare il nostro corpo e la nostra mente che chiedono, prendersi un momento per sé, per ascoltarsi, fermarsi è il primo passo.

Per quanti ancora non sanno come si fa ad abbracciarsi, a volersi bene.

Fermatevi.

Prendete un foglio e chiedetevi per 5 volte “di cosa ho bisogno”? Per ogni risposta ripiegate la parte del foglio come se dovesse venirne fuori un ventaglio, e passate alla risposta successiva.

Aprite il ventaglio.

Come cambia la risposta?

N.b. In ambito lavorativo, la domanda cambia in "di che cosa ho bisogno per stare bene a lavoro?"

11/09/2024

Spesso, parlando e confrontandomi con persone di età, provenienza, esperienze e storie di vita diverse ho accolto racconti il cui tema principale, declinato in diversi aspetti, era il lavoro e alcune sue criticità:

• “Ho inviato tanti curriculum, ma nessuno risponde”

• “Ho iniziato un percorso professionale, costruito una carriera, ora non so più se è il percorso che fa per me”

• “Ho una laurea in ###, per quale lavoro posso candidarmi?”

• “Mi interesserebbe poter lavorare nel mondo delle risorse umane, ma non so da dove iniziare…”

• “Ho un lavoro a tempo indeterminato ma vorrei fare altro, come faccio?”

Potrei continuare per molto. Invece vorrei fare io una domanda, un sondaggio, per comprendere come poter supportare chi ha queste difficoltà in maniera gratuita e in alternativa a percorsi di orientamento a pagamento che comunque svolgo ma che vorrei fossero un’opzione in più e non l’unica strada, soprattutto per chi non ne ha la possibilità.

La domanda è: qual è la difficoltà, o quali sono le difficoltà, che al momento stai incontrando lungo il tuo percorso lavorativo?

Parlare di emozioni è complicato.E' complicato soprattutto perché siamo immersi in un sociale che spinge l'acceleratore ...
02/09/2024

Parlare di emozioni è complicato.

E' complicato soprattutto perché siamo immersi in un sociale che spinge l'acceleratore sul "fare", anziché sul "so-stare".

Provate a fare questo piccolo esperimento, con gli altri ma anche con voi stessi, chiedete: "Come stai?", "Come sto?"

Ci tornerà indietro un "bene" scarno ("bene, dai", come a dire tiriamo dritto con la conversazione che ce ne sarebbero di cose da aggiungere...)

Eppure un terzo della lingua italiana è collegato alle emozioni.

Avere freddo, sentirsi agitati, provare rancore, essere in imbarazzo, sentire il fastidio. Sono tutte emozioni, eppure non le sappiamo riconoscere, abbiamo difficoltà a identificarle chiaramente quando si presentano, facciamo confusione e se facciamo confusione con ciò che proviamo ne deriva che anche le nostre azioni ne saranno influenzate.

A lavoro tutto questo si può trasformare in azioni che seguono emozioni senza un'adeguata riflessione: conflitti non gestiti, lamentele che per definizione non producono risultato, "scappare" via dal luogo di lavoro facendo assenteismo o presentando dimissioni affrettate, tensione nel team di lavoro.

Perché le nostre decisioni si trasformino in azioni più consapevoli, c'è bisogno di imparare ad integrare il nostro mondo emozionale con il nostro "braccio operativo", o per meglio dire con le nostre "gambe", poiché troppo spesso corriamo verso azioni che richiedono più di un pit stop. E chiederci:

Cosa sto provando?
Che alternative ho?
Che cosa posso fare?

Dire di no costa fatica Dire di no costa fatica, perché vuol dire fare una scelta ben precisa, e cioè: io non sono quest...
30/08/2024

Dire di no costa fatica

Dire di no costa fatica, perché vuol dire fare una scelta ben precisa, e cioè: io non sono questo.

Non sono d’accordo, non mi piace, non mi interessa.

Dire di no significa stabilire i confini, riconoscerli. Farli presenti a se stessi prima e solo dopo ad altri.

Il primo conflitto è con noi stessi, nella capacità di integrare in una immagine coerente il nostro sè e dunque, separazione e individuazione, in un continuo “sentire” i luoghi e le persone che ci appartengono ma ancora più importante quelli che non ci appartengono.

Come un compasso, i nostri “no” ci definiscono e ci rendono autentici, reali, misurati sulla linea di confine che sono le nostre esigenze, i nostri bisogni.

Nessuno dirà per te i no che per primo non riesci a dire a te stesso. Non è possibile fare un cerchio preciso partendo dall’esterno, bisogna mettersi al centro di se stessi, e definirli.

