
06/08/2025
Diciassette centimetri di femore lasciati sull’asfalto: una sfida anche per la chirurgia ortopedica ricostruttiva più evoluta.
Cosa c’è dietro questa soluzione chirurgica? C’è un paziente molto coraggioso che ha affrontato oltre 2 anni di cure: la sua storia è sul Resto del Carlino di ieri. Dal punto di vista chirurgico una strada quasi impercorribile che nasce dalla tradizione dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, da anni di ricerca di laboratorio, dalla competenza chirurgia allenata agli interventi ultra-complessi ed infine (perché serve sempre) anche ad un pizzico di fortuna.
Il primo problema si chiama “politrauma”: in medicina uno più uno fa tre. I danni si sommano creando le “condizioni critiche”: di fratture, molte, si può anche morire. Quindi gioco di squadra con gli anestesisti-rianimatori. Alcune amputazioni nascono dal dover “ridurre il danno” globale. Non è stato questo il caso: al paziente siamo riusciti a ricostruire gomiti, polsi, ginocchio e caviglia. Il femore ed i suoi 17 cm mancanti ancora non toccati.
Dietro mesi di ricovero a letto senza poter usare entrambe le braccia c’è un’assistenza pesantissima per gli infermieri e gli OSS. Grandissimi professionisti che con pazienti così arrivano a fine turno cotti. Capo reparto medico e capo sala della Clinica uno sono in realtà cape: Laura Ramponi e Rossana Genco.
Si arriva così al femore da ricostruire: nessuna strada è certa: la complicanza di qualunque strategia porta sempre li: all’amputazione. Servono non meno di 6-8 mesi di “riposo biologico”, dove la coscia senza osso deve rinforzare da sola le difese immunitarie. Ce la farà? Una prima scommessa.
Si esegue un primo intervento di “camera sterile” con spaziatore in cemento. Seconda scommessa con altri mesi di attesa, grazie alle cure antibiotiche capitanate dalla UO Malattie Infettive del Policlinico SOrsola diretto dal Prof. Pier Luigi Viale e la sua “longa manu”: Eleonora Zamparini.
Si arriva al dunque: la ricostruzione: serve il femore di un donatore: robusto, giovane e ricco di corticale. Quel femore è frutto di un’altra tragedia irreparabile: la morte cerebrale che fa scattare un’auto nella notte: cuore reni e fegato all’unità di coordinamento trapianti, le ossa alla banca dell’osso del Rizzoli diretta da Dante Dallari.
Enrico, te la senti: domani è un lancio senza paracadute di emergenza infezione, rigetto tissutale e perderemo tutto …. ? So già tutto, ditemi dove devo firmare!
In sala tutto fila liscio: c’è abitudine a gestire la complessità: gli infermieri del nostro blocco sono in grado di tirar fuori qualunque strumento in tempo reale. Controllo radiografico? Fin qui tutto bene. Ora bisogna aspettare, l’osso nuovo deve adattarsi.
Le cellule ossee devono “invadere” il trapianto. Un processo lento, protetto da una robusta placca in titanio. Le difese immunitarie devono “proteggere”. Un mese, due mesi. Fin qui tutto bene.
Sei mesi: si vede “il callo osseo”: la natura ha fatto il suo ponte. Enrico, ci siamo, è il momento del carico. Proviamo? Prometti che terrai un bastone di sicurezza? Sarò il Dr.House dell’Ospedale di Livorno!
Cesare Faldini
Direttore Dipartimento Patologie Complesse
Direttore Clinica Ortopedica 1
Istituto Ortopedico Rizzoli - Università di Bologna