Quali sono i no che finalmente sei riuscito a dire?

Il libro in allegato è “Oliva Denaro”, un romanzo di Viola Ardone che mi ha accompagnato questa estate.

18/06/2024

Quant'è difficile dire di avere bisogno.

In una società che ci educa sempre più alla connessione digitale ma ancora troppo poco alla connessione fisica, corporea, al contatto e al con-tatto.

Come si fa a dire che si ha bisogno quando il sentimento comune è "sono solo"?

E se anche non ce l'avessero insegnato (in famiglia, a scuola, nello sport, al lavoro, ecc.), come fare a ignorare la cultura diffusa di egocentrismo dove non c'è spazio per la comprensione dell'altro? E come faccio a comprendere meglio me stesso se non guardando l'altro come fosse uno specchio?

Quello che mi dà fastidio, quello che mi procura gioia, quello che mi spaventa.

Se non so entrare e gestire lo scontro (perché ho imparato che non ho i mezzi per affrontarlo, perché lo vedo anche quando non lo cerco, perché "sono gli altri che mi provocano"), come farò a incontrare l'altro?

L'altro è carne e ossa, e pure poesia.

E ci riflette proprio come uno specchio.

Ma se non ci guardo, in quello specchio, come fare a vedersi?

Come fare a dire "ho bisogno che tu mi sia vicino ma non riesco a dirlo perché ho imparato che prima o poi tutti tradiscono" ?

Forse bisogna che prima impariamo ad avere fiducia nel fatto che se hai bisogno, e non lo dici, sarai tu a tradirti.

Da quanto ti tradisci?

27/03/2024

Una ragazza di 20 anni, studentessa universitaria, mi ha chiesto perplessa se è normale mettere in dubbio le proprie scelte.

Le ho detto che sí, è normale, e che anzi è salutare farsi domande e che solitamente aumentano invece di diminuire.

Ero incuriosita però dal perché, all'inizio del percorso e contenta delle materie di studio, fosse evidentemente preoccupata da qualcosa che poi, approfondendo, era riconducibile al "rendersi occupabili".

Così gliel'ho chiesto: perché?

"Qualche giorno fa all'università sono stati invitati dei ragazzi che hanno trovato lavoro dopo la laurea per raccontare le proprie esperienze. Una ragazza di 34 anni ha suggerito di cambiare percorso, che è difficile trovare lavoro in azienda e che fare il ricercatore è comunque un percorso pieno di sacrifici..."

Allora ho sorriso.

Se c'è una cosa che l'università mi ha insegnato è stata la capacità di dubitare:

che se tutti dicono che un esame è difficile da superare, non importa quanto impegno ci metterai, verrai rimandato, dovrai ripeterlo almeno 3 volte, non per forza andrà così;

che se tutti dicono che un professore è st****o, probabilmente l'approccio da seguire non è quello consigliato da quelli che la voce la mettono in giro;

che se un esame non piace a molti non vuol dire che anche tu lo odierai, che anzi potrebbe essere quello che ti farà capire cos'è che ti appassiona.

Trovare la propria strada vuol dire sí fare errori (sacrosanti), ma soprattutto imparare ad avere fiducia in se stessi, nelle cose che ci appassionano, per cui troviamo che investirci del tempo sia proficuo non solo per chi ne beneficerà ma anche per noi stessi, perché è rincuorante sapere non solo di essere competenti, di essere "esperti" (e l'esperienza si costruisce nel tempo) ma anche fare un lavoro che ci sta a cuore, anche se ancora non sappiamo bene perché.

È difficile orientarsi in un mondo dove purtroppo molti di noi hanno dovuto imparare che "se sei frustrato è normale", tuttavia provate a guardarvi intorno e provate a mettere in discussione i modelli che vi propongono come riferimento: quanti di loro sono soddisfatti?

Date fiducia a ciò che vi piace fare: la strada per essere occupati (e soddisfatti) viene battuta con l'ardore e il coraggio di chi ha fiducia in se stesso.

14/03/2024

:”essere poesia per fare poesia” 🖋️
Grazie alla Dott.ssa Ada Aversano, le nostre aule sono diventate un laboratorio di poesia, momento d‘incontro tra la didattica e il sentire.

In un'atmosfera di condivisione e ispirazione, gli studenti hanno dato voce alle proprie emozioni, attraverso versi e parole significative. La poesia si è rivelata un ponte unico per esprimere pensieri profondi e connettersi in modo autentico, sia con se stessi che col gruppo.

Grazie alla psicologa e agli studenti per aver reso questo incontro un momento indimenticabile! 🌈📝

Sul volersi bene (da soli)Cosa significa volersi bene?Significa che se anche sono solo per cena, cucino con lo stesso im...
14/03/2024

Sul volersi bene (da soli)

Cosa significa volersi bene?
Significa che se anche sono solo per cena, cucino con lo stesso impegno che userei per un gruppo di amici. Significa che se sbaglio posso riconoscere la mia fallibilità, che non sono perfetto e che questo, in fondo, è un gran sollievo. Volersi bene significa che posso farmi una coccola invece di aspettare che siano altri a compensare i miei bisogni. Significa ascoltare i propri bisogni, con l'attenzione minuziosa e precisa di un orologiaio che con cura sistema piccoli e microscopici guasti. Quando mi voglio bene per davvero, imparo cosa significa stare in mia compagnia, cosa mi piace per davvero e cosa, a chi dire di no, chè i no sono più importanti dei sí, perché delimitano i confini. Quando mi voglio bene, imparo dove iniziano e finiscono i miei fastidi, e insegno agli altri come entrare in relazione sana con me, perché io per primo ho una relazione sana con me stesso: non mi giudico, mi abbraccio per intero, raccolgo ció che di me parla a gran voce e che dice: io sono questo. E va bene così.

Cosa significa ascoltare?Significa che tu mi parli anche quando non dici, quando muovi nervosamente una gamba perché sei...
06/03/2024

Cosa significa ascoltare?

Significa che tu mi parli anche quando non dici, quando muovi nervosamente una gamba perché sei seduto ma in realtà vorresti essere altrove, significa guardarti negli occhi e trovare qualcosa che rimane dentro, ma non troppo: qualcosa che speri di affogare.

Ascoltare significa essere attenti, osservare ogni cellula del tuo corpo che parla e che dice:

"Sono qui, di fronte a te. Mi vedi?"

Oggi ho tenuto un laboratorio su poesia ed emozioni in una scuola.Appena arrivata nell'Istituto mi sono fermata di front...
05/03/2024

Oggi ho tenuto un laboratorio su poesia ed emozioni in una scuola.

Appena arrivata nell'Istituto mi sono fermata di fronte a questo cartellone/bacheca che ha subito attirato la mia attenzione:

era il risultato di un'attivitá svolta durante la giornata di San Valentino.

I ragazzi che si preparano a diventare adulti ma che ancora non lo sono si trovano in quella fase di passaggio bellissima e tremenda dove tutto ciò che senti, lo senti tantissimo: è il bambino che si trasforma e cresce, che vive il conflitto tra ciò che era e ciò che può ancora essere, quello che sarà.

Le emozioni dei ragazzi sono belle e disarmanti come il primo tramonto in spiaggia: di fronte alla meraviglia delle cose che semplicemente esistono, senza chiedere il permesso a nessuno,
si può sedere solo il silenzio.

Loro ricordano agli adulti come ci si emoziona e cos'è un'emozione senza giudizio, se solo gli adulti

ascoltassero.

19/02/2024

Una premessa fondamentale e necessaria quando si parla di salute psicologica a lavoro: non esistono tempi stretti.

È importante anzi essenziale ascoltare il bisogno del cliente, azienda o persona che sia: il marketing aggressivo del "risolverò tutto e in poco" non funziona, ed è purtroppo figlio dell'onda che sta attraversando il paese (e il mondo intero), con l'aspettativa che i cambiamenti avvengano con uno schiocco di dita, un corso di formazione di due ore o passaggi di poche settimane.

Chi vi vende una soluzione molto probabilmente vi sta creando un altro problema, perché così facendo si creano i presupposti per un contentino che è fine a se stesso, e nemmeno.

Ma sono cose che in fondo già sappiamo, lo sentiamo con la pancia: il benessere non è un pacco di fazzoletti da comprare al primo discount, è frutto di un lavoro che solitamente si muove sulla sinergia e su assi temporali molto più lunghi, dilatati.

Perciò, quando vi viene fatta una proposta, chiedetevi: mi sono sentito/a ascoltato/a? Mi sono sentito/a accolto/a?

E infine, non banale: questa persona, quando parla, sembra mi voglia vendere l'ultimo - innovativo - modello del "cotto e mangiato"? Alla fine dell'incontro sono confuso/a da tutta una serie di informazioni? Ho parlato più io o lui/lei/loro?

Un professionista che lavora col benessere dovrebbe essere prima di tutto una persona che ascolta.

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Bologna

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 18:30
Martedì 14:00 - 20:00
Mercoledì 14:00 - 20:00
Giovedì 14:00 - 20:00
Venerdì 14:00 - 20:00

